Marco Trotta
«Dall’altra parte della strada e dall’altra parte del
vento. Dove si vede meglio». Non poteva trovare definizione migliore Massimo Bubola, l’altra sera a Bologna, in
concerto per una delle tappe del suo In alto i cuori tour, per
descrivere il suo personalissimo modo di scrivere e cantare canzoni. Uno stile
che si sente forte nell’ultimo disco che dà il titolo al tour. Undici canzoni,
tra ballate rock-blues ed echi tex-mex, che il cantautore veronese ha definito
«istant songs», racconto in presa diretta sul paese di oggi, diviso tra miserie
e speranze.
Durante il concerto le esegue quasi tutte e nello stesso ordine del disco.
Anzi, a ben vedere manca proprio «Analogico digitale» che è spesso citata perché
per le regole della notorietà fa più notizia visto che il testo è di Beppe
Grillo. Un Grillo d’annata, bucolico e deciamente antitecnologico, ben prima di
essere folgorato sulla via dei guru del web, mentre il resto viaggia sui canoni
classici del racconto di chi è dimenticato al quale ci ha abituato Massimo
Bubola. Ed il motivo lo spiega subito prima di cantare «Hanno sparato un
angelo», dedicata a Joy Zeng, bambina di nove mesi uccisa in braccio al padre un
anno fa a Roma: «Dobbiamo avere la capacità di guardare il presente, non solo
passato. E di riconoscere le cose belle con sguardo lungo oltre la logica dei
vip e della notorietà». E da qui comincia il cammino, il racconto delle storie
dimenticate, di «stragi di innocenti che non sono mai finite da Erode in poi»,
che continua ripescando «Fiume Sand Creek», canzone scritta con Fabrizio De
André trent’anni prima per raccontare il massacro di donne e bambini della tribù
Cheyenne e Arapaho compiuto il 29 novembre 2894 da un esercito guidato da John
Civington per altro alla vigilia di un trattato di pace. Sarà l’unica
concessione al repertorio fatto con Faber insieme a «Quello che non ho».
Forse non è un caso mentre in contemporanea c’è la terza serata di
San Remo a guida Fabio Fazio. Bubola è uno degli autori che ha lavorato
di più con Fabrizio De
André ma probabilmente è anche quello meno citato nelle
occasioni pubbliche, o meglio «televisive». Un tema su cui ritorna per una delle
tante battute che alterna all’esecuzione delle canzoni: «Chi ama la musica
guarda quella cosa lì, no? Non penso che debba esistere un solo tipo di musica.
Sono stato cullato dalle canzoni di Nilla Pizzi con mia madre, ma oggi per
sentire delle cose belle devi aspettare due ore. E’ come se ti dicessero ora
leggiamo delle poesia ma prima scandiscono lo stradario».
Bubola è fatto così: prendere o lasciare. E nel prendere sul cammino c’è
spazio per molti altri temi. Per esempio la crisi occasione per una dolente
riflessione in «Cantare e portare la croce» che si interroga soprattutto sul
futuro: «Perché i figli ritrovino pace/Perché troppo di niente può farli
morire/Perché il niente non può mai finire». Ma anche «A morte i tiranni»,
canzone contro tutti i governi oppressori della storia «che oggi non sono più
quelli con i baffetti o i baffoni, ma il marketing che ci omologa e ci costringe
ad adottare tutti lo stesso stile di vita». O «Capolinea dei sogni» dedicata
alla sua generazione «che sperava di cambiare il mondo, ed invece è stata
sconfitta. Ma mi ritengo ancora un sognatore che pensa certe battaglia vanno
comunque fatte, ed il mondo non si può misurare solo in termini di successi e
sconfitte».
Poi c’è l’amore in «Dostoevskij», «Nulla passa invano»,
«Ridammi indietro» e «Tre rose» occasione speciale nel giorno di San Valentino,
che per Bubola è sempre «un tema da trattare con le molle se non hai un fatto
personale da raccontare e vuoi evitare di dire cose già dette». Nel complesso
due ore di ottima musica con una band di quattro elementi, nella più classica
formazione rock-blues elettro-acustica, impreziositi dalla voce di Lucia Miller,
corista sul palco e compagna di Bubola nella vita, per uno spettacolo che riesce
ad essere intimo e coinvolgente. E forse per questo rende anche meglio il
messaggio finale di «In alto i cuori», canzone con la quale finisce: «In alto i
cuori quando tutto crolla ed il sipario non si alza più/ In alto i cuori se poi
senti lontano ridere e piangere e ridere di più». Un bisogno di speranza che per
Bubola è «un dovere di noi adulti» in tempi di «paesi finti». E non possiamo che
essere d’accordo con lui.
http://comune-info.net/2013/02/in-alto-i-cuori-quando-tutto-crolla/
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