mercoledì 5 febbraio 2014

ETTORE D’AURIA E L’OPINIONE PUBBLICA
Il dottor Ettore D’Auria ha gentilmente rilasciato la seguente intervista a Francesco Bergamo, direttore responsabile dell’Agenzia Informatore Economico-Sociale.Dottore, lo scopo di questa intervista è quello di dare agli studiosi della pubblica opinione la possibilità di studiare la materia da una diversa visuale. Le farò cinque domande.
Dottore, nel corso della sua vita privata e professionale si è mai posto la domanda da cosa sia regolata l’opinione pubblica?
«Sì. Sono stato questore e durante l’esercizio della mia attività professionale ho sempre dovuto attingere dalle notizie che mi arrivavano dalla strada, anche attraverso il filtro della stampa, sulle informazioni che l’opinione pubblica mi indirizzava. Ovviamente per il lavoro che svolgevo era importantissimo avere e mantenere buoni rapporti con gli organi d’informazione. Spesso i giornalisti si sono comportati da veri professionisti e non insistevano oltre il dovuto per avere notizie di prima mano e da fonte autorevole, specie sui casi di criminalità. Esisteva un rapporto semplice, chiaro e sincero. Se il caso non era chiuso, con prove che inconfutabilmente dimostravano la colpevolezza dell’arrestato, mi guardavo bene dal fornire qualche notizia che potesse infrangere o danneggiare sia la reputazione dell’uomo oggetto dell’indagine in corso, sia l’onorabilità della sua famiglia e cercavo di non danneggiare l’indagine in corso. Ovviamente era anche vero che c’era la necessità di calmare l’opinione pubblica, che risentiva dell’azione criminosa e che ne era rimasta turbata.

Per ovviare a questo dilemma e per evitare possibili illazioni da parte della stampa, optai per una strategia di comunicazione sicuramente semplice ma efficace: dire lo stretto necessario, senza fornire elementi che potessero provocare un’involuzione delle indagini in corso da parte della polizia e senza danneggiare l’indagato per evitare, fino a prove certe, di sbattere il “mostro” in prima pagina. Rimanevo d’accordo con i professionisti della comunicazione che appena possibile avrebbero avuto tutte le notizie per dare una corretta informazione ai lettori. Praticamente cercavo di lasciare l’opinione pubblica neutrale, fino alla fine. Poi, una volta concluso il caso, si sarebbe schierata da sola.
Devo fare una precisazione: mi sono accorto che la pubblica opinione è diversa dalla folla.
Guardi, io ho fatto moltissimo ordine pubblico. Anzi, posso dire di aver maturato una buona esperienza in questo campo. L’ordine pubblico è inteso come la polizia che accompagna gli scioperanti, i manifestanti, le tifoserie, ecc. Ebbene, devo dire che spesso la gente fraintende le due cose. Le faccio un esempio: durante gli scioperi i partecipanti esprimono in qualche maniera la loro opinione personale, ma visto che sono tutti assieme e la pensano nella stessa maniera, possiamo dire che si tratta d’opinione pubblica. Ma per esperienza personale devo dire che non si può considerarla sullo stesso piano dell’opinione pubblica nel senso classico del temine. Purtroppo non sono uno studioso di questa materia, ma la mia esperienza mi ha fatto rilevare alcuni indicatori che potrebbero essere interessanti: la folla quando è convinta di essere nel giusto, dunque non in malafede, si abbrutisce e si autoesalta. A questo punto ritiene un suo diritto passare da uno stato di quiete e civile ad uno stato d’alterazione e dagli effetti imprevedibili. Per questo penso che le due cose vadano separate. Forse esisteranno altre tipologie d’opinione pubblica, non lo so, ma questa differenza l’ho notata bene».

Quando, per la prima volta, ha preso coscienza dell’esistenza della pubblica opinione?
«Giovanissimo, ma prima di essere un poliziotto. Ero giovane e frequentavo l’Azione Cattolica. Conducevo uno stile di vita che era in linea con la mia adesione al movimento. Successivamente, visto che ero organico al movimento, venne automatica la mia candidatura (venni prescelto) per un partito politico di allora e partecipai alle elezioni comunali della città dove vivevo. Era una piccola comunità pugliese e fui eletto subito. Dunque fui uno dei primi consiglieri comunali eletti per la giovane età nell’Italia di allora. Feci dibattiti, orazioni, sedute di lavoro politico, insomma entrai in contatto diretto con l’opinione pubblica. Creavo l’opinione pubblica con il mio stile di vita e il mio comportamento pubblico. La mia condotta era il metodo per suscitare determinate simpatie nella comunità in cui vivevo. Successivamente decisi di arruolarmi nella polizia, era il 1959, per essere ancora più utile al mio Paese e nella convinzione che avrei dato di più al cittadino, inteso come spirito di servizio».

Dottore, il suo approccio al tema in questione è frutto di un percorso di studio o è dettato dall’istinto e dall’esperienza personale?
«Guardi, più che dall’istinto (che considero una parola animalesca) e più che da uno studio sistematico, io direi dall’esperienza personale. Anzi, posso dire che si fonda tutto sulla mia esperienza personale e che poi si sia evoluta. Innanzi tutto la mia attività politica e successivamente, quando entrai nella polizia, con l’esperienza sul campo, nel delicato settore dell’ordine pubblico. Tutto era incentrato sull’esperienza personale e sulle analisi degli eventi, cercando di studiare tutto quello che la realtà e le esperienze, anche di altri colleghi, offrivano. Ho vissuto la mia professione in un periodo storico burrascoso; il quadro sociale di allora era per certi aspetti sconosciuto alle generazioni di adesso, basti pensare che prestavo servizio negli anni che poi partorirono il terrorismo e le grandi manifestazioni in piazza dei lavoratori. Non era un’epoca facile, purtroppo ho perso degli amici e dei colleghi, che furono uccisi dai terroristi, uno tra tutti Alfredo Albanese. Dunque cercare di essere sereno e non toccato sentimentalmente, non era facile. Tutto questo può avermi fatto percepire una certa opinione pubblica, non so se fosse quella giusta o quella sbagliata, ma comunque era l’opinione pubblica con la quale mi dovevo confrontare».

Come e che sistemi usa per rilevare la pubblica opinione?
«Usavo e uso tuttora, anche se sono in pensione, un sistema tradizionale: i mass media. Purtroppo mi sono accorto che a volte manipolano le informazioni ed è per questo che non ho mai smesso di tenere i contatti personali diretti, proprio per avere un secondo canale di informazione e poter poi fare un’analisi comparata, ovviamente nel limite del possibile. Personalmente ho sempre cercato di dare solo informazioni certe e sincere. Pertanto, rilevavo l’informazione dai media e poi davo delle direttive e delle informazioni che non facessero montare l‘opinione pubblica e che questa in qualche modo creasse un’involuzione delle indagini in corso. Ripeto: dare informazioni sì, ma rovinare una persona o un’indagine della polizia no. Per quanto dicevo prima sulla folla, mi regolavo sullo stato di agitazione della massa e cercavo di controbilanciare con l’assoluta fermezza e la massima serenità d’animo e anche con una certa imperturbabilità facciale e posturale. Meno indizi si forniva alla folla e meno questa dava segni di irrequietezza».

Il suo metodo personale per creare una opinione pubblica a lei positiva: in che cosa consiste e con quali strumenti?
«Era, è e rimarrà lo stile di vita del singolo. Ritengo che sia la forma migliore per creare una opinione pubblica positiva. Le scorciatoie non vanno bene. Oggi sono molto preoccupato per la mancanza di contatti diretti che hanno i giovani del nostro Paese. Avere troppa informazione, paradossalmente, porta ad un isolamento del singolo. Viviamo nell’era della comunicazione e invece si assiste che la gente si muove, si aggrega e parla sempre meno. Non avere il contatto diretto con il mondo reale e affidarsi solo ai mezzi di comunicazione, anche se seri, non credo sia la risoluzione del problema. Sono convinto che questa sperequazione crei una certa cecità nei confronti della pubblica opinione e nella formazione della stessa».
Dottore, grazie.


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