mercoledì 30 luglio 2014

MASADA 1551 CAPITOLO 5

MASADA n° 1551 29-7-2014. ROMANZO. UNA SECONDA POSSIBILITA’- CAPITOLO 5

Pene d’amore - Il tradimento – La trasgressione  - Amare l’impossibile

"Cos'è questo mutare che sento?
È come il grano di giugno
come l'uccello che vola
e i semi dei calici.
Cos'è questa creatura che sento?
È come un fanciullo
che si alza e cresce e diventa vento
e albero e montagna.
Che cosa sono io adesso?
Che cosa sono stata fin'ora
per tutto il tempo che non c'eri?”

“Tu credi che l'amore sia quella cosa
che ti hanno raccontato
non metti in conto le solitudini le delusioni i tradimenti
non metti in conto le giornate rotte o spezzate
le parole di troppo quelle sbagliate
le notti nere i momenti bui
le albe pallide e vuote
e quelle domeniche
che non passano mai
non metti in conto i denti stretti
i pugni nelle tasche
le lacrime schiacciate nel cuscino
e a volte quell'abulia tremenda
la vita che sembra un barattolo vuoto
da prendere a calci
L'amore non è quella cosa che ti hanno
raccontato
è come la vita stessa
che ci vuole grande vita
per viverla
l'amore è quella cosa che ci sei dentro
come un sopravvissuto
un naufrago a volte
un martire un eroe
un rompicoglioni
L'amore è quella cosa che o ci sei fuori
o ti fa dio”

Qualche persona romantica crede che si possa amare solo una volta nella vita e so che ci sono persone che non hanno veramente amato mai. Le statistiche dicono che in media ogni uomo ha sette donne durante la sua esistenza e che ogni donna ha quattro uomini, ma le statistiche sono aride elencazioni di numeri in cui non viene calcolata l’intensità di un rapporto né viene spiegato se queste sette donne o questi quattro uomini furono davvero grandi amori.
Io so che, anche senza conoscere la pienezza di un rapporto sessuale completo, ci si può innamorare, lo si può fare più volte nella vita e ci si può innamorare anche contemporaneamente di due persone diverse, come se il proprio essere si sdoppiasse in due persone distinte, di cui l’una non capisce come possa esistere l’altra, ma che provano intensamente un certo tipo di passione incompatibile con l’altra. E’ strano l’essere umano, complesso e indescrivibile, e dinanzi ai tumulti della passione si può fare ben poco, ché certi amore somigliano a degli invasamenti, in cui la persona non è colpevole ma vittima.
Nel mio destino ho incontrato centinaia di persone, donne e uomini, e ho ascoltato e ricostruito centinaia di storie. L’ho fatto come potrebbe farlo uno psicologo o un sensitivo o una figura ibrida che si trova a dover essere entrambe le cose, e so che il 98% dei problemi che mi sono vista davanti erano problemi d’amore, come se l’amore fosse la cosa più importante del mondo, anche se poi esso viene sistematicamente omesso e rimosso da media che parlano prevalentemente del potere e dei suoi risvolti più o meno fittizi o di faccende di sesso e di letto che spesso nulla hanno a che vedere con l’amore.
Per questo, quando ascolto pene d’amore e sento parlare di tradimento, cerco sempre di attivare un atteggiamento di comprensione e di compassione, come davanti a una malattia fatale, un atteggiamento che eviti in qualche modo la rottura e la vendetta, perché la rottura di una relazione che è stata profonda può contenere in sé molta più sofferenza della sopportazione e del perdono.
Da una parte l’essere umano è portato a veder nascere dentro di sé innumerevoli passioni per le quali non può fare nulla e che non può né combattere né sopire, come se fosse vissuto da forze che non gli appartengono e che lo defraudano della sua volontà e della sua intelligenza, d’altra parte ogni amante conosce il dovere imprescindibile dell’unicità in amore, della fedeltà alla promessa, e si sente ferito dalla sua rottura in un modo così profondo che può distruggere la sua vita.
Io credo che quando si ama intensamente qualcuno, la nostra energia e la sua si uniscano in una forma nuova, una energia formata da entrambi e che in tutti e due vive e cresce. Credo che si formi un’aura energetica nuova, generata dai due partner e che la rottura del patto d’amore la ferisca a morte, creando un dolore che non è nel corpo o dello spirito o del cuore, ma dell’energia, appunto, come fosse il frutto o il figlio delle due energie unite, in una ferita che permane al di là del tempo e dello spazio, in una menomazione del nostro essere energetico. Per cui arrivo persino a capire se non a giustificare chi uccide per amore.
Così, come l’energia dell’innamoramento ci nutre e ci vivifica, ci fa sentire giovani e splendenti, la sua rottura ci getta a terra nella disperazione, ci toglie ogni forza, ci distrugge. Può essere totalmente insopportabile.
Ma quello che accade nell’innamoramento non è facile da spiegare, non è  sempre responsabilmente attribuibile, non è decifrabile nei termini delle conoscenze umane, non è riducibile a scienza. Per questo gli antichi immaginarono un dio che scagliava a caso le sue frecce colpendo irresistibilmente coloro che dovevano innamorarsi, come se cadessero in un agguato divino.
E tale agguato è così desiderabile che chi non è infiammato d’amore ne spasima e si duole e chi brucia delle sue fiamme non riesce a parlare che di quello, non riesce a pensare che a quello.

Mi sono già lamentata, nella mia storia, di non aver conosciuto un rapporto sessuale normale ma di avere tuttavia amato, anche se in modo spesso tribolato e conflittuale, per 57 anni, lo stesso uomo, da quando ci siamo conosciuti che eravamo due ragazzini di 14 anni alla sua morte, e anche dopo. Questo lunghissimo amore durato più di mezzo secolo non ha impedito che io mi innamorassi altre volte e la cosa non deve sembrare strana, perché, come ho detto, la natura umana è indecifrabile e là dove non vorremmo mai andare ci porta a volte irresistibilmente.
Ma anche il mio più grande amore, conosciuto quando ero ormai una donna piena, di 40 anni, era destinato a rimanere non consumato, anzi inespresso, negato persino a me stessa. E solo ora che mio marito non c’è più fisicamente sento la necessità e quasi il dovere di parlarne, come per scaricarmi da una follia.

Ogni persona nasce con un kahrma. Non credo sia il persistere dell’energia di vite precedenti che si effonde anche in quella di adesso, ma credo sia il dovere di fare certe prove della vita e di adempiere a certi doveri.
Se il mio kahrma professionale era quello di essere una insegnante, la prova morale che dovevo affrontare e superare era quella di formare una famiglia.
Sono certa, perché l’ho sognato, che nella mia vita futura sarò un monaco buddhista in Cina, che famiglie non ne ha e che passerà la sua vita in meditazione su un consunto tappetino da preghiera, per salvare un mondo estremamente inquinato di cui vedo il cielo sporco e abbassato quasi irrespirabile. Ma in questo vita io, che ero nata col preciso intento di non fare una famiglia, mi sono ritrovata a dover far girare tutte le mie energie proprio attorno alla famiglia stessa, perché essa, che lo volessi o no, era al centro del mio destino. Per questo l’innamoramento è apparso come un baleno nella mia vita, come un fulmine a ciel sereno, come una prova kahrmica da superare. Ed è apparso mentre amavo mio marito.

In realtà il cielo di quel periodo non era molto sereno. Mio marito aveva le sue passioni segrete e le cose in casa non andavano molto bene, anzi non andavano bene per niente, al punto che aveva abbandonato per i tre mesi estivi me e mia figlia nella costruenda casa di montagna (abitavamo allora al piano terra di quello che poi sarebbe stato il piano principale ma che allora non era ancora finito), e non si faceva vedere quasi mai. E quando arrivava su, era distratto, irritabile, nervoso, spariva per giornate intere e un anno non prese nemmeno le ferie, preferendo restare in città chissà perché e chissà con chi.
Ma non fu per quello che mi sentii sola e mi innamorai.
Fu il destino, perché nulla era più lontano dai miei pensieri del tradimento, non solo per il mio lato puritano e tanto più in un paese così piccolo con gli occhi di tutti addosso e l’ostilità delle donne di paese, sempre avverse a me così cittadina e in qualche modo diversa da loro e così pronte a spiare e a spettegolare. E poi c’è sempre stato qualcosa nel tradimento che considero da bassezza, caduta personale, viltà, qualcosa di indegno a me stessa.

Ma fui presa in contropiede. Caddi in un trabocchetto. Restai vinta, senza più forze, fuori da me stessa, perduta.

Il primo inganno fu la bellezza.
Igor era bello, in modo travolgente E aveva 20 anni meno di me.
Io 40, lui 20. Una cosa improponibile anche all’anagrafe. Ma la follia dell’amore è quella di accendersi soprattutto per le unioni impossibili. Là sta la sua perversione e la sua insensatezza. Ché anzi le unioni impossibili sono quelle che lo accendono di più, unendo il fascino della trasgressione alla sofferenza dell’impossibile.
E, a complicare ancor più le cose, istantaneamente, insieme a me, si innamorò di lui, mia figlia di dieci anni, cadendo nella trappola ammaliante e perturbante del primo amore.
40 anni, 20 anni, 10 anni.
Tre impossibilità che non potevano che scatenare dolore.
Era così bello che di viso ricordava Scamarcio, stessa testa piena di riccioli scuri e pesanti come quella di un fauno, stessi occhi verdi o dorati, ombreggiati da lunghe ciglia, stessa bocca ben disegnata. Ma il corpo era più bello, alto, slanciato, con belle gambe, bella pelle, belle spalle.
Iuna, che lo vide un giorno per caso scendere di corsa la scaletta esterna, in calzoncini corti sulle lunghe gambe abbronzate e una improbabile camicia rosa, ne rimase abbagliata. E sì che di uomini lei se ne intendeva che con Marco in seconde nozze si era sposata l’uomo più bello dell’IBM. E subito disse. “Ma chi è quella meraviglia’?”
Igor aveva a Genova una ragazza che aveva accolto nel suo amore perché era rimasta orfana e suscitava la sua tenerezza. Una ragazza che vidi una volta, non bella ripiegata su se stessa, tristissima, con grosse poppe dondolanti. Ma quell’estate lui era sempre in casa mia.
Accoglieva, la mia casa di montagna, ogni sorta di bambino o ragazzo, ché la porta era sempre aperta e io, che non amo andare in giro e sono aliena dalle passeggiate, ospitavo per giornate intere bambini o ragazzi di ogni età, che giocavano con mia figlia e per cui io cercavo di preparare il meglio.
Poi il tutto si spostò al piano di sopra, quando fu finito, più ampio e con un bel salotto arioso con ampia portafinestra sempre aperta sul terrazzo con vista sulla valle. La casa era a 1100 metri ed era come se fosse sulla tolda di una nave, dietro aveva il paesino che nemmeno vedevo e davanti  la vista aperta delle montagne e della valle, in una prospettiva amplissima.
La casa era una specie di luogo di accoglienza, 12 ore su 12, per tutti gli abitanti del paese dai due anni ai 25. E per tutti io avevo giochi, libri, giornalini, cose da mangiare e da bere, videogiochi, intrattenimenti, musica…
Igor amava la musica e parlava quasi sempre di musica.
Non so in realtà di cosa parlasse. Non ricordo nulla di quelle ore e di quei discorsi. Era come se vivessi in un mondo a parte e le parole non avevano il significato di parole, le cose non riguardavano cose. Arrivava all’improvviso a qualsiasi ora, come una folata di primavera, con un suo cugino, giovane anche lui ma in sottordine e spesso una cugina che abitava poco sopra di me, e che aveva avuto una malattia che fin da piccola le aveva stortato lo scheletro, allungandole a dismisura le mani, una ragazza giovane, molto intelligente e arguta, sarcastica, feroce a volte, spiritosa, innamorata cotta anche lei persa di questa bellezza, e che vicino a lui sembrava risplendere e diventare più bella.
Le ore scorrevano così tra giochi, musica, chiacchiere, battute di giovani, allegria, un nulla che mi riempiva la vita.
Igor studiava economia e commercio e io che ero laureata in scienze politiche mi impuntai di voler sentire una sua lezione, con la pretesa di aiutarlo, tanto che fu gioco forza per lui portarmi un suo libro e recitarmi un qualche argomento di economia di cui non ricordo nulla, per cui lo ebbi a disposizione per un’oretta, da sola, guardandolo in pace. Per ascoltare la sua lezione economica fui obbligata a stargli vicina e a guardarlo da presso. Ero quasi contenta di notare finalmente qualche difetto: i punti neri, la pelle delle guance non sempre perfetta. Traevo una amara soddisfazione nell’enumerare i suoi difetti e nel rilevare che non era poi quello splendore che mi figuravo ma che era umano e non era una statua né un essere divino. Ma non servì a nulla. Anzi, quando per un po’ non lo vidi, presi a spasimare per la sua mancanza, tanto che quando finalmente apparve, coi riccioli aureolati dalla luce, sulla porticina della casa, contro sole, gli balzai incontro e lo baciai sull’orlo della bocca.
Non so perché venisse tanto spesso da me, o dovrei dire ‘da noi’, vista la venerazione di mia figlia che gli stava appresso ogni volta che lo vedeva.
In verità non fece mai nei miei confronti nulla che fosse disdicevole e una volta che incrociai le mani sotto il tavolo e incontrai le sue, le ritirò precipitosamente., Probabilmente l’infatuazione fu solo mia e lui e i cugini venivano da me solo perché nel paese c’era ben poco da fare e ben pochi posti dove andare.
Ma il mio innamoramento era tale che non riuscivo a pensare ad altri che a lui, mentre mio marito si fece prendere da una improvvisa gelosia e li invitò anche a pranzo, lui e i cugini, per poi vantarsi in modo pesante, durante il pasto, di presunti assalti amatori con me mai avvenuti nella nottata che mi riempirono di grande imbarazzo, perché era incongruo che lui ribadisse in modo così volgare il suo possesso, come se dicesse: “Questa donna è mia”.
Igor, non solo era sempre lì, ma ci chiamava, me e mia figlia, ‘le sue fidanzatine’, cosa che ripeteva anche davanti a mio marito, e anche questo mi riempiva di grande imbarazzo.
Ma non successe mai nulla.
Sono pochissime le cose che posso ricordare anche se con la memoria le ho percorse mille volte.
…un giro che facemmo nei prati, sdraiandoci tutti nell’erba alta, con Igor che era sdraiato accanto a me e che sbirciò intenzionalmente tra i bottoni della mia camicetta.
..una volta che con mia figlia arrivai fino al suo paese e lo trovai a torso nudo che spaccava la legna con un parente e quasi non ci salutò come imbarazzato e incupito che lo vedessi così.
…la volta che spinsi mia figlia a fare per lui un cartoncino dipinto dove feci disegnare a lei le parole e le cose che avrei voluto digli io e glielo diedi arrotolato mentre scendeva a valle di corsa, perché amava correre e girare per i boschi.
…la sera che tutto il gruppo dei giovani, con mia figlia, arrivò al paese vicino e io rimasi in casa ad aspettarli e non tornavano mai, perché era estate e la notte era bella e chiara. Ma io, sola, nella casa vuota, volevo solo il suo ritorno e mi maceravo al punto da sentire contrazioni al basso ventre come se fossi stata incinta e quando, finalmente, a notte inoltrata, mia figlia tornò con gli altri, quasi l’aggredii come se il problema fosse stato il suo ritardo e non la mia sofferenza per la sua assenza.
Cose assurde, di cui mi vergogno e avvampo al pensarle.
Ma ricordo anche la festa di paese, nelle piste da bocce e da ballo, appena sotto la mia casa e io che mi esibivo, davanti a tutti, come in un palcoscenico, con una maglietta verde senza schiena che mi copriva malamente il seno, con le belle spalle nude e abbronzate, l’abbronzatura bene in risalto sul verde smeraldo del top allacciato dietro il collo, e una gonna sottile nera a pallini bianchi plissettata che mi svolazzava attorno, sotto la cintura strettissima e degli zoccoletti col tacco bianco laccati, assolutamente inadatti ai sassi di montagna ma che mi facevano più belle le gambe abbronzate. E Igor che davanti a tutti mi metteva un braccio attorno alle spalle nude, come se fossimo una coppia. E chissà cosa avranno detto quelli del paese ma io ero come in un nuvola!
Ma in realtà nulla più di questo accadde.
La passione fu consumata nel segreto del mio cuore e mai mi lasciai andare a qualcosa che fosse accusabile di alcunché.
Ma un vivo senso di colpa in qualche modo si agitava dentro di me, tanto che sognai la madre di lui, nera nera, come una lugubre strega malefica, che mi lanciava coltelli dagli occhi come per una fattura per volermi togliere dalla vita di suo figlio. Era costei ai miei occhi molto simile a una strega di altri tempi, non solo per le fattezze dure, la pelle giallastra e gli abiti neri e il suo stare per proprio conto, lontana da tutti, ma perché l’avevo vista in una piazzola sulla montagna, mentre cercava i porcini facendo una strana danza, sempre vestita di nero e  scalza mentre batteva coi piedi tutt’attorno dove iniziano i cespugli e trovava così i funghi ancora bianchi e piccini, dissotterrandoli dal terriccio come li sentiva coi piedi.
E ricordo con estremo turbamento e paura la partita di calcio che gli ammogliati fecero contro gli scapoli, e mio marito partecipò con una furia che sul campo da gioco scatenò una vera rissa, dove appariva non lo sport ma il desiderio di picchiare e, se nessuno si fece male, fu un vero caso, perché l’aggressività che emerse  fu del tutto esplosiva.
Infine, purtroppo, ricordo che accadde che Igor perse il padre a cui voleva molto bene e lui capitò a casa mia accasciato dall’enorme dolore, distrutto da quella morte improvvisa e ci sedemmo ad un tavolo, e lui crollò nel pianto, e, piangendo, allungò le mani sul tavolo per prendere le mie e io…mi ritirai indietro.
Mille volte, nella memoria, ho ripercorso quei momenti e mi sono accusata di vigliaccheria, di mancanza di compassione. Ma come si fa, mi dicevo, a scansare le mani di una persona che soffre? Ma in quel momento non il suo dolore vidi ma la mia passione e mi scansai da quella.
Poi accaddero tante cose. Un vicino ci fece un danno materiale alla casa. Ne nacque una contesa. Quelli del paese presero le parti del colpevole. Mio marito ne restò ferito. Decise di mettere la casa in vendita. Ce ne andammo.
L’anno successivo restammo in città in una calura soffocante, lui in preda al dolore di aver dovuto svendere la casa che aveva costruito con le sue mani, io in preda a un vero lutto, come per la morte di un amore.
Igor mi telefonò una volta. Non era contento della città dove era iscritto per l’università e aveva espresso la vaga intenzione di spostarsi nella mia. Quando sentii la sua voce, fui presa dal panico e finsi che avesse telefonato per parlare con mia figlia e lo congedai rapidamente chiamandola dalla finestra, mentre giocava in cortile.
Non venne mai nella mia città.
Non si fece vivo mai più.
Io ebbi un vero periodo di lutto, come per la morte di una persona cara.
Per un anno e mezzo lo pensai ogni giorno, stesa sul letto, nella disperazione più profonda con la pancia che mi faceva male.
Scrivevo poesie d’amore per lui. Mi consumavo. Mille volte immaginai che suonasse improvvisamente alla porta mentre ero sola, e provavo a immaginare un incontro d’amore, ma non riuscivo ad andare più avanti dei preliminari. Nemmeno con la fantasia sono mai riuscita a concludere qualcosa. Poi presi a pensarlo sempre meno ma sempre il suo ricordo mi faceva sanguinare.
Quando molti altri anni erano passati, quando ero diventata ormai una vecchia signora di 70 anni, mia figlia ne aveva 40 e lui ne aveva 50, accadde che, andando a trovare mia figlia a Londra, lei mi dicesse di colpo che lo aveva cercato e aveva saputo che viveva anche lui in Inghilterra, anzi che si era spostato a Londra e che lo aveva invitato a cena con la moglie e la bambina ‘per quella sera’.
Io rimasi schiantata come un albero dal fulmine.
Mi vidi con angoscia com’ero, una vecchia signora sovrappeso dal viso triste, non più la bella donna dalle spalle nude e le gambe belle, splendente ancora di vitalità e personalità. Immaginai d’un colpo come era diventato lui, un cinquantenne senza più riccioli, con gli occhiali, ingrassato, invecchiato, ricurvo, senza lo splendore verde della giovinezza. Fu come se mi avessero imbrattato una immagine sacra. Il dolore mi squarciò, insopportabile. Per un istante odiai mia figlia che rovinava così il mio ricordo più bello, una cosa che si salvava solo se rimaneva un ricordo.
Ma, per fortuna, lui non venne.

……
dove dove cercarti?
piena mancanza non avuta mai
il dolore cocente
di perderti senza conoscerti
per scelta consapevole
per matura responsabilità

ma che ha a che fare
la matura responsabilità
con la follia dell’amore?
rinunciando a te
ho dovuto rinunciare alla follia del mondo
chi mi renderà la mia dolce follia?

senza di te vago come un corpo vuoto
una parvenza di vita
un pianto inespresso
che si attacca con rabbia alle cose
presenti
per mascherare l’assenza

come c’è sempre troppo o troppo poco di noi

sola o in compagnia
sono sempre sola di te
ogni giorno mi interrogo
cosa farà oggi il mio amore?
ho detto di no alla tua presenza
per dire di sì alla tua assenza
per tutto il resto della mia vita.

il mio corpo è rimasto qui e vive
gli altri lo vedono vivere
è tutto normale
dio come odio questo normale
ma io sono la mia rinuncia

e la mia rinuncia ha
ali e testa e madre e te
ed è felice altrove
dove tu sei
e ti vede venire
di nuovo
bello come una volta
solo per me.
.
INDICE ROMANZO


Regressioni a vite precedenti – La guarigione a distanza – Le visualizzazioni- I numeri simbolici


Le malattie psicosomatiche – Induzione e ipnosi come forma di terapia – Le verruche


Tutto comincia dalla testa – Talismani: la croce di Ankh – Rievocare altre vite o momenti traumatici del passato – Incubi ricorrenti – Leggere negli altri una storia fatta di tante storie


Isobare psichiche – Rane – La lezione del dolore – La lezione del piacere – La sessualità sacra – La verginità eterna – Ma cos’è l’orgasmo? – Eiaculazione precoce, vaginismo e omosessualità
.

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