Noto per essere stato uno dei migliori centurioni di Giulio Cesare durante le guerre civili del I secolo a.C., Sceva impressionò lo stesso Giulio Cesare per il suo coraggio e la sua lealtà quando nonostante avesse perso un occhio e riportato numerose ferite continuò a combattere contro l'esercito di Pompeo.
Sceva si arruolò durante la guerra con i Galli, servendo Cesare come comune legionario e fu uno dei soldati d'avanguardia della legione mandata a combattere in Britannia nel 55 a.C.
Quando Sceva e gli altri legionari attraccarono sulla spiaggia dei bretoni tutto sembrava calmo e tranquillo, e Cesare gli ordinò di restare di guardia sulla nave mentre gli altri montavano il campo. Pochissimo tempo dopo però apparvero i bretoni che iniziarono a tempestare di frecce il povero Sceva, che però riuscì in qualche modo a difendersi col suo scudo fin quando non fu tuttavia circondato da un alto numero di nemici. Anche da solo e in netta inferiorità numerica, Sceva riuscì ad abbattere parecchi bretoni e a resistere per un bel po' di tempo prima di riuscire a fuggire, lasciando dietro di sé oltre alla nave anche parecchie parti dell'armatura in sua dotazione.
Proprio per questo motivo, sulla via del campo alleato, Sceva era preoccupato di dover subire una tremenda punizione per aver abbandonato la sua posizione e la sua armatura. Si diresse immediatamente da Cesara, raccontandogli l'accaduto e chiedendo il suo perdono, ma l'imperatore invece di punirlo fu impressionato dal suo coraggio e lo promosse al grado di Centurione.
Da quel momento Marco Cassio Sceva divenne un esempio di coraggio che doveva essere seguito da tutti i legionari.
Sette anni dopo, Roma venne travolta dalla guerra civile tra i suoi due più potenti generali: Giulio Cesare e Pompeo Magno.
Nel 48 a.C., nella battaglia di Farsalo, Cesare sconfisse le forze di Pompeo, costringendolo a fuggire verso Dyrrachium (attuale Albania) dove cercò di riorganizzare le sue truppe in modo da poter riaffrontare Cesare.
Pompeo posizionò lì il suo quartier generale e fortificò la città con un complesso sistema di mura e trincee.
Dal momento che diversi centurioni di alto rango di Cesare avevano subito ferite abbastanza gravi, a Sceva venne affidata una coorte della sesta legione che contava circa cinquecento uomini e che venne messa a protezione di un fortino.
Venuto a conoscenza della cosa, Pompeo mandò un'intera legione da oltre seimila uomini contro la coorte di Sceva, fiducioso di una vittoria rapida e indolore.
A causa dello svantaggio numerico parecchi uomini di Sceva pensarono di arrendersi, ma il Centurione, che aveva già vissuto una situazione di inferiorità numerica, li incoraggiò a combattere lo stesso e la battaglia quindi iniziò.
Sceva sconfisse diversi soldati nemici con la sola spada, ma subì anche numerose ferite, tra le quali una inflitta da una freccia che lo colpì in un occhio, come raccontato da Svetonio: "Cieco da un occhio, ferito alla coscia e alla spalla e con centoventi fori nel suo scudo".
I soldati di Pompeo continuavano ad avanzare, ma Sceva ordinò ai suoi uomini di non arretrare e continuò a combattere con rinnovato vigore fino però a crollare a terra a causa dell'elevata perdita di sangue. Accaduto descritto da Plutarco: "Sceva chiamò il nemico come per arrendersi, due soldati gli si avvicinarono, ma Sceva colpì uno al volto e l'altro alla spalla, prima di fuggire sorretto da un suo soldato."
Giulio Cesare venne a sapere dell'accaduto e promosse di nuovo Sceva, stavolta a Primus Pilus, ossia capo di tutti i centurioni, e lo mise a capo della decima Legione equestre, la sua preferita, oltre a ricompensarlo con duecentomila sesterzi e con il salario triplicato.
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