Wilma pesava solo due chili quando nacque, ventesima di venti due figli, in un’umile famiglia di colore del Tennessee: era il 23 giugno 1940. Riuscì a sopravvivere alla nascita prematura, ma questo non le evitò di sviluppare una salute estremamente cagionevole che le causò, nei primi anni di vita, una lunghissima serie di malattie, culminanti nella deformazione e nell’indebolimento del piede destro a causa di una poliomielite. Wilma ricorderà alcuni anni dopo: «Il medico aveva detto che non sarei più riuscita a camminare. Mia madre disse che avrei potuto farlo e io credetti a lei!». Dopo anni di esercizi di riabilitazione e di costanti incoraggia menti da parte di sua madre, dei fratelli e delle sorelle, all’età di dodici anni Wilma era finalmente in grado di camminare senza bisogno di stampelle, sostegni o scarpette correttive, sviluppando un’andatura ritmica che, a detta dei medici, poteva già essere considerata un miracolo. Ma Wilma non si fermò e decise di diventare un’atleta, iniziando a praticare atletica leggera e specializzandosi poco per volta nelle gare su pista. Alla prima a cui si iscrisse tagliò il traguardo per ultima e per mesi continuò ad arrivare ultima. Tutti le dicevano di smettere, ma lei non si arrese finché finalmente vinse una gara. E poi un’altra. E un’altra ancora. All’età di sedici anni faceva parte della staffetta olimpica americana che vinse la medaglia di bronzo nella 4x100. Fu nel settembre del 1960 alle Olimpiadi di Roma che Wilma Rudolph entrò nella storia diventando la prima donna americana ad aggiudicarsi tre ori olimpici nei cento e duecento metri e nella staffetta 4x100. Alla fine, la ragazza alla quale era stato detto che non avrebbe mai più potuto camminare, diventò una delle atlete più famose di tutti i tempi.
/Roberto Re/
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