Intervento sul dibattito in corso a Bruxelles sul futuro dell’economia europea
- Riccardo Lala – I cantori dell’attuale sistema politico non fanno che magnificare l’elevato livello di partecipazione che sarebbe permesso dalle autonomie locali e dalla rete, la solidità delle nostre Costituzioni nazionali, il fatto che l’ Europa porti pace e prosperità, e, infine, chele Organizzazioni Internazionali abbia realizzato un elevato grado di democrazia internazionale. Inutile ripetere che i fatti stanno smentendo ora dopo ora queste pretese.
Ad esempio, sono in corso in questo momento fittissime discussioni, da un lato fra i Governi, le Banche Centrali e gli Stati Membri sul sistema finanziario europeo, dall’altro fra la Presidenza Italiana e le Istituzioni Europee, e, infine, fra i candidati membri della Commissione e il Parlamento Europeo, per definire le linee della futura politica della Commissione, sulla base della quale il Parlamento approverà o disapproverà la compagine proposta. Sono in gioco temi fondamentali, quali la politica economica dell’ Europa, la guerra e la pace, i Trattati con gli Stati Uniti e la Cina, i rapporti con Russia,la Turchia,l’ Ucraina, l’”Eccezione Culturale”, la politica culturale e turistica. E, tuttavia, non se ne parla praticamente mai. Anzi, non lo sanno neppure gli specialisti dell’integrazione europea.
Qualcuno dirà che ciò avviene perché si sente che l’Unione Europea non è la “vera” sede in cui si decidono queste cose. Parzialmente è vero. Molte di quelle cose non si decidono in quella sede, ma, anche per l’ Europa, in posti diversi, come il consiglio di Amministrazione di Google o di Amazon, il fondo di Soros, la Casa Bianca, la NSA, la CIA, il Partito Comunista Cinese. Basti pensare allo spionaggio elettronico, alle crisi dell’ Euro, alle guerre non dichiarate, all’acquisto di quote rilevanti nelle nostre società quotate.E, tuttavia, tante altre dipendono ancora, fortunatamente, dalle Istituzioni europee, come per esempio il tasso di cambio dell’ Euro, i contenuti dell’ Accordo Transatlantico, le sanzioni alla Russia, l’immigrazione e i visti. Eppure, anche qui, nulla trapela di ciò che si sta discutendo. E il bello è che quegli argomenti sono in discussione, non già nei dettagli, ma nelle loro stesse basi. Il caso estremo è costituito dai trattati con l’America e con la Cina, il cui contenuto non è noto neppure allo stesso Parlamento Europeo, in quanto, prima gli USA, e, poi, la Cina, ne hanno imposto la segretezza. L’unico tema ammissibile nella stampa specializzata sono le lodi dei vantaggi che it Trattato con l’America ci apporterebbe in termini di incremento negli scambi, senza che, appunto per la sua segretezza, si possa capire di che scambi si tratta e in che cosa sarebbero vantaggiosi.
In queste condizioni, qualcuno dovrebbe spiegarci qual è il valore aggiunto della democrazia rispetto a un sistema autocratico in cui il leader decide tutte queste cose da solo 8° con il supporto di unì’élite di tecnici).
Si sente dire in giro un po’ di tutto, ma non c’è mai un riscontro, una verifica, un dibattito. C’è chi sostiene che l’Europa non è in recessione (Draghi); chi sostiene che il Trattato Transatlantico migliorerà il PIL (Gruppo di lavoro di lobbisti), chi sostiene che, per quanto la guerra commerciale con la Russia sia una catastrofe, pure, “devono prevalere le ragioni della politica” (il Sottosegretario Calenda), chi dice che bisognerebbe sospendere le trattative sul Trattato Transatlantico fintantoché non sia risolta la questione dello spionaggio (il Presidente Schulz), chi dice (giustamente) che non si possono compiere interventi armati senza il consenso dell’ ONU (Renzi), chi afferma che l’ “eccezione culturale” sia “reazionaria” (Barroso) , chi invece ne fa una priorità del Semestre Italiano (Franceschini), chi continua a frenare sui visti turistici quando ci sono centinaia di milioni di turisti cinesi che aspettano di entrare (la Commissione Sicurezza del PE).
Possibile che ci si appassioni tanto alle vicende giudiziarie di Berlusconi, all’ Art.18, ai preti pedofili, e non a tutte quelle cose, che riguardano molto più da vicino il nostro futuro, come l’economia europea o i missili balistici
Se le cose vanno ancora avanti così, dovremo concluderne che questo declassamento degli Europei, questo rischio permanente di guerra mondiale, li avranno veramente voluti innanzitutto i nostri concittadini, che, da un lato,o si disinteressano totalmente delle questioni più rilevanti, o le delegano a una classe politica inconsistente, ipocrita e corrotta.
Di fronte a questo squallido quadro generale, occorre per altro dare atto al Presidente designato della Commissione, Jean-Claude Juncker di avere puntato molto sulla trasparenza,attraverso un apposito sito, dedicato alla transizione fra la vecchia e la nuova Commissione,(http://juncker.epp.eu/node/152), nel quale ha illustrato le sue priorità e ha invitato i cittadini a svolgere le proprie osservazioni. In questo, ricorda un precedente leader che molto ha contribuito (nel bene come nel male), alla storia europea degli ultimi decenni, e di cui si sta ricominciando a parlare: Michail Gorbaciov e la sua “Glasnost”.
L’Associazione Culturale Diàlexis, che ha per missione quella di fare conoscere l’Europa nell’ area delle Alpi Occidentali, e di fare conoscere l’area delle Alpi Occidentali in Europa, ha colto l’occasione offerta dal Presidente Juncker, elaborando il documento “Restarting European Economy via Knowledge Intensive Industries”(“fare ripartire l’economia europea con le industrie di alta tecnologia”), che è pubblicato come e.book dalla Casa Editrice Alpina nella serie “Quaderni di Azione Europeista” (“European Militant Papers”) attraverso il distributore UltimaBooks (http://www.ultimabooks.it/restarting-eu-economy-via-knowledge-intensive-industries).
Il documento, oltre che al Presidente Juncker, è stato indirizzato anche ai presidenti Tusk e Oettinger, all’ Alta Rappresentante per la politica Estera e di Difesa, Mogherini, e al Commissario Oettinger, responsabile per l’ Agenda Digitale. Sarà distribuito anche ai membri del Governo italiano, agli europarlamentari e ai rappresentanti dei principali Gruppi politici. Riteniamo sia necessario sottoporlo a discussione a tutti i livelli.
Esso parte da una critica di fondo dei luoghi comuni economici sui quali si basano, e la disinformazione circa la politica economica europea, e il surreale approccio ideologico che ancor oggi fonda, su tesi ancora dell’ Ottocento, decisioni che debbono essere prese per il 21° secolo:
-Innanzitutto, l’incapacità di vedere che il parossismo tecnicistico dell’ ultimo secolo non ci sta portando, come veniva favoleggiato ai tempi di Juenger, a una nuova età dell’ oro, bensì alla fine dell’ Umanità, “azzerata” dai robot e dall’ informatica. Questo lo aveva già capito, per esempio, all’ inizio del ‘900, Maximilian Voloshin, il poeta e pittore della Crimea: ”La macchina ha insegnato all’ uomo a pensare come si deve/, e a discutere con logica sui risultati/. Essa gli ha dimostrato materialmente che lo spirito non esiste: solo materia/L’uomo stesso non è che una macchina,/e il cielo stellato un meccanismo/per fabbricare il tempo, e il pensiero,/un semplice prodotto della digestione celebrale./Lo spirito risponde alle esigenze della sopravvivenza,/e il genio è degenerazione,/e cultura l’incremento quantitativo,/dei bisogni del consumatore,/e l’ideale è il benessere universale,/e soddisfazione dello stomaco./C’è un solo Stomaco Mondiale Universale,/ e nessun altro Dio al di fuori di esso.”Lo avevano ribadito, nel 1947, tornando dall’ America, Horkheimer e Adorno: “Fin dall’ inizio, l’Illuminismo , inteso come pensiero progressivo, ha avuto l’obiettivo di liberare l’uomo dalla paura e di conferirgli potere. Ma la terra integralmente illuminata irraggia i segnali della sventura trionfante.”Ce lo sta ripetendo con dovizia di particolari in questi giorni una pletora di autori, da Greenwald a Rampini, da Mazzuccato a Assange, che ci stanno dimostrando come le promesse salvifiche e libertarie dell’ “ideologia di Internet”, a cui tanti avevano creduto, si siano tramutate in uno Stato orwelliano (la “Società del Controllo Totale”).
-In secondo luogo, il mito del “Miracolo Economico Europeo”, che altro non era stato se non la conversione, ad usi civili, del formidabile apparato industriale costruito dall’ Europa per le due Guerre Mondiali, si è rivelato altrettanto illusorio. Tant’è vero che, già appena 25 anni dopo, con l’Autunno Caldo, con la Crisi Petrolifera, con la concorrenza dei Paesi in Via di Sviluppo, con le crisi finanziarie, con l’ 11 Settembre, con la crisi dei subprimes, con la guerra economica con la Russia, l’economia europea non si è mai più veramente risollevata, e viene paragonata, sotto molti aspetti, a quella degli anni ’80-‘90 .
-Poi, non si è ancora preso atto del fatto che la rinascita dell’ Asia, sotto tutti i punti di vista – culturale, politico, economica e militare-, non costituisce una strana eccezione storica, bensì la regola attraverso i millenni, giacché, nel passato, i “pesi” relativi dell’India, della Cina e dell’ Occidente nel suo complesso (comprensivo del Medio Oriente) erano stati sostanzialmente pari, salvo in alcuni periodi, come il Medioevo, nel cui caso la preminenza della Cina era stata assoluta, sia dal punto di vista economico (imperi Song), sia da quello politico (impero mongolo). Al contrario, come dimostrato da autori come Chowdhury e Goody, è il sottosviluppo di India e Cina ad essere eccezionale: soltanto il deliberato spostamento del baricentro mondiale conseguente alla Battaglia di Plassey (1757), alle Guerre dell’ Oppio (1839 al 1860), alle rivolte dei Taiping (1851-1864)., dei Sepoys (1857) e dei Boxer (1899-1901), aveva provocato anche il trasferimento del centro economico in Occidente. Risulta pertanto ovvio che già solo l’indipendenza ha permesso di riportare quasi automaticamente le performances economiche di quei Paesi ai livelli che derivano naturalmente dalle loro dimensioni demografiche, territoriali, statuali e geopolitiche.Sarebbe vano, per l’ Europa, tentare di rovesciare questa situazione generale. Ma, almeno, non si dovrebbe essere costretti a subirla di più di quanto non stia subendola l’ America. Di converso, com’ era successo spesso nella storia, l’ Europa potrebbe prosperare partecipando alla prosperità dell’ Asia, come si faceva nell’ Antichità con il Medio Oriente e l’India, e come nel Medioevo con la Via della Seta. L’Europa sta già profittando indirettamente della rinnovata prosperità asiatica, con lo sviluppo dei propri commerci ( Siemens, Alstom), e gl’investimenti asiatici in Europa (PSA, Volvo, Jaguar, Ittihad). Tuttavia, vi sono ancora spazi immensi da esplorare, nell’ ITC e nelle alte tecnologie (dove la Cina sta superando gli Stati Uniti), nel turismo e nella cultura (dove ci sono 100 milioni di Cinesi in attesa di viaggiare per il mondo). Tuttavia, tutti gli sforzi dell’ “Occidente” (Trattati di Libero Scambio, rilancio dell’opzione militare, guerra commerciale con la Russia) mirano a rendere impossibili queste sinergie, proprio perché un’eventuale prosperità europea indotta dal comnmmercio con l’ Asia scalfirebbe la retorica dell’America quale “leader economico dell’ Occidente” e, infine, del mondo.
-Poi, il mito della “mano invisibile del mercato”, in ossequio al quale gli Europei hanno smantellato le loro industrie con il “laissez-faire” (senz’altro, quelle militari, ma poi anche quelle automobilistiche e di alta tecnologia), mentre invece, negli stessi anni, prima gli Stati Uniti, poi la Cina, hanno creato, con una politica pubblica proattiva, colossi come la Lockheed, l’IBM, l’Apple, Google, Amazon, Lenovo, GAIC, Chengdu, Baidoo, Alibaba, e ora stanno perfino ripudiando il WTO, e ricreando barriere protezionistiche che ricalcano quelle dei blocchi militari che si stanno creando in Europa Orientale, sul Pacifico e in Medio Oriente..
Poi ci si stupisce del continuo arretramento dell’ Europa, che viene attribuito, assurdamente, all’ “eccesso di burocrazia”, quando, in America, parecchie decine di milioni di persone lavorano, direttamente o indirettamente, per il Dipartimento della Difesa, mentre in Cina già solo i membri del Partito Comunista sono 85 milioni. E tutti costoro lavorano in gran parte proprio per sostenere le rispettive industrie nazionali. La realtà è che le pretese “riforme” che l’ Europa dovrebbe realizzare secondo il “mainstream” accademico e politico dovrebbero servire a ridimensionare il ruolo degli Europei nel mondo, adattandoli a ruoli subordinati, di subfornitori di prodotti desofisticati.
Ancora oggi, si continua così a girare intorno ai veri problemi, come l’assenza di una politica economica europea, l’ingiustificata forza dell’ Euro, gli aiuti fuori luogo alle multinazionali americane (come il trattamento fiscale delle multinazionali dell’ informatica), che, uniti alla mancanza di aiuti ai nostri “campioni europei”, non permettono alle imprese europee una crescita pari, o anche solo lontanamente paragonabile, a quella dei colossi americani e cinesi.
Se, dunque, non solo non esistono, ma, addirittura, vengono via via fatte estinguere quelle che erano le fonti di potere e di ricchezza per l’ Europa, come per esempio il Concorde, la Olivetti, la British Leyland, l’Eurofighter, la Volvo, la Nokia, come si può pensare che non decrescano anche i posti di lavoro, non solo e non tanto per i nostri operai, ma anche per i nostri colletti bianchi e tecnici, e soprattutto per i nostri managers e per i nostri imprenditori? A nulla varranno la riduzione dei salari e delle garanzie, né la facilitazione degli investimenti esteri. Intanto, i posti di lavoro vengono trasferiti altrove, in Paesi che difendono meglio le proprie imprese.
Ancor oggi, si continua a non voler vedere che, nell’ attuale quadro geopolitico, non vi sono le basi fattuali su cui costruire il futuro, e che tutti i dati statistici disponibili rivelano l’arresto di ogni sviluppo: solo il 45% della popolazione europea fa parte del mercato del lavoro; i veri e propri disoccupati sono almeno 20 milioni, la crescita si è fermata ovunque, anche in Germania, mentre in altri Continenti, come la Cina, essa prosegue senza interruzione da 70 anni al tasso medio del 7,5%.
Ancor oggi, non si vuole riconoscere che stiamo ancora conducendo operazioni semplicemente autolesionistiche, che ci costano ciascuna annualmente parecchi punti del PIL, come tenere artificialmente alto il tasso di cambio, condurre una guerra economica contro il nostro principale partner commerciale, la Russia, ed effettuare spese assurde in un momento di crisi, come acquistare degli F35 che, oltre a non fare avanzare la nostra industria, notoriamente non funzionano, e, quindi, anziché costituire un deterrente per “il Nemico”, sono per quest’ultimo, un vero e proprio “invito a nozze”.Infatti, secondo gli esperti internazionali:
- gli F35 non sono ancora operativi;
- dimostrano delle debolezze nei confronti dei loro concorrenti russi e cinesi;
- non sono nemmeno comparabili con gli aerei “di 6° generazione” che gli USA, contrariamente alla Cina, non hanno neppure cominciato a sviluppare.
Nel nostro breve e affrettato documento per le Istituzioni, abbiamo abbozzato una serie di proposte, a breve, medio e lungo termine, che le Istituzioni potrebbero e dovrebbero avviare per frenare e, poi, contrastare, questa decadenza.
Il Parlamento Europeo, nell’ oramai storica risoluzione del 12 marzo 2012 (l’”Habeas Corpus Digitale”,di cui al nostro Quaderno n.1, “L’Habeas Corpus Digitale”, cfr. http://www.ultimabooks.it/l-habeas-corpus-digitale-e-le-nuove-tecnologie-in-europa), aveva finalmente posto il mondo informatico al centro dell’ attenzione politica. Nelle “priorità” di Jean-Claude Juncker, l’accento è stato posto invece sul ruolo che l’ “Agenda Digitale” europea (vale a dire sui progetti in materia informatica già in corso presso la Commissione, che si riducono a un’ulteriore liberalizzazione del mercato digitale), potrebbe avere per diminuire la disoccupazione.
A nostro avviso, ambedue gli approcci sono apprezzabili, ma parziali. Da un lato, il contributo sperato dalla Commissione, per l’ Agenda Digitale, alla riduzione della disoccupazione, si ridurrebbe, nell’ ipotesi più ottimistica (citata da Juncker), a tre milioni di posti su 5 anni, mentre, come abbiamo visto, i disoccupati sono almeno 20 milioni, e, dall’ altra, la tutela dei diritti degli Europei contro lo spionaggio digitale, auspicata dal Parlamento, non potrà essere ottenuta se non con la creazione di una vera e propria industria digitale europea. Infatti (come illustrato, per esempio, da Greenwads, Rampini e Assange) la violazione della privacy è intrinseca nello stesso sistema americano del web, che non per nulla ha alle sue spalle 60 anni di gestazione segreta presso agenzie militari, e decine di milioni di persone impiegate da queste ultime nello spionaggio, e che si finanza da anni commercializzando a loro insaputa i profili personali di tutti i cittadini del mondo. Tale sistema non può pertanto accettare (come ha confermato l’ Ammiistrazione), né il divieto di spionaggio, né quello della conservazione dei dati.
Se si vuole, come giustamente pretende il Parlamento, che i dati dei cittadini e delle imprese europei restino riservati, l’unica soluzione è costruire ex novo una rete europea, con i server e i motori di ricerca in Europa, custoditi da militari europei e sotto il controllo dei giudici europei. E farlo immediatamente.
Tutto confluisce dunque nel richiedere che si crei, ex novo, una serie di nuove industrie di alta tecnologia in Europa: un’industria delle telecomunicazioni, un’intelligence digitale europea, providers e motori di ricerca europei, e.commerce europeo, e.publishing europeo, industria europea aerospaziale e di difesa, partendo da tre concetti:
-che la sola industria digitale (quale prevista per esempio nell’ Agenda Digitale dell’ Unione Europea) non può fornire sufficienti posti di lavoro per far fronte immediatamente all’enorme disoccupazione esistente;
-che le industrie informatiche sono, oggi, strettamente connesse a un’altra serie di attività che, anche per il metodo sistematico con cui è oggi possibile gestirle grazie all’ informatica, ben possono considerarsi come “industrie” – come quella culturale, quella editoriale, quella turistica, quella aerospaziale, quella della difesa (le “Imprese ad Alto Contenuto di Conoscenza”)-. Esse possono contribuire in grande misura, se adeguatamente riorganizzate, a incrementare l’occupazione, soprattutto ai massimi livelli (imprenditori, intellettuali, managers, specialisti, tecnici, colletti bianchi), permettendo anche una riqualificazione complessiva verso l’alto, grazie alle nuove tecnologie;
-che queste industrie hanno normalmente un importante mercato “captive” nazionale (per motivi linguistici, logistici, di appalti pubblici, di legami con la Difesa, di riservatezza, ecc..). Poiché sono, in genere, mercati su cui gli Europei sono per nulla o poco presenti (come per esempio quello dei motori di ricerca, quello dei cacciabombardieri di 5° e di 6° generazione), si può presumere che, non appena nate delle nuove imprese europee, queste potrebbero aggiudicarsi in pochi mesi una larga parte del mercato – come ha fatto per esempio Baidu, che, in 4 mesi, ha conquistato il 70% del mercato cinese (ovviamente, togliendolo a Google) -. Un mercato, e quindi di posti di lavoro, sarebbero praticamente assicurati. Orbene, Baidu impiega direttamente più di 30.000 persone. Ora, moltiplichiamo 30.000 posti per il numero di “Società Europee” che riusciremo a creare, e avremo qualche milione di posti che si possono ottenere in pochi mesi con un investimento modesto, di cui solo una piccola, o piccolissima, spesa di carattere pubblico. Gli altri li metterebbero i privati, grazie, appunto, ai mercati assicurati, e alla prospettiva di arricchirsi rapidamente come i loro omologhi cinesi.
Nel nostro studio si ipotizza, poi, che , per raggiungere quest’obiettivo, che tutti certamente giudicheranno irrealistico, si cumuleranno invece, in realtà, i vantaggi di quattro strategie:
-la creazione di società europee sul modello dell’Airbus e dell’ Arianespace.Questi veicoli non richiedono necessariamente fondi freschi, perché in realtà sono dei “pool” di risorse esistenti, per concentrarne le forze su obiettivi europei, invece di disperderle, come usuale, fra progetti nazionali, internazionali e NATO;
-la mobilitazione, sempre sui modelli di Arianespace e Airbus, di una pluralità di forze, pubbliche, private, europee, internazionali, ecc…, in modo da ottenere il sostegno più vasto possibile;
-mobilitare l’opinione pubblica, in modo da sormontare le inevitabili opposizioni;
-creare un quadro normativo adeguato, rifuggendo soprattutto dal pericolo che, con il “TTIP” (Trattato Transatlantico), ci venga infine vietato di proteggere le nostre industrie nascenti così come gli USA hanno protetto, fino ad oggi, Lockheed, Google, Apple, ecc.., e come la Cina sta proteggendo le sue.
In pratica, l’ esecutivo Europeo dovrebbe “aprire dei tavoli” per definire i progetti, sviluppare questi ultimi, creare un team iniziale e un “business plan”, creare un veicolo finanziario e sollecitare l’investimento dei vari Enti, riorientare verso questi progetti gli strumenti finanziari esistenti, accompagnare il progetto come sponsor e azionista di riferimento.
Crediamo che si potrebbero creare dei fondi specializzati in cultura, servizi, industria, e delle holding finanziarie per settori specifici, come e.publishing, turismo, telecomunicazioni, servizi in rete, i quali, a loro volta, potrebbero promuovere le singole “Società Europee”, come quella per la gestione della rete, il motore di ricerca, il “cloud computing”, la navigazione satellitare, gli e.book, l’”e.commerce”, l’”e.tourism”. In molti casi, si potrebbero utilizzare, e/o riqualificare, le “Società Europee” esistenti, come Arianespace e Airbus.
Il problema fondamentale è che, pur essendo evidente che queste cose sono necessarie e urgenti, nessuno ha mai avuto il coraggio di proporle, ma nemmeno di dirle, perché schiacciato dal terrorismo culturale dell’opinionismo “mainstream”, che domina politica e accademia, media e professioni, imponendo quei vecchi clichés, marxisti o liberisti, monetaristi o tecnocratici, che oscurano la realtà e permettono il perpetuarsi dei “poteri forti”.
E’ ora di seguire anche qui il motto di Sol’zhenitsin: “Vivere senza menzogna”. Una volta che si instaura la “Glasnost’”, la “Trasparenza”, come sembra stia facendo la Commissione, le costruzioni di potere costruite sull’ipocrisia crollano da sole, come un castello di carte -così come è crollata l’Unione Sovietica ed è emersa, al suo posto, la Russia-.
Così, abbiamo deciso di proporre semplicemente queste nostre considerazioni ai diretti responsabili, per richiamarli, in questo momento decisivo, alla sostanza delle cose, incitandoli ad adottare soluzioni adeguate ai problemi, e capaci di risolverli.
Ovviamente, inviare il nostro studio ai responsabili delle Istituzioni europee non basta. Occorrerà anche un follow-up, incalzandoli tutti affinché esaminino i problemi e li seguano. Faremo anche questo.
Nel frattempo, abbiamo raccolto, e stiamo rilanciando, due proposte interessanti,l’una del Ministro Franceschini, l’altra del Tedesco Haas.
Franceschini ha fatto giustamente presente, alla riunione di Torino dei Ministri della Cultura della UE, che l’attuale aliquota del 22% sugli e.book è un’assurdità, e un’evidente disparità con i libri, che sono tassati al 4%. Questo anche nell’ ottica di creare una forte industria europea degli e.book. Sarebbe però paradossale che, in assenza di questa, se ne dovesse avvantaggiare ancora una volta Amazon. Dove andrebbe allora finire il principio della “Differenza Culturale” sposato per altro meritoriamente dallo stesso Franceschini?
Quanto a Haas, quest’ultimo ha fatto notare che la dimostrazione, da parte di Google, del fatto che essa non abusa della propria posizione dominante potrebbe essere data solo pubblicando il famigerato algoritmo utilizzato per stabilire il posizionamento (“ranking”) di ciascuna voce su Internet, in quanto solo così si potrebbe stabilire se questo si fonda (come afferma) su criteri obiettivi o meno. A nostro avviso, è però la stessa segretezza del logaritmo a costituire un abuso, in quanto, paradossalmente, l’intera società internazionale si muove in base a regole (quelle di Google), che sono note solo al vertice di quest’ultima e alle Forze Armate Americane, che ne hanno finanziato lo sviluppo. Nel caso di un prevedibile rifiuto, da parte di Google, di pubblicare il logaritmo, Haas chiede comunque che l’antitrust emetta un “Order to Divest”, cioè costringa Google a scindersi in una pluralità di imprese, spezzando, così, il suo monopolio. Occorrerebbe, però, che, soprattutto in tal caso, la professione informatica europea fosse preparate a sfruttare l’occasione, ché, altrimenti, questa sarebbe raccolta solamente dai molti concorrenti extraeuropei che già esistono a Google (come le cinesi Soso, Chihoo e 360, la coreana Naver, la Russa Yandex).
Come si vede, c’è materia per un’infinità di battaglie civili, che saremmo lieti di intraprendere, che Vi invitiamo a sostenere, e sulle quali non mancheremo di tenervi informati.
http://www.articolotre.com/2014/09/rilanciare-leconomia-con-la-tecnologia/
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