mercoledì 13 agosto 2014

... Adesso anche in questo caso ci sono i preavvisi, le previsioni, gli allarmi e la paura già da anni ... ma non ci sono simulazioni concrete in caso di tempi di inizio e fine eruzione potente/evacuazione ... non c'è un progetto, una via o sistemi di fuga, magari con 30 elicotteri, o altre che io non so, ma che gli esperti devono sapere ... e nonostante tutte le esperienze negative storiche su fatti disastrosi nonostante precedenti allarmi con denunce vuoi vedere, io spero proprio di no, che se dovesse mai succedere una eruzione forte accade un macello?
Ma non siamo stufi di chiudere il cancello quando ormai il gregge è uscito?
"Le Scienze" dedica l'ultimo numero proprio al vulcano e analizza la situazione. Già perché gli allarmi si susseguono. "L’ultimo, in ordine di tempo - scrive il direttore Marco Cattaneo - è stato nel dicembre 2013. Pochi mesi prima, in settembre, era toccato a un vulcanologo giapponese. E nel 2011 Katherine Barnes su "Nature" lo aveva addirittura definito «la bomba a orologeria d’Europa»".
Ma quanto è serio il rischio di una nuova eruzione? E siamo pronti ad affrontarla? No. O quantomeno, in linea teorica sarebbe anche possibile ma in pratica i piani di evacuazione approvati dal governo Letta sono ancora sconosciuti Nessuno dei 700 mila residenti nell’area di rischio, tanto meno quelli delle aree circostanti, sa cosa dovrebbe fare se scattasse l’allarme. Il risultato? Un unico grande ingorgo dove rimarrebbero tutti bloccati.




"Rischio Vesuvio". "Le Scienze" dedica la copertina al vulcano: "Se eruttasse l'evacuazione sarebbe possibile?"


VESUVIO
tipsimages

L'ultima eruzione del Vesuvio è costata la vita a 26 persone. Era pomeriggio del 18 marzo 1944 e si protrasse fino al 29 marzo. In realtà la prima fuoriuscita di lava è cominciata qualche mese prima, 71 anni fa, il 12 agosto 1943. L’evento, che si verificò poco dopo lo sbarco in Italia delle truppe alleate, colse di sorpresa gli americani e causò loro ingenti danni: uno stormo composto da 88 bombardieri B-25 che si trovava nel campo di atterraggio di Terzigno fu interamente distrutto dalle ceneri.Ceneri che causarono la morte di parte delle 26 vittime, travolte dal crollo dei tetti sotto il peso dei materiali vulcanici.
"Le Scienze" dedica l'ultimo numero proprio al vulcano e analizza la situazione. Già perché gli allarmi si susseguono. "L’ultimo, in ordine di tempo - scrive il direttore Marco Cattaneo - è stato nel dicembre 2013. Pochi mesi prima, in settembre, era toccato a un vulcanologo giapponese. E nel 2011 Katherine Barnes su "Nature" lo aveva addirittura definito «la bomba a orologeria d’Europa»".
Ma quanto è serio il rischio di una nuova eruzione? E siamo pronti ad affrontarla? No. O quantomeno, in linea teorica sarebbe anche possibile ma in pratica i piani di evacuazione approvati dal governo Letta sono ancora sconosciuti Nessuno dei 700 mila residenti nell’area di rischio, tanto meno quelli delle aree circostanti, sa cosa dovrebbe fare se scattasse l’allarme. Il risultato? Un unico grande ingorgo dove rimarrebbero tutti bloccati.
Piuttosto, è vero che siamo così impreparati? No. O almeno, forse no. In verità il Vesuvio è uno dei vulcani più monitorati del mondo, insieme al Mauna Kea e al monte Fuji, di un cui risveglio le cronache hanno parlato di recente, sia pure risparmiandosi l’enfasi vesuviana. In più oggi, a differenza dei terremoti, le eruzioni vulcaniche sono prevedibili, almeno entro certi margini temporali, sebbene non sia possibile quantificarne l’entità. Se il Vesuvio dovesse rientrare in attività, dunque, avremmo il tempo di intervenire, evitando un’ecatombe.
Sì, ma i piani di emergenza? Ci sono. Come racconta Silvia Bencivelli nel servizio di copertina di questo numero, sono stati messi a punto con il contributo e la collaborazione dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, della Regione Campania e dei Comuni interessati.
E il 14 febbraio scorso Enrico Letta, allora presidente del Consiglio, ha firmato il nuovo Piano nazionale di emergenza per il Vesuvio, che ha rivisto i confini delle aree da evacuare in caso si ravvisino i segnali di un’eruzione imminente. Si tratta di circa 700.000 persone, che risiedono in 25 Comuni delle province di Napoli e Salerno, da trasferire nell’arco di tre giorni.
Il servizio della giornalista scientifica Silvia Bencivelli è dedicato proprio al piano di emergenza approvato a febbraio e in vigore da metà maggio che allarga l’area di rischio da 18 a 25 comuni e include alcuni quartieri di Napoli Est. "Per la prima volta il piano distingue l’area in due parti: zona rossa 1 e zona rossa 2. La zona rossa 1 è esposta al rischio di flussi piroclastici. La zona 2, invece, la circonda ed è l’area nella quale in caso di eruzione esplosiva si possono verificare piogge di materiali piroclastici, cioè massi incandescenti e lapilli, come nel 1944".
Ma l'evacuazione è affrontabile? La risposta è no. O almeno così risponde il Corriere del Mezzogiorno che riprende l'articolo.
Come ha fatto notare il solito Mastrolorenzo alcuni giorni fa in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno , non ci sono i piani comunali, senza i quali il piano nazionale può risultare una sorta di scatola vuota. Nessuno dei 700 mila residenti nell’area di rischio, tanto meno quelli delle aree circostanti, sa cosa dovrebbe fare se scattasse l’allarme. Certo è stato stilato un elenco dei comuni italiani gemellati con i 25 a rischio, ma come si potranno raggiungere nella sventurata ipotesi di un allarme eruzione? Nelle poche prove di evacuazione effettuate anni fa, qualche decina di finti sfollati furono caricati a bordo di autobus e portati in giro per l’Italia.
Tempo perso se si considera quante sono le persone da evacuare in caso di allarme. Attenzione, anche in caso di un allarme al quale non segua davvero un’eruzione. Comunque, per trasferire 700 mila persone occorrono 8.750 autobus da 80 posti, i più grandi. Che dovrebbero affluire nella zona vesuviana non si sa bene da dove e dove. Ma immaginate: scatta l’allarme e qualcuno – chi? – si mette al telefono per trovare migliaia di pullman. Assolutamente inverosimile.
Spiega Edoardo Cosenza, professore di ingegneria della Federico II e assessore regionale ai Lavori pubblici, a Le Scienze. Nella zona sono immatricolate 300.000 automobili private. Quindi se si impone di usare una macchina per almeno due persone, cioè l’autista e almeno un passeggero, significa che almeno 600.000 si evacuano da sole. Per gli altri, al massimo 100.000 persone, è allo studio l’ipotesi di indirizzarli verso le stazioni ferroviarie, così la necessità di autobus dovrebbe poter essere coperta dalla sola Regione Campania».
E conclude Il Corriere:
"Va bene, allora scartiamo i pullman e facciamo qualche conto sulle auto: per 600 mila persone, caricando a bordo non due ma tre persone, sono necessarie 200 mila vetture. Considerando una lunghezza media di quattro metri per auto si ottiene una fila di 800 chilometri. Ma supponiamo di farle marciare in fila per due, metà verso Nord e metà verso Sud, si creerebbero 200 chilometri di coda in entrambe le direzioni. Oppure, più probabilmente, un unico gigantesco ingorgo nel quale rimarrebbero bloccati tutti".

Le eruzioni del Vesuvio

  Eruzione del Vesuvio del 79 d

 Eruzione del Vesuvio del 1944

 Il Vesuvio visto da Pompei in un'antica stampa

 Lava del Vesuvio a Massa di Somma

 Ricostruzione della morte di Plinio il Vecchio in una stampa del XIX secolo

 The Last Day of Pompeii, dipinto di Karl Pavlovič Brjullov del 1830-183

 Una vecchia immagine del Foro di Pompei con il Vesuvio sullo sfondo (anteriore al 1914)

http://www.huffingtonpost.it/2014/08/10/vesuvio-rischio-evacuazione-impossibile_n_5666075.html?utm_hp_ref=italy

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