mercoledì 19 giugno 2013

Intervista a Thomas Pistoia



Thomas Pistoia è nato a Torino nel 1971 e vive tra Presicce (LE) e Empoli. Fondatore nel 2000 del portale per autori esordienti viaoberdan.it.
Scrive racconti, poesie e canzoni. Alcuni suoi scritti sono stati pubblicati su riviste letterarie online e cartacee o rappresentati in opere teatrali e musicali.
Nel 2013 ha pubblicato una selezione delle sue opere nell’ebook “Abitavo in Via Oberdan”, disponibile su Amazon. Attualmente sta scrivendo il suo primo romanzo.


Thomas, poesia, prosa, canzoni: un impegno nel mondo della letteratura a 360 gradi. Che cosa rappresenta per te scrivere?

Sul mio blog c’è un brano che si intitola “L’ultimo Haka”, dedicato allo staff del fumetto “Davvero”. Nel brano descrivo quello che per me è scrivere, ovvero “una malattia che guarisce da ogni male”.
Ecco, alcuni vengono al mondo con questo tarlo. E’ come una droga, qualcosa che va oltre il concetto di passione. E non te ne frega assolutamente nulla di sapere se qualcuno ti leggerà, se qualcuno ti pagherà per quello che stai creando… Lo devi fare e basta. Interrompi lo studio, il lavoro, abbandoni il tuo uomo/la tua donna nel letto… E’ un’urgenza.
Per quanto riguarda lo scrivere voglio però puntualizzare una cosa che ritengo fondamentale. Essere “malati” non basta. Bisogna avere l’umiltà di imparare dagli altri.
Per scrivere bisogna leggere. Sempre. Di tutto.
Uno scrittore che non legge impoverisce la sua anima e ferisce a morte irrimediabilmente il suo talento (se ce l’ha).

Lo stile dei tuoi versi è fluido, lontano dalla retorica tradizionalista ma anche dall’avanguardia; forte invece è l’uso della punteggiatura, come se le tue poesie avessero sbocco privilegiato nella recitazione. Ti affidi molto alla naturalezza della scrittura o c’è uno studio particolare dietro il tuo modo di scrivere?

Innanzitutto bisogna dire che io scrivo molto per il web, anche se recentemente ho pubblicato un ebook. Per cui devo conciliare la già scarsa tendenza italiana alla lettura (che peraltro su schermo può essere per alcuni più disagevole che su carta) con il “paesaggio” della rete, in cui predominano suoni e immagini. Per questo nel raccontare in prosa e in versi cerco di esprimermi con una certa sintesi, strutturando i testi in modo che siano leggibili facilmente. La mia dimensione ideale è infatti il racconto breve. Mi interessa che il lettore colga immediatamente l’atmosfera della vicenda, il senso, il dramma sotteso al racconto. A parte questa accortezza il resto poi viene da sé. La punteggiatura mi serve a guidare la lettura, voglio che chi legge segua la stessa “metrica” con la quale io ho pensato il testo. A volte ottengo risultati curiosi. Capita spesso che brani che io reputo di prosa vengano considerati dai lettori delle poesie, o accade che uno scritto che per me è un racconto venga utilizzato da qualcuno come testo di un’opera musicale.
Quando si genera questa sorta di equivoco non nego che la mia soddisfazione è enorme.
Per quanto riguarda retorica e avanguardia, hai detto bene, non credo che i miei versi abbiano un’appartenenza. Ho una formazione molto anarchica che parte dagli studi giovanili e sguaiati del liceo classico, passa dai cantautori italiani, si bagna nel fumetto e si perde nelle letture più disparate di innumerevoli opere letterarie italiane e straniere.

Politica e attualità sono i temi su cui ruota maggiormente la tua produzione. Si può parlare di scrittura come impegno civile?

Non “si può”. “Si deve”. Ma vale anche per la pittura, la musica e qualsiasi altra attività artistica.
Non dico che bisogna essere soltanto “impegnati”, no. Ma chiunque abbia più o meno un talento, quando le circostanze lo richiedono deve sentire la responsabilità di mettere il suo “dono” a disposizione degli altri, per raccontare, denunciare quello che non va.
Si può essere affermati scrittori di thriller, o apprezzati compositori di versi d’amore. Se il paese in cui si vive ha un problema politico, economico o di qualsiasi altro genere si ha il dovere morale di parlarne, non necessariamente con un’opera, è sufficiente anche solo prendere pubblicamente una posizione (possibilmente quella a favore dei più deboli). Questa regola andrebbe seguita non tanto da quelli che, come me, hanno a disposizione i classici venticinque lettori di manzoniana memoria, quanto da quelli che sono al culmine del successo. Loro sì, che schierandosi possono davvero fare del bene alla società in cui viviamo.

Una delle tue poesie “Di sana e robusta costituzione”, a cui sono particolarmente legata, è lo sguardo amaro su una nazione che non è come dovrebbe, sana e robusta. L’Italia può tornare ad essere «sana, virtuosa e onesta»?

A dir la verità penso che poche volte nella storia ci siamo dimostrati “sani”. Forse durante la Resistenza, o nel dopoguerra, quando ci siamo dati, appunto, la nostra magnifica costituzione. Forse, che ne so, durante i moti carbonari?Abbiamo una tradizione di mafia, politica e corruzione che si perde nella notte dei tempi e giunge addirittura fino agli antichi romani.L’istruzione, l’arte e la cultura, che spesso il potere ha cercato di indebolire, sono state finora le difese, gli anticorpi che ci hanno impedito di sprofondare definitivamente nella… melma.Oggi più che mai non possiamo definirci un paese normale, tutt’altro. In un paese normale la maggior parte dei nostri politici sarebbe in galera, non in parlamento. Come vedi, sono piuttosto pessimista. L’uscita del tunnel è, secondo me, ancora molto, molto lontana.

Un altro testo estremamente attuale è “Io sono gay”. Parla di quotidianità, di gesti semplici, comuni eppur percepiti come diversi. E il finale è, a tutti gli effetti, tragico. Un quadro neorealista. Ti sei ispirato ad una vicenda particolare?

No. Mi sono ispirato ai tanti casi di omofobia che la cronaca racconta. Ho voluto sottolineare che i casi di violenza sono solo la punta dell’iceberg. C’è un’omofobia più sottile, meno vistosa, che è quella dell’uomo della strada. Definire “gay” una persona che fa una vita quotidiana del tutto simile alla nostra significa a tutti gli effetti ghettizzare. Come se i gusti sessuali fossero una discriminante. Per conto mio ognuno nel proprio letto è libero di fare quello che vuole. Ma soprattutto ognuno è libero di amare chi vuole. Lo trovo elementare e nella mia… ingenuità fanciullesca… mi è difficile comprendere perché una coppia di uomini o di donne dovrebbero avere meno diritti di una coppia etero. Elementarmente: se rispettano le leggi e pagano le tasse devono essere rispettati senza alcuna riserva.
Ghettizziamo piuttosto i mafiosi e i camorristi! Ci pensi? Un mafioso può sposarsi, un gay no.

In conclusione , per i lettori de Il Gruppo, che cos’è Via Oberdan?

Nel 1999 creai una rivista letteraria online che chiamai appuntoviaoberdan.it.
Il significato del nome non è stato rivelato fino al 2009, quando la rivista ha cessato la sua attività.
Nella home page della rivista c’era appunto una cartina topografica che tra le varie strade mostrava una Via Oberdan. Soltanto pochi, del luogo, riconobbero che la città rappresentata era Lecce.
Da ragazzo per alcuni anni ho vissuto, lavorato, studiato e combinato parecchi guai in quel di Via Oberdan a Lecce. Per questo, in ricordo di quei giorni movimentati, decisi di chiamare così anche la rivista.
Col tempo viaoberdan.it divenne un portale frequentato da diversi scrittori e poeti esordienti che pubblicavano le loro opere e discutevano di argomenti letterari e culturali. Senza falsa modestia fui un pioniere in questo senso. Viaoberdan.it è stata senz’altro una delle prime riviste letterarie online del web italiano. Dopo circa 10 anni, causa anche il forfait dato da alcuni collaboratori (peraltro lavoravamo tutti gratis), ho preferito chiuderla. Anche perché a fare per troppo tempo la stessa cosa si finisce per perdere l’entusiasmo.
Decisi così di trasformare il sito in un mio blog e devo dire che il marchio Via Oberdan ha continuato a portarmi bene. Grazie alla nuova versione ho potuto farmi conoscere meglio come autore.
Ecco, se vogliamo proprio dare una definizione, oggi Via Oberdan è la personalissima dimensione parallela in cui mi rifugio quando la “malattia” mi coglie.
Per gli stessi motivi l’ebook che ho pubblicato recentemente (che raccoglie una selezione dei miei scritti in prosa e in versi) si intitola “Abitavo in Via Oberdan”.

di Saveria Fagiolo

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