“QUO VADO?”, ALL’ESTERO! - IL SOCIOLOGO ILVO DIAMANTI SI CHIEDE IN QUALE PERIODO STORICO E' AMBIENTATO IL FILM DI ZALONE: "L’ITALIA FONDATA SUL POSTO FISSO DI ZALONE E’ UN PO’ CARICATURALE E DATATA. PERCHÉ L’ITALIA DEI GIOVANI È “PRECARIA”"
Ilvo Diamanti per www.espresso.repubblica.it
Ho assistito con attenzione “professionale” alla proiezione di “Quo vado?”, il film di Checco Zalone, diretto da Gennaro Nunziante. Naturalmente, io non sono un critico cinematografico. E neppure un esperto. Lo ero, di più, da giovane, quando seguivo e, a volte, conducevo i cineforum, nella provincia veneta.
Ma, poi, il lavoro e i viaggi (per lavoro: insegno in sedi universitarie diverse, lontane da dove risiedo) hanno preso il sopravvento. E ho ripiegato sui dvd e sugli streaming. Che ti seguono nei viaggi e in ogni trasferta. Anche se i film vanno guardati nelle sale cinematografiche. Al buio, in silenzio. Così, da qualche anno, anzi, da molti anni, al cinema ci vado saltuariamente. Spinto da mia moglie.
gennaro nunziante checco zalone
Perlopiù, a vedere film diretti o interpretati da
amici. Io, peraltro, ho perfino partecipato all’ultimo film di Carlo
Mazzacurati. Amico carissimo (e in-dimenticato). “La sedia della
felicità”. Dove, per venti secondi, ho recitato la parte di… me stesso.
L’esperto che analizza la società (del Nordest).
Così, ho accettato di vedere e commentare il film di Zalone con l’occhio
dell’analista sociale. E politico. Come di fronte a un ritratto
dell’italiano medio, dei suoi miti, dei suoi desideri, dei suoi valori.
D’altronde, com’è noto, è già avvenuto in passato. La commedia
all’italiana: ha raccontato l’Italia della ricostruzione e del miracolo.
Con realismo e ironia. Ma ciò è avvenuto anche in tempi recenti. Basti
pensare a Paolo Villaggio e al suo personaggio più noto: Fantozzi rag.
Ugo.
Il 1° gennaio arriva l'attesissimo nuovo film di Checco Zalone, "Quo vado?", atteso dai fan ma anche dagli esercenti dal momento che il suo ultimo film ha incassato la cifra record di 51 milioni di euro. Il nuovo film racconta la storia di Checco, un ragazzo che ha realizzato tutti i sogni della sua vita: vivere con i suoi genitori evitando così una costosa indipendenza, rimanere eternamente fidanzato senza mai affrontare le responsabilità, un lavoro sicuro ed è riuscito a ottenere un posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca.
Un giorno però tutto cambia: il governo vara la riforma della pubblica amministrazione che decreta il taglio delle province, Checco viene trasferito al Polo Sud. Il regista e attore barese ha scelto però di non fare promozione tradizionale e al posto del trailer sta diffondendo sulla sua pagina Facebook dei piccoli spot ironici autopromozionali.
Io stesso, nell’ambito del mio corso di Comunicazione Politica,
all’Università di Urbino, ho organizzato un seminario intitolato:
“Politica e spettacolo”. Anzi, “Politica è spettacolo”. Dove ho
invitato, fra gli altri, Antonio Albanese. Inventore e attore di alcune
straordinarie maschere del nostro tempo. Delineate, oltre che
interpretate, con la cura del sociologo. O dell’antropologo.
Penso a Ivo Perego, idealtipo del piccolo imprenditore della provincia lombardo-veneta. O, per altro e diverso “verso”, a Cetto La Qualunque. Maschera esemplare del politico-politicante del Sud (ma non solo), buffo e un po’ buffone. Al proposito, Albanese rivelò ai miei studenti, che «nessuna parola e nessuna frase è mia. Ho raccolto registrazioni in occasione di diverse elezioni locali. Nel Sud.
checco zalone quo vado 5
Ilvo Diamanti
La sceneggiatura è loro. Dei Cettilaqualunque
presenti sul nostro territorio». E che dire di Neri Marcorè (anch’egli
invitato ai miei corsi). Autore di “imitazioni” di successo, imitate
dagli stessi imitati. Come Maurizio Gasparri. Ma lo stesso discorso,
oggi, vale per Maurizio Crozza. Come dimenticare l’indimenticabile
maschera di Bersani? Più efficace dell’originale, purtroppo per
l’interessato.
Mi accorgo, ora, che il tentativo di spiegare il motivo per cui un
in-esperto di cinema, come me, venga invitato a commentare un film, per
quanto “eccezionale”, per numero di spettatori e volume di incassi, mi
ha portato lontano. Tanto lontano, che ora rischio di perdermi.
D’altronde, Francesco Anfossi, su “Famiglia Cristiana”, ha scritto che
«Zalone e il regista Nunziante spiegano l’Italia meglio di Ilvo Diamanti
o Giuseppe De Rita».
Naturalmente, De Rita non ne ha bisogno, ma io ci tengo a imparare dai
maestri. Tanto più se realizzano analisi di successo, come “Quo Vado?”.
Così ho guardato il film cercando di capire quanto l’Italia di Nunziante
e Zalone coincida con le mie rappresentazioni. E interpretazioni.
Premetto che mi sono divertito. Ho riso molto. E ho provato a
riflettere. Su quanto sia realistica e attuale «l’Italia malinconica e
meschina di Checco Zalone», come la definisce Goffredo Fofi su
“Internazionale”. L’Italia fondata sul “posto fisso”. («Cosa vuoi fare
da grande»? Chiede il maestro al giovane Checco. E lui, prontamente: «Il
“posto fisso”»). L’Italia che, mira, anzitutto, al pubblico impiego,
nei servizi dello Stato.
Checco Zalone, impiegato alla Provincia (chiusa per legge), disposto a
girare per il mondo, fino in Norvegia, fino ai ghiacci del Polo Nord,
pur di non rinunciare al “posto fisso”. Come gli ripete e gli
“raccomanda” il suo amico e protettore politico, interpretato da Lino
Banfi. L’Italia fondata sulla mamma e sulla famiglia.
Ebbene, la prima impressione è che questa raffigurazione è, forse,
puntuale, ma caricaturale. Ancora: valida soprattutto per alcuni settori
sociali e territoriali (gli adulti, il Mezzogiorno). E, comunque,
datata. Perché l’Italia dei giovani, è “precaria”. Non si ferma in un
“posto fisso”. I giovani, appena possono, se ne vanno dalla famiglia. Si
trasferiscono altrove. In Europa, nel mondo. Non per imposizione.
Nessuno li caccia. In un Paese di figli unici, figurarsi... Partono per
scelta e necessità. Perché 7 italiani - e 8 giovani - su 10 ritengono
che, per fare carriera, per trovare un impiego adeguato alle loro
aspirazioni, i giovani debbano andarsene. All’estero.
Tuttavia, a guardare i sondaggi realizzati da Demos, che utilizzo
regolarmente per le mie ricerche, l’Italia di Nunziante e Zalone pare
meno manierista e fantastica di quel che si potrebbe pensare. Proviamo a
scorrere alcuni dati.
Fra le caratteristiche che orientano la scelta del
lavoro, secondo gli italiani (aprile 2015), la più importante è
(appunto…) «che sia sicuro, senza rischio di perderlo e rimanere
disoccupati». La prima, per il 39% degli intervistati. La seconda, per
un altro 22%. Se sommiamo i due principali requisiti del lavoro, dunque,
oltre il 60% degli italiani attribuisce effettivamente al “posto fisso”
un ruolo importante. Anche se tra i giovanissimi (15-24 anni) conta di
più la “soddisfazione”.
Potendo scegliere un’occupazione per sé o i propri figli, inoltre, il
29% preferirebbe «un lavoro alle dipendenze di un ente pubblico». (La
quota sale a circa il 32% nel Sud.) Anche in questo caso, si tratta
della scelta più apprezzata. Seguita dal «posto in una grande impresa»
(22%). E dal lavoro in proprio o da libero professionista (18%, in
entrambi i casi). Di nuovo, però, la gerarchia delle preferenze cambia
fra i giovanissimi. Attirati soprattutto dalla libera professione.
Infine la famiglia. Secondo il 36% degli italiani, è ancora il soggetto
che tutela maggiormente i lavoratori. Più dello stesso sindacato,
indicato dal 16% del campione. D’altronde, «cosa distingue maggiormente
gli italiani dagli altri popoli»? Naturalmente la famiglia (28%). Poi,
«l’arte di arrangiarsi» (17%). Anche perché, agli italiani, è possibile
“arrangiarsi”, soprattutto grazie alla famiglia. È interessante
osservare che il ruolo della famiglia è riconosciuto anche dai giovani. E
dai giovanissimi. In misura maggiore della media.
Il profilo che emerge da questi dati, dunque, rende il “ritratto
dell’italiano medio” secondo Zalone meno caricaturale del previsto.
L’Italia appare ancora ispirata dal mito del lavoro fisso, nei settori
pubblici, statali. Attaccata alla famiglia. Soprattutto se facciamo
riferimento alle generazioni adulte e, ovviamente, anziane. A maggior
ragione (ma non solo) del Sud. Questo modello, però, si adatta molto
meno ai più giovani.
gennaro nunziante checco zalone
Abituati alla flessibilità, alla precarietà. Al
nomadismo. Per motivi di studio e lavoro. Ma, ormai, anche per passione.
Eppure anch’essi possono sperimentare la condizione di “professionisti
dell’incertezza” perché alle spalle hanno una famiglia. Un genitore o
(meglio) due con lo stipendio fisso. Impiegati, magari, nel settore
pubblico. Un nonno o una nonna con la pensione. Con una casa di
proprietà.
L’Italia di Zalone riflette, dunque, i valori e i riferimenti economici e
sociali che hanno accompagnato la nostra società, nel dopoguerra. Oggi
erosi dall’incertezza e dalla crisi. Ma ben piantati nella nostra
storia. E ancora resistenti. Appigli necessari per vivere e
sopravvivere. A chi resta - i più anziani. E a chi se ne va - i più
giovani. I quali sanno, comunque, di poter tornare. A casa. Dove c’è
sempre qualcuno ad attendere.
https://www.dagospia.com/media-tv/ilvo-diamanti-l-italia-fondata-posto-fisso-zalone-e-po-caricaturale-116948





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