giovedì 31 luglio 2014

In alto i cuori quando tutto crolla

Marco Trotta

 «Dall’altra parte della strada e dall’altra parte del vento. Dove si vede meglio». Non poteva trovare definizione migliore Massimo Bubola, l’altra sera a Bologna, in concerto per una delle tappe del suo In alto i cuori tour, per descrivere il suo personalissimo modo di scrivere e cantare canzoni. Uno stile che si sente forte nell’ultimo disco che dà il titolo al tour. Undici canzoni, tra ballate rock-blues ed echi tex-mex, che il cantautore veronese ha definito «istant songs», racconto in presa diretta sul paese di oggi, diviso tra miserie e speranze.
Durante il concerto le esegue quasi tutte e nello stesso ordine del disco. Anzi, a ben vedere manca proprio «Analogico digitale» che è spesso citata perché per le regole della notorietà fa più notizia visto che il testo è di Beppe Grillo. Un Grillo d’annata, bucolico e deciamente antitecnologico, ben prima di essere folgorato sulla via dei guru del web, mentre il resto viaggia sui canoni classici del racconto di chi è dimenticato al quale ci ha abituato Massimo Bubola. Ed il motivo lo spiega subito prima di cantare «Hanno sparato un angelo», dedicata a Joy Zeng, bambina di nove mesi uccisa in braccio al padre un anno fa a Roma: «Dobbiamo avere la capacità di guardare il presente, non solo passato. E di riconoscere le cose belle con sguardo lungo oltre la logica dei vip e della notorietà». E da qui comincia il cammino, il racconto delle storie dimenticate, di «stragi di innocenti che non sono mai finite da Erode in poi», che continua ripescando «Fiume Sand Creek», canzone scritta con Fabrizio De André trent’anni prima per raccontare il massacro di donne e bambini della tribù Cheyenne e Arapaho compiuto il 29 novembre 2894 da un esercito guidato da John Civington per altro alla vigilia di un trattato di pace. Sarà l’unica concessione al repertorio fatto con Faber insieme a «Quello che non ho».
Forse non è un caso mentre in contemporanea c’è la terza serata di San Remo a guida Fabio Fazio. Bubola è uno degli autori che ha lavorato di più con Fabrizio De André ma probabilmente è anche quello meno citato nelle occasioni pubbliche, o meglio «televisive». Un tema su cui ritorna per una delle tante battute che alterna all’esecuzione delle canzoni: «Chi ama la musica guarda quella cosa lì, no? Non penso che debba esistere un solo tipo di musica. Sono stato cullato dalle canzoni di Nilla Pizzi con mia madre, ma oggi per sentire delle cose belle devi aspettare due ore. E’ come se ti dicessero ora leggiamo delle poesia ma prima scandiscono lo stradario».
Bubola è fatto così: prendere o lasciare. E nel prendere sul cammino c’è spazio per molti altri temi. Per esempio la crisi occasione per una dolente riflessione in «Cantare e portare la croce» che si interroga soprattutto sul futuro: «Perché i figli ritrovino pace/Perché troppo di niente può farli morire/Perché il niente non può mai finire». Ma anche «A morte i tiranni», canzone contro tutti i governi oppressori della storia «che oggi non sono più quelli con i baffetti o i baffoni, ma il marketing che ci omologa e ci costringe ad adottare tutti lo stesso stile di vita». O «Capolinea dei sogni» dedicata alla sua generazione «che sperava di cambiare il mondo, ed invece è stata sconfitta. Ma mi ritengo ancora un sognatore che pensa certe battaglia vanno comunque fatte, ed il mondo non si può misurare solo in termini di successi e sconfitte».

Poi c’è l’amore in «Dostoevskij», «Nulla passa invano», «Ridammi indietro» e «Tre rose» occasione speciale nel giorno di San Valentino, che per Bubola è sempre «un tema da trattare con le molle se non hai un fatto personale da raccontare e vuoi evitare di dire cose già dette». Nel complesso due ore di ottima musica con una band di quattro elementi, nella più classica formazione rock-blues elettro-acustica, impreziositi dalla voce di Lucia Miller, corista sul palco e compagna di Bubola nella vita, per uno spettacolo che riesce ad essere intimo e coinvolgente. E forse per questo rende anche meglio il messaggio finale di «In alto i cuori», canzone con la quale finisce: «In alto i cuori quando tutto crolla ed il sipario non si alza più/ In alto i cuori se poi senti lontano ridere e piangere e ridere di più». Un bisogno di speranza che per Bubola è «un dovere di noi adulti» in tempi di «paesi finti». E non possiamo che essere d’accordo con lui.

http://comune-info.net/2013/02/in-alto-i-cuori-quando-tutto-crolla/

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