giovedì 14 novembre 2013

SE BEPPE GRILLO E’ UN RAZZISTA, ALLORA LO SONO ANCHE IO

di LEONARDO FACCO
Beppe Grillo, che sicuramente ha il pregio di dire ciò che pensa con un linguaggio immediato e diretto, ieri è stato preso a male parole per una dichiarazione lanciata dal suo blog e che riportiamo integralmente: «La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della “liberalizzazione” delle nascite».
Buona parte della stampa progressista ha definito la sua affermazione “razzista”. La stessa cosa han fatto alcuni aderenti al “Movimento5stelle”. Il Partito Democratico – intimorito dall’avanzata elettorale dei grillini – ci ha marciato alla grande.
Non intendo entrare nel merito della questione posta legittimamente dall’artista genovese – che comunque rimane argomento di dibattito, anche su questo giornale suppongo – voglio, invece, prendere le sue difese, considerato che ha avuto il coraggio (che non gli manca di certo) di rompere, ancora una volta, la barriera del politicamente corretto, tanto cara ai falsi moralisti italiani.
Nella mia carriera da editore, ho avuto l’onore, ed il piacere, di pubblicare un libro di Giorgio Bianco intitolato “Vietato parlare”, ovvero il politically correct come minaccia per la libertà. Ripensando a quella pubblicazione, ecco che la buriana che s’è sollevata dopo le parole del comico ligure, sono l’ennesima conferma che gli officianti del culto del linguaggio perbenista, sempre così acribiosi nel coniare espressioni che non scalfiscano la sensibilità, la suscettibilità, la considerazione di sé delle categorie a cui si riferiscono, siano poi non meno attivi nell’utilizzo, anche a sproposito, di espressioni di disprezzo e di odio verso chi non è sufficientemente ligio agli interdetti e ai dettami da loro stessi sanciti. Non a caso per Grillo è subito scattato l’epiteto di razzista, quando, invece, sarebbe bastato leggere per intero il suo post per accorgersi che lui stesso prende le distanze dai “movimenti xenofobi”.
Niente da fare! Finché Grillo parla di acqua pubblica, di stop al nucleare, di energie verdi, tutto va bene madama la marchesa. Dogmi e slogan del popolo “corretto” sono rispettati. Non appena esce dal seminato delle liturgie collettiviste ecco che anche uno come lui finisce per esser preso a sculacciate.
Il vero problema – per parafrasare Giorgio Bianco – non sta tanto nella proposta in sé per sé di Grillo, che può essere legittimamente confrontata con altre nel mercato delle idee (per esperienza personale, potrei citarvi una sfilza di pidini, comunisti o altri sinistroidi che ne han piene le scatole dell’immigrazione selvaggia, nda), ma nel fatto che il comico ha violato il tabù che considera la correttezza politica e lo Stato un tutt’uno, da cui si desume che la correttezza politica assume tratti potenzialmente totalitari. Orwell andrebbe studiato e ristudiato.
Per mettetemi di concludere con le parole dell’autore di “Vietato Parlare”: «Il politicamente corretto riflette la vittoria della Controcultura, che da “movimento” si è fatta “regime” quando gli artefici di quella Rivoluzione Culturale degli anni Sessanta e Settanta hanno raggiunto i posti che contano nella società, nella politica, nei media, nelle università. Questi intellettuali “progressisti” hanno imposto così un nuovo linguaggio fatto di eufemismi per non offendere la sensibilità di determinati gruppi minoritari designati come “vittime” della società (neri, donne, omosessuali, handicappati e così via), hanno riscritto una nuova versione della storia dove la civiltà occidentale compare come responsabile di tutte le ingiustizie, hanno mitizzato le società preindustriali e precapitalistiche del Terzo Mondo, e hanno condotto una vera e proprio kulturkampf contro i segni e i valori della tradizione giudaico-cristiana, bollati di volta in volta come repressivi, maschilisti, omofobici, autoritari».
Per questa ragione vi dico che se Beppe Grillo è un razzista, allora lo sono anche io.

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