venerdì 2 maggio 2025

Le soldatesse sovietiche

 


Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica fu l’unico paese belligerante a impiegare massicciamente donne in ruoli di combattimento attivo.

Mentre in altre nazioni le donne servivano principalmente in ruoli ausiliari (infermiere, addette alle comunicazioni o alla logistica), nell’Armata Rossa migliaia di donne combatterono in prima linea come tiratrici scelte, piloti, carriste e comandanti.

Si stima che siano state 800.000 le donne che hanno combattuto nell'Armata Rossa contro il nazifascismo.


Più di 200.000 ricevettero onoreficenze e più di 90 vennero insignite del titolo di Eroine dell'Unione Sovietica, la più alta e prestigiosa onoreficenza del paese.

La presenza delle donne nell'Armata Rossa non e stato determinato da sole esigenze puramente belliche, ma è stato uno dei grandi risultati del femminismo rivoluzionario portato in seno alla Rivoluzione Bolscevica.

Lenin per primo considerava fondamentali le donne per la Rivoluzione e per la costruzione del Socialismo. A tutti gli effetti togliere limiti di genere anche nel settore militare ha contribuito ad annichilire i precetti patriarcali in Unione Sovietica.


Una delle scelte di Lenin e di donne straordinarie come Alexandra Kollontaj, Nadia Krupskaja e Inessa Armand fu quella di aprire tutto il mondo del lavoro alle donne, senza alcun limite.

Questo permise di avere milioni di donne operaie specializzate, meccaniche, scienziate, ingegnere, aviatrici etc. che hanno condiviso con gli uomini gli stessi identici ruoli sia nella produzione industriale, sia al fronte, sia nei quartier generali, sia nei settori intellettuali e di tecnica e ricerca.

L'arruolamento nella Grande Guerra Patriottica non era l'eccezione, ma una positiva conseguenza.


Già prima del 1941 e dell'invasione nazifascista, le donne sovietiche partecipavano nelle organizzazioni come l’Osoviachim (Società per la difesa aerea e chimica), dove imparavano il tiro, il pilotaggio e il primo soccorso.

Per il PCUS in Unione Sovietica l'abbattimento del patriarcato e di ogni discriminazione di genere che si stava portando avanti rappresentava il segno inequivocabile di una società emancipata, per questo era considerato naturale che le donne combattessero.

La storia di molte di loro sono entrate nella leggenda e ancora oggi ispirano movimenti e organizzazioni femministe.


Le donne parteciparono in tutti i ruoli: infermiere, addette all'artiglieria, alla contraerea, tiratrici scelte, spie, combattenti partigiane, carriste, equipaggi nelle navi, piloti di aerei da bombardamento e da caccia. Ovviamente non mancarono nella fanteria.

Tra le molte storie straordinarie ve ne sono alcune che sono particolarmente leggendarie.

Ad esempio, nell'Armata Rossa 2.484 donne combatterono come tiratrici scelte, un ruolo dove eccellevano e spesso più degli uomini.

Erano a dir poco letali, alla faccia della cantilena sulla "guerra per soli uomini"


Ljudmila Pavličenko, con 309 uccisioni confermate, divenne la tiratrice scelta più letale della storia sovietica. Di questi, 36 erano cecchini e almeno 100 gli ufficiali nazisti.

Roza Šanina, con 59 uccisioni, fu famosa per la sua abilità nel tiro di precisione durante l’offensiva della Prussia Orientale.

Valegono molto le parole della stessa Šanina, che racchiudono appieno il pensiero che viveva nell'Unione Sovietica e che ha fatto da spinta propulsiva:

"L'essenza della mia felicità è combattere per la felicità degli altri. Se diventa necessario morire per la felicità comune, allora sono pronta"


Nei celi le donne sovietiche erano veri e propri incubi dei nazisti. Il Reggimento 588 del Bombardamento Notturno dell'Aviazione Sovietica è in questo divenuto leggendario.

I "Falchi di Stalin", un gruppo di donne aviatrici straordinarie che con più di 23.000 missioni e circa 3.000 t di bombe diventarono l'unità dell'Aviazione Sovietica femminile più decorata.

I nazisti le chiamavano "Streghe della Notte" per quanto fossero terrorizzati dalle loro azioni eroiche.

23 aviatrici del Reggimento ricevettero la Stella di Eroina dell'Unione Sovietica. Da ricordare e celebrare la fondatrice del reggimento Marina Raskova e la comandante, maggiore Evdokija Davidovna Beršanskaja.


Non solo aviatrici e tiratrici scelte, le donne sovietiche dimostrarono un valore altissimo in tutti i settori. Anche in quello sanitario, dove presero parte alle battaglie come infermiere combattenti.

Esistono molti esempi di infermiere e mediche eroine, una di esse è senza dubbio Mariya Borovichenko, sergente medica ed esploratrice, arruolata volontaria sedicenne nel 1941 divenne celebre per le audaci ricognizioni in territorio nemico e la cattura di soldati nazisti.

Curava i feriti, li portava in salvo assieme alle armi e allo stesso tempo le imbracciava per sparare all'invasore nazifascista. Nel 1943 muore sul campo di battaglia a Kursk.


Oktyabrskaya Mariya Vasil'yevna dopo la morte del marito, ucciso sul fronte orientale nel 1941, la Oktjabr'skaja vendette tutti i suoi averi per poi donare il ricavato per la costruzione di un carro armato da inviare al fronte, di cui chiese, con una lettera inviata a Stalin in persona, di poter essere la conducente.

Fu quindi inviata a un centro di addestramento per carristi, dove imparò a guidare e riparare un T-34, Il carro armato simbolo dei tankisti sovietici.

Battezzo il suo T-34 "Боевая подруга" che tradotto significa "Fidanzata Cimombattente". Per le sue vittorie venne promossa sergente e insignita della Stella di Eroina dell'Unione Sovietica dopo la.sua morte, avvenuta sul campo di battaglia nel 1944.


Siamo giustamente abituati a celebrare le donne della Resistenza in Italia contro il nazisfascismo, per il loro ruolo fondamentale nella lotta partigiana.

In Unione Sovietica non è stato diverso, anzi.

Si stima che furono almeno 50.000 le donne partigiane sovietiche. 2.000 insignite di varie onoreficenze, di cui 93 come Eroine dell'Unione Sovietica.

Come per l'Armata Rossa, le partigiane operarono in tutti i settori.

Migliaia di loro direttamente in prima linea soprattutto nelle zone rurali della Bielorussia e dell'Ucraina, dove l'occupazione nazista, grazie anche ai collaborazionisti come Bandera e i suoi accoliti, fu terrificante.


Zoja Anatol'evna Kosmodem'janskaja aveva 18 anni quando nel 1941 i nazisti invasero la sua terra. Si unì fin da subito alla guerriglia partigiana come sabotatrice.

Catturata dai nazisti, venne torturata per giorni. Spogliata, frustata con le cinture, e fatta camminare per oltre quattro ore scalza e con indosso solo la biancheria nel gelo della strada. Dopo ulteriori torture dove furono strappate le unghie a mani e piedi

Prima di essere impiccata si rivolse ai suoi carnefici: "Mi impiccate adesso, ma non sono sola. Ci sono duecento milioni di noi. Non potete impiccarci tutti. Mi vendicheranno."

Dopo l'esecuzione le venne tagliato un seno e il suo corpo fu lasciato appeso in strada per oltre un mese.


Nel 2022 a Chernihiv, i nazisti ucraini hanno usato lo stesso metodo nazista, mettendo un cavo al collo e tranciando di netto la testa della statua che la celebrava come esempio fulgido di antifascismo. Per fortuna molte sue statue e monumenti che la celebrano sono ancora ben presenti in tutti i territori della ex URSS.

Ad 80 anni di distanza i nazisti hanno ancora un immenso terrore delle donne sovietiche, anche se sono statue di pietra.

Le partigiane comuniste correvano dei rischi enormi per la propria vita e rispetto ai partigiani uomini anche di più.

Infatti se catturate venivano stuprate, torturate o umiliate pubblicamente prima dell’esecuzione. I nazisti le dipingevano come "degenerate" perché colpevoli di aver "violato i ruoli di genere tradizionali."


Le partigiane e le soldatesse sovietiche in definitiva furono fondamentali nella sconfitta del nazifascismo.

A dimostrazione che l'emancipazione della donna, la distruzione del patriarcato e la costruzione di una società eguale sia un percorso lungo di decostruzione, spesso uomini sia dell'Armata Rossa, sia del PCUS che dei gruppi combattenti partigiani diffidavano o non prendevano sul serio le donne in guerra e le stesse in molti casi dovettero lottare all'interno dei propri battaglioni per avere rispetto ed essere considerate alla pari.

Nonostante le difficoltà di una società socialista ma ancora acerba per molti versi, la loro storia mostra come la resistenza al nazismo in URSS fu una lotta per l’emancipazione femminile condotta nel solco del femminismo rivoluzionario.


L’arruolamento di massa delle donne nell’Armata Rossa fu possibile grazie a decenni di politiche rivoluzionarie che le vedevano come parte integrante della difesa della rivoluzione, non come eccezioni.

Sebbene il patriarcato non fosse completamente scomparso e la strada della decostruzione fosse ancora lunga, l’URSS fu l’unico paese a permettere loro di combattere apertamente, lasciando un’eredità complessa ma fondamentale per la storia del femminismo rivoluzionario.

A giudicare la nostra attuale società, come si rapporta con le donne, con la discriminazione, la violenza e il femminicidio, sarebbe molto interessante e necessario avere il Mosin Nagant di Ljudmila Pavličenko a portata di ogni donna occidentale.

Nicolò Monti

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