mercoledì 14 maggio 2014

Dell’Utri mafioso. Game over

dell'utri-Gea Ceccarelli- Era il 1994 quando Marcello Dell’Utri finì per la prima volta nel mirino dei pm per i suoi rapporti con Cosa Nostra. I magistrati l’avevano supposto: quel partito da lui fondato assieme ad un rampante imprenditore milanese, proprio quel partito che alle elezioni aveva fatto faville in Sicilia, nascondeva, dietro sé, una storia tutta da riscoprire.
Vent’anni dopo, un piccolo passo verso la verità è stato compiuto, qualche tassello è tornato al proprio posto: Dell’Utri è ufficialmente un politico colluso con la mafia, quella di cui lui stesso ha negato l’esistenza in un celebre intervento passato alla storia.
A dirlo, stavolta, non sono i comunisti, i detrattori di Forza Italia, i colpevolisti. E’ la Suprema Corte, in via definitiva: l’ex senatore è stato condannato a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Inutile tentare, ancora una volta, di nascondersi dietro a un dito, impossibile appellarsi alla presunzione di innocenza o tentare un’improbabile strada della mafiosità a propria insaputa: Dell’Utri ha fatto da mediatore tra Silvio Berlusconi e Cosa Nostra e sapeva perfettamente chi fossero i protagonisti.
La corte che, nel 2004, condannò l’uomo a 9 anni di reclusione, l’aveva dimostrato: “Vi è la prova”, scrivevano infatti i giudici, “che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento Europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo processo penale.”
Ma si trattava “solo” di una condanna inflitta in primo grado: sarebbero dovuti trascorrere ancora dieci anni omerici, costellati da udienze, ricorsi e rinvii, prima che il tutto si trasformasse in una realtà innegabile.
Bisogna ancora accertare che ruolo giocò l’ex braccio destro di Berlusconi dal ’92 in poi, ma appare chiaro come, fino a quel momento, Dell’Utri si fosse fatto vero e proprio promotore dei rapporti tra l’ex premier e boss di spicco comeStefano Bontade, impossibile da non conoscere, neanche in casi di “scajolana” ingenuità.
Dell’Utri, Bontade lo conosceva, e non poteva essere altrimenti: l’approccio avvenne grazie all’amico di una vita Gaetano Cinà, e presto la conoscenza si trasformò in opportunità.
L’episodio più emblematico avvenne nel 1974, quando una delegazione di Cosa Nostra, formata da Bontade, Cinà, Mimmo Teresi e Franco Di Carlo, si presentò negli uffici di Berlusconi, su iniziativa di Dell’Utri. Durante la riunione, come spiegato più volte da Di Carlo, ora collaboratore di giustizia e testimone chiave nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia (in cui Dell’Utri risulta imputato), si concordò una protezione per il futuro premier, preoccupato di incorrere in sequestri e minacce. Al termine della stessa, venne stabilito che, a far da “guardia” a Berlusconi sarebbe stato mandato a Villa San MartinoVittorio Mangano, lo “stalliere di Arcore”: “criminale pluriomicida” per la società civile, “eroe” per Dell’Utri e l’ormai ex Cavaliere.Un episodio, quello della riunione, che si è rivelato fondamentale sia per i giudici della corte d’Appello che della Cassazione per decretare la condanna nei confronti dell’imputato, ma, assicura Di Carlo, “conosco il processo e le carte del processo, e posso dire che non c’è solo quello, ci sono state altre cose.”
Tra queste, l’impegno garantito dall’ex senatore, fino al 1980, a Stefano Bontade, per aiutarlo a riciclare denaro sporco in aziende del nord Italia.
L’iter processuale ha vantato tempi biblici, ma si è concluso nella maniera più prevedibile. Tanto che persino Dell’Utri l’aveva subodorata e, poco prima della data in cui la Cassazione era stata chiamata ad esprimersi, ha tentato l’ultima carta, la fuga, anche se Di Carlo preferisce definirla in un altro modo: “Più che fuga la definirei una scelta”, ha infatti spiegato. “Anche poiché, considerata la previsione della Corte di cassazione che doveva emettere la sentenza, era normale che Dell'Utri scegliesse un paese dove poter tranquillamente vivere la sua latitanza dorata.”
Nello specifico, a Beirut, laddove il reato di associazione mafiosa non è contemplato e le difficoltà per l’estradizione sono note a tutti: solo qualche giorno fa, fonti libanesi hanno sostenuto come sia molto difficile che la misura venga presa a breve e si preannuncia dunque una nuova, lunga, battaglia per assicurare Dell’Utri alla giustizia italiana e al  carcere.
In fondo, è chiaro che la vita in cella non fa per lui: una volta che la Dia è riuscita a rintracciarlo nel paese medio-orientale e catturarlo, Dell’Utri è stato tradotto dietro le sbarre, ma si è trattata di un’effimera illusione: ben presto, infatti, le porte della prigione si sono aperte, in quanto le sue condizioni di salute sono state giudicate incompatibili con il regime detentivo. Secondo la versione del condannato, d’altra parte, si trovava all’estero non per sfuggire alla giustizia, ma solo ed esclusivamente per avvalersi delle migliori cure libanesi, forse in nome di un’avanguardia in campo medico che ai più sfugge.
Le sue cagionevoli condizioni non hanno comunque intenerito gli Ermellini, i quali non si sono lasciati impietosire neanche dall’improvvisa pandemia che ha colpito i legali dell’uomo alla vigilia della pronunciamento della Cassazione, costringendo il rinvio al 9 maggio, giorno in cui, finalmente, chiarezza è stata fatta. A fronte di ciò, a nulla valgono le lamentele dei suoi legali, che minacciano di rivolgersi alla Corte di Strasburgo, né influiscono in alcun modo le parole di Berlusconi, il quale si è detto addolorato per la sorte del suo compare che tanto si era prodigato per metterlo in contatto con Cosa Nostra.
E mentre l’ex premier rimpiange le sorti proprie e del co-fondatore di Forza Italia, l’altro si proclama prigioniero politico, sollevando non poche perplessità, anche in Di Carlo: “La cosa che mi ha sorpreso di più”, ha infatti precisato il testimone della trattativa Stato-mafia, “è stato leggere che si sente un prigioniero politico. Io chiederei: quando mai è stato un politico il signor Dell'Utri?”
Quesito più che lecito: in molti, d’altronde, ricorderanno quell’intervista in cui l’ex senatore sosteneva di essersi gettato in politica semplicemente per godere dell’immunità parlamentare, successivamente venuta a crollare.
“Semmai”, dunque, “è stato un affarista che ha saputo sfruttare l'amicizia con i capi di Cosa Nostra e l'amicizia con Silvio Berlusconi”.
“Quando quest'ultimo era un semplice industriale e ha avuto bisogno di garanzie da parte della mafia”, ha infatti illustrato il collaboratore di giustizia, “Marcello Dell'Utri, tramite i suoi rapporti con i boss di Cosa Nostra, gliela poté garantire”.
“Ho letto pure in qualche giornale le dichiarazione fatte dall’ex senatore Berlusconi in cui, a proposito del suo amico, lo definiva un perseguitato da 20 anni dai giudici”, prosegue Di Carlo. In esse, l’ex Cavaliere sosteneva “come i 5 gradi di processi che ha subito Dell’Utri, si potessero fare in pochi giorni. Dimenticando”, però, “che hanno usato tutti cavilli che si potevano usare, e anche quelli che non si potevano usare, per ritardare le sentenze o per arrivare alla scadenza dei termini e prescrizione.”
Di fatto, incalza ancora, “si sono dimenticati che sono stati loro in questi 20 anni a fare leggi e leggini, per non far finire mai i processi: pensavano che”, in tal modo, “i reati non sarebbero mai stati pagati.”
“Comunque il signor Dell'Utri non si può lamentare”, sentenzia infine il teste. “In questi 20 anni di pubblicità che i media gli hanno fatto come politico e come mafioso, lui si è arricchito: tutti hanno voluto avvicinarsi a lui per fondare società o portarselo a fare parte di club esclusivi come la P3 e P4”. E’ arrivato a far parte anche di società “con Flavio Carboni ( mio ex coimputato nel caso Calvi), con Denis Verdini, grande affarista, e tanti altri ancora.”
Per Di Carlo, però, c’è un punto sostanziale che è stato trascurato da molti e necessita di essere sottolineato: “Dell'Utri non è stato solo il tramite tra Berlusconi e Cosa Nostra”. Piuttosto, “è stato il garante per Cosa Nostra e Berlusconi”. E non solo: “E’ stato pure il parafulmine dei reati che avrebbe potuto commettere il signor Berlusconi quando mandava Dell'Utri per aggiustare -la cosiddetta ‘messa a posto’- nei territori dove comanda la mafia. Basterebbe ricordarsi” le vicende relative alle “antenne TV e magazzini Standa a Catania”.
“Per cui a mio modesto parere, non so proprio se al posto di Dell'Utri a Beirut ci debba essere qualcun altro. O magari”, conclude il collaboratore di giustizia, “tutti due”.

http://www.articolotre.com/2014/05/dellutri-mafioso-game-over/

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