Inarrivabile con la bacchetta, Ennio si servì della penna di Alessandro per comporre la propria biografia, al termine di un dialogo fiume che si sviluppò a puntate, lungo quattro anni e decine di incontri. Lui, Alessandro De Rosa, 37 anni, musicista cresciuto nella periferia milanese, studente di Boris Porena, diplomato in Composizione al Conservatorio Reale dell’Aja, conquistò la fiducia di Morricone con la pudica sfacciataggine di un diciannovenne, quando nel 2005, approfittando di una visita del maestro a un cinema di Milano, gli consegnò una lettera e un cd con il proprio lavoro. Undici anni dopo, nell’aprile 2016, sarebbe uscito il libro Inseguendo quel suono. La mia musica, la mia vita. Conversazioni con Alessandro De Rosa, oggi alla terza edizione in italiano e che continua a essere tradotto in varie lingue.
Sono cose che si vedono nei film, il ragazzo che consegna una busta coi suoi sogni a un mito della musica…
… il quale addirittura mi rispose il giorno dopo. L’indomani, tornato a
Roma, Morricone ascoltò il cd e chiamò a casa, parlò con mia mamma
perché non c’ero, poi riprovò e lasciò un messaggio in segreteria
telefonica: “Lei ha grandi qualità, ma deve studiare composizione e io
purtroppo non ho tempo per insegnargliela”. Cominciò così il nostro
rapporto: per me fu un faro in un mondo difficile, dove sei portato a
svalutarti se gli altri non ti valutano tanto. Coltivai il nostro
rapporto mentre studiavo in Olanda: andavo periodicamente a visitarlo a
Roma senza dire niente a nessuno.
Come nacque l’idea del libro?
Con la fiducia e con il tempo. Con l’affetto. Ogni volta che tornavo a
trovarlo ci conoscevamo meglio. Il libro fu il frutto di quelle
chiacchierate, che presero la forma di una lunghissima intervista
autobiografica. Un discorso proseguito con il podcast “Io e Ennio
Morricone”, uscito nel febbraio 2020 su Amazon, dove ancora una volta il
maestro ha raccontato la sua storia, gli incontri, la carriera, le sue
riflessioni sul cinema e la musica.
Lei ha preso parte anche al docufilm “Ennio” di Giuseppe
Tornatore, presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia e
che arriverà nelle sale il 17 febbraio prossimo.
E’ un’opera di 150 minuti, un maestoso lavoro di sei anni cui partecipò
lo stesso Morricone, con interviste eccezionali: da Tarantino a Eastwood
a Bertolucci, poi Springsteen, Oliver Stone, Bellocchio, la Wertmuller…
Ci sono parecchi aspetti inediti anche della quotidianità privata del
maestro.
Era una persona dall’apparenza ruvida, schiva. Non doveva essere facile il rapporto con lui.
Ennio era molto duro con sé stesso e molto dedito a ciò che faceva, ma
dietro l’apparenza è stato una delle persone più sensibili che abbia mai
conosciuto e sapeva scavarti nel profondo. E’ stato un uomo che ha
dovuto confrontarsi col suo tempo, con il mercato, e che aveva la
necessità di difendersi in un mondo inquinato dove non è facile arrivare
a certi livelli senza avere sviluppato un po’ di durezza.
Qual è il lascito maggiore di Morricone?
La sua grandezza è consistita nella capacità di toccare tutte le
esperienze musicali offerte a un compositore dal suo secolo per farle
dialogare tra loro, e di connetterle partendo dall’idea dell’immobilità
dinamica. Ossia rielaborare in modo nuovo le cose che diamo per scontato
stiano ferme in un’opera di sintesi davvero unica.
Lei da musicista come ci sta provando?
Ho appena terminato un album che uscirà a febbraio con Fantine Tho, una
songwriter brasiliana che ha vinto due dischi di platino nel suo paese.
S’intitola “Flesh and Soul”, “Pele e Alma” in portoghese: sono 70 minuti
di musica in otto brani collegati da un fil rouge che è l’incontro fra
due identità, due voci interiori in un viaggio dentro sé stessi per
conseguire la reintegrazione. Un disco che non è destinato solo
all’ascolto passivo, ma è un invito a immergersi in un’esperienza.
Condensa world music, brani tradizionali, richiami alla musica
cinematografica e alla canzone. Non è new age, ma non saprei definire
questo lavoro secondo una precisa etichetta. Si sposa ai testi di
Fantine, che rispecchiano il suo impegno di attivista per la
riforestazione del Brasile e la tutela delle comunità indigene. Una
ricerca di armonia col Sé e con il mondo che abitiamo.
Torna alla mente “Mission”, l’incontro del gesuita con i guaranì
sulle note di Gabriel’s Oboe. L’universalità della musica non è
retorica, o quanto non lo è?
Una stessa musica assume significati diversi a seconda dei tempi e dei
luoghi. E’ come il rito del matrimonio per la Chiesa, che si ripete
sempre uguale con sposi sempre diversi. C’è la componente soggettiva
dell’ascoltatore: una canzone ricorda a ciascuno un suo momento
peculiare, ma tutti possono ritrovarsi a intonarla in coro in uno
stadio. Certo sarebbe auspicabile, come Ennio diceva spesso, aumentare
la coscienza musicale degli italiani già nella formazione scolastica,
perché questa cultura non resti una parola vuota ma serva a costruire
una vita emotiva più soddisfacente.
Un esempio in due parole?
Se entri nell’universo di Gustav Mahler capisci meglio la vita amorosa, e
capisci meglio la morte. La musica è anche più efficace di altre forme
espressive. E’ stato dimostrato che un malato di Alzheimer, riascoltando
una melodia che conosceva bene, s’accorge se è stata inserita una nota
sbagliata.
https://www.ilfoglio.it/cultura/2022/01/23/news/un-maestro-per-amico-le-mie-chiacchiere-con-morricone-3574660/
Ferrara71
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