La street parade per il Municipio dei Beni Comuni di Pisa non ha solo sfidato la sordità di chi preferisce tagliare il nastro dell’ennesima speculazione. Prima di tutto ha mostrato donne e uomini di città diverse che hanno cominciato a riappropriarsi insieme della propria vita
Alberto ZorattiBeatrice ha l’aria di esserci già stata. Ti guarda come poche sanno fare e dall’alto dei suoi quattordici mesi ti fa capire che no, non è nuova a un sound system in piazza. Mattia è coetaneo, ma è alla sua prima volta e il suo guardarsi intorno ti fa un po’ tenerezza, perché capire che cosa sta accadendo lì non è proprio un gioco da ragazzi. E tanto meno da bambini.
Beatrice e Mattia si sono guardati per un attimo, in braccio ai rispettivi genitori, per poi riperdersi a guardare migliaia di volti nuovi che si incontravano e si parlavano sotto una statua d’altri tempi.
Sabato 16 non c’era un popolo là sotto, né una retorica moltitudine. Ma donne e uomini che hanno scelto di mettere in comune le loro aspettative e le loro convinzioni. Perché una bella esperienza non venga ridotta ad una pagina di cronaca.
La street parade per il Municipio dei Beni Comuni è stata una fiumana di persone, che la stessa questura non ha potuto ridimensionare al di sotto di duemila (e questo la dice lunga), con tanti colori, trampolieri, giocolieri e molta determinazione. E Pisa è stata una città che ha voluto farsi attraversare in modo accogliente, nonostante un palazzo comunale presidiato come fosse inespugnabile e chiuso da Marco Filippeschi, un sindaco che ha preferito tagliare il nastro dell’ultima speculazione pisana, il porto di Marina di Pisa, piuttosto che ascoltare gli umori della sua città che da tempo lo sollecitano ad aprire bocca.
Ma importa poco oggi della sordità del Partito democratico pisano, così attento a non disturbare gli interessi da non essere in grado di capire le opportunità. Quello che conta sono la serenità e le ragioni di un arcobaleno di persone che è sceso in piazza strafregandosene di provenienze ed identità, scommettendo su ciò che si potrà fare assieme d’ora in poi.
Perché il Municipio dei Beni Comuni è patrimonio di tutte e tutti, è un’esperienza che al pari di SCuP a Roma mette in discussione le appartenenze perché prima vengono le persone, e perché solo partendo da te in relazione con gli altri puoi fare veramente politica, cioè costruire relazioni sociali diverse.
Sabato 16 quella politica era in strada, con il suo portato di progetti concretizzati ed ancora da costruire. L’idea di una biblioteca popolare, di servizi e di formazione accessibile a tutti, di uno spazio dove fare cultura e mutuo soccorso senza dover chiedere al mercante di turno. E’ il progetto di una cittadinanza vera, che si fa nuovamente comunità aperta perché davanti alla crisi o sei «noi» o non sei nessuno.
A fianco di Pisa, sabato, tanti compagni di strada da Empoli, dall’Emilia, dal Veneto, da Genova, da Torino, da La Spezia e solidarietà inviate da Roma e con uno striscione da Imperia.
Quelle persone in cammino a Pisa hanno indicato una via, difficile ma necessaria, che unisce le buone pratiche e la cittadinanza responsabile con la liberazione di spazi sociali dalla speculazione e dalla mercificazione. Senza tanta filosofia né primogeniture un po’ stantie a Pisa si sperimenta ma con l’esigenza di confrontarsi con gli altri luoghi d’Italia: Valle occupato, Cinema Palazzo, ma anche il Teatro Pinelli di Messina (sgomberato e diventato nelle ultime ore itinerante nei quartieri) e tutte le nuove liberazioni ed emancipazioni sociali in via di moltiplicazione.
C’era una frase ricorrente durante l’assemblea romana di SCuP, il giorno in cui è stato rioccupata: «daje forte». E’ la determinazione serena di chi sa che è la cosa giusta da fare, che dopo anni di resistenza e di difesa è venuto il momento di ritornare a farsi avanti, perché non è più possibile aspettare i prossimi mercanti ma, al contrario, bisogna togliere loro spazio ed ossigeno. Nessuno è più disposto ad aspettare il cambiamento.
Riappropriamoci della nostra vita, ci dicono quelle migliaia di persone che hanno camminato a Pisa, perché «la vita vera e la politica non possono più essere considerate cose separate». Possiamo farlo per noi, ma dobbiamo farlo per Beatrice, per Mattia e per tutti quei bambini che dalle spalle dei loro genitori hanno guardato un po’ stupiti una fiumana colorata in cammino. E che avrebbero diritto di vivere un po’ meglio dei loro genitori, precari in un mondo precario.
La crisi non aspetta e per questo c’è bisogno di un cambio di rotta, chiaro e deciso, autorevole e dal basso. Oggi quelle persone hanno marcato presenza ed hanno dichiarato di volerci essere. E dopo oggi, dopo aver fatto il primo passo, il percorso è tracciato. Adesso, «regà, damoce forte».
http://comune-info.net/2013/02/camminiamo-insieme/
Nessun commento:
Posta un commento