Piloni, la riserva che insegnò a Zoff come si diventa un Numero Uno nella vita
Un servizio, seppur bello, studiato con cura, proposto con garbo e raccontato con lo spirito accattivante di chi riesce a incollarti sulla poltrona davanti alla tivù, non può farci crollare un mito coltivato per quarant’anni. Però può far riflettere, farci capire che c’è sempre un rovescio della medaglia, che tutto quello che appare non è sempre così come lo vediamo e come lo vogliamo vedere. Sabato scorso, nonostante l’orario impossibile per chi come me ha una famiglia numerosa e all’ora di pranzo il vociare dei piccoli prende regolarmente il sopravvento sulla tivù, sono riuscito a godermi su Rai 2 una puntata meravigliosa di Dribbling, una trasmissione cui sono molto affezionato perché, con interruzioni varie, la guardo da quando avevo poco più di dieci anni. Ai tempi era condotta da Maurizio Barendson che aveva voluto riprendere il vecchio filo conduttore di altre fortunate trasmissioni da lui ideate sullo stesso tema, che si chiamavano “Sprint” e “Il Pallone racconta”. Stavolta il bravo Luca Cardinalini ha scovato Massimo Piloni (Ancona 1948), riserva di Zoff nella Juve degli anni Settanta, rarissimo nelle figurine Panini. Il servizio parte con le inquadrature di un signore dall’aspetto non propriamente giovanile che nei modi di fare un po’ burberi ricorda il Mazzone prima maniera. Il guaio, per lui, è che fisicamente ricorda il Mazzone attuale, con la differenza che il buon Carletto ha quasi dieci anni in più. Io ancora non l’ho riconosciuto, anche perché il volume è basso e le voci in sala da pranzo coprono eventuali segni di riconoscimento. Mi arrendo, alzo il volume e finalmente “ritrovo” Massimo Piloni.
Ora devo fare un passo indietro a raccontarvi che questo portiere non ebbe una grande carriera nella Juventus, mentre raggiunta la maturità e seppur accumulato qualche chilo di troppo, fece bei campionati nel Pescara in B dove ottenne una promozione, per poi giocare ancora un anno in A, finalmente titolare. Piloni alla Juventus arrivò giovanissimo nel settore giovanile e già con Heriberto Herrera allenatore, ebbe modo di sedersi due volte in panchina in A nell’ottobre del 1967 (“esordio” contro Atalanta a Bergamo il primo del mese e poi la domenica successiva contro il Varese), quando aveva 19 anni. Un grande risultato perché era il quinto della lista dietro Anzolin, Colombo, Fioravanti e Tancredi. Il primo, che aveva giocato anche in nazionale, era il titolare; l’ex cagliaritano Martino Colombo (all’anagrafe Angelo) lo sostituì parecchie volte quell’anno; Fioravanti (Cesena 1946) era la grande speranza mai realizzata e infine Roberto Tancredi (che per gli almanacchi era nato nel 1944, prima a Rosignano Solvay quindi a Montecatini) ebbe un anno di gloria. Fioravanti fece un bel debutto nel suo derby personale contro il Bologna (0-0) e poi giocò un’altra volta prima di tornare nei ranghi. Piloni invece non ebbe mai quella soddisfazione e fu già un miracolo se riuscì a rientrare a referto per due volte quell’anno. Poi una stagione in prestito in C a Caserta (11 presenze, a 20 anni) e il ritorno alla base. Per giocare nel massimo torneo dovette attendere parecchio. Nel 69-70 con HH2 e Rabitti fece quattro panchine (stavolta era il terzo della gerarchia dietro Tancredi e Anzolin), finalmente nella stagione successiva il debutto. Vycpalek, che sei giornate prima aveva sostituito Armando Picchi gravemente malato (un tumore se lo sarebbe portato via neanche due mesi dopo), lo lanciò contro il Varese il 4 aprile 1971. Piloni sapeva che non sarebbe stata un’apparizione fugace perché Roberto Tancredi, dventato il titolare, si era infortunato seriamente. Prendendo posto tra i pali non sapeva se essere più felice per il traguardo finalmente raggiunto o per aver lasciato il posto in panchina a un altro (Gino Ferioli – Cento 1951).
La partita sembrava essersi messa bene con i gol di Causio su rigore e Bettega, ma il Varese di Liedholm era una squadra che non rinunciava al gioco e con il terzino Rimbano e l’ala Carelli agguantò il pari. Non ci fu tempo per recriminare perché il calendario incalzava. Dieci giorni dopo fece una buona partita nella semifinale di Coppa delle Fiere in Germania. Prese gol a tre dalla fine ma l’1-1 in casa del Colonia di Weber, Overath e Kappelmann era un buon risultato. Giocò bene anche la gara di ritorno (2-0), e poi le prime due finali di andata contro il Leeds a Torino (la prima venne sospesa al 51’ per impraticabilità di campo sullo 0-0 e poi il nostro non fu irreprensibile nel 2-2 della ripetizione), però, non colse al volo la chance e nelle 7 partite in cui venne impiegato tenne la porta imbattuta solo una volta, col Foggia. Per uno che giocava nella Juve non era proprio il massimo e così quando arrivò il calcio mercato, Boniperti prese proprio il varesino Carmignani. Per Piloni si profilava un’altra stagione da dodicesimo. Ma lui non si abbatté e nelle ultime cinque giornate del campionato 71-72 riuscì a riconquistare il posto da titolare diventando in qualche modo protagonista dello scudetto conquistato con un punto di vantaggio su Torino e Milan. Nuova chance? Macché, venduto Carmignani Boniperti prende il più forte di tutti, Dino Zoff. Piloni alla Juve farà ancora tre anni, ma Superdino non gli concede mai spazio. Evidentemente i due non si amano se ancora all’ultimo turno del torneo 74-75, con lo scudetto in tasca, nell’ultima gara di campionato col Vicenza, Zoff è recalcitrante a concedere uno spicchio di gloria al suo secondo.
La Juve ospita il Vicenza di Scopigno che giusto la domenica precedente era retrocesso matematicamente. Ancora all’intervallo, sul risultato già consolidato di 4-0 per i bianconeri, Zoff non vuole uscire. Quando dopo mille richieste nel finale di gara acconsente al cambio, Piloni dice no. “Gli ho detto che a quel punto non volevo più entrare”. Una lezione di vita rimasta ai più sconosciuta fino a sabato scorso. Piloni per quel rifiuto venne ceduto in estate al Pescara chiudendo dopo sette stagioni il suo rapporto con la Juventus. Anni dopo, nel 1978, tornò al Comunale da avversario a due giornate dalla fine. Il Pescara era ultimo in classifica ormai retrocesso, la Juve tanto per cambiare aveva già vinto lo scudetto. Piloni prese due reti ma fece non meno di sette o otto interventi prodigiosi raccogliendo gli applausi di tutti e i complimenti dello stesso Zoff. Non calcò più quei grandissimi palcoscenici, ma almeno ai miei occhi, e non penso di essere il solo, è diventato un vero Numero Uno.
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