venerdì 6 aprile 2012

Il Risorto che è passato per la Croce. Questa è la Pasqua che celebro e che mi dona pace e gioia

Da quando uso Twitter, sto rivalutando il dono della sintesi, e se dovessi trovare una frase per definire l’evento della Pasqua, la più adatta che ho sentito finora è: il Risorto che è passato per la CroceIn questi giorni mi è risuonata nelle orecchie, l’ho ruminata nella mia preghiera e un canto di gratitudine si è levato a Dio, perché tutta la mia vita è stata, ed è, benedetta dall’intervento – a volte cercato a volte no – del Risorto che è passato per la Croce.
Faccio un salto indietro negli anni (una ventina…) a quando mi riavvicinavo alla fede grazie alla Chiesa Evangelica. Ho un blog che si chiama Fermenti Cattolici Vivi ma devo all’entusiasmo dei miei “fratelli separati” l’inizio della mia conversione. Come tanti dopo la Cresima mi ero allontanato dalla Chiesa Cattolica, e come tanti mi sono rivolto a fonti pericolose quanto incapaci di dissetare come le spiritualità orientali, la nascente New Age, le terapie alternative che promettono un benessere che non arriva mai. I Pentecostali erano gioiosi, feci la scoperta che la Parola di Dio era viva, che Dio parla ora-oggi-a-me, con loro feci delle belle esperienze, fondamentali al mio riavvicinamento alla fede e li ricordo con affetto e rispetto ma, ogniqualvolta entravo in qualche chiesa o sala di culto o tendone di evangelizzazione, mancava qualcosa. Mancava Qualcuno, forse.
Questo Qualcuno mi cercava, sapeva quanto fossi duro di cuore e mi ha proposto la verità un po’ alla volta. E fu così che un giorno venni invitato alla preghiera di un gruppo del Rinnovamento nello Spirito, un movimento cattolicissimo e gioioso come quei pentecostali che avevo conosciuto da poco. Lì sperimentai la stessa gioia e la stessa unzione provata con gli evangelici, la stessa potenza di Gesù risorto, e allo stesso tempo prendevano senso molte delle verità prima imparate e poi disimparate della mia Chiesa d’origine che, come un puzzle, ricomponevano quello che io avevo buttato alle ortiche allontanandomi dalla Chiesa Cattolica. Scoprivo la presenza reale di Gesù nel Santissimo Sacramento, scoprivo l’Eucarestia fonte e culmine della vita cristiana.
Grandi preghiere, grandi convegni con carismatici che mi hanno fatto conoscere il Gesù vivo, il Gesù risorto forte e potente che guarisce ciechi, e sordi. Ho visto alzarsi dalla sedia a rotelle un bambino che non aveva mai camminato, credetemi, è un’esperienza sconvolgente. Ho visto malati gravi guarire, ho visto conversioni radicali, liberazioni miracolose. Era meraviglioso, ma forse mancava ancora qualcosa. Nel frattempo ho conosciuto la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie e insieme a lei ho continuato l’entusiasmante cammino con Gesù.
Poi, quasi all’improvviso, alcuni traumi vissuti durante la mia infanzia e da me opportunamente sotterrati sotto montagne di sabbia, quella sabbia che gli psicologi chiamano rimozione, si sono fatti strada e come un Vesuvio che si risveglia dopo un lungo sonno, è esplosa la depressione. Ma come? Gesù è risorto! Per me no? Dov’è il Gesù potente, il taumaturgo? La preghiera, la Parola di Dio, l’Eucaristia… Di botto non riuscivo più a sentire nulla, a fare nulla.

Continuavo a frequentare il gruppo di preghiera e in un certo senso sopravvivevo al vero male del secolo, ma avevo una comunità che pregava con me e per me e un direttore spirituale che mi indirizzò da un’ottima psicoterapeuta cristiana. Lui, la dottoressa e la preghiera, insieme sono state come una sorta di tavolino a tre zampe su cui appoggiarmi nel cammino di guarigione.
Nel puzzle della mia conversione però, mancava un pezzo fondamentale. Forse perché il mio ‘imprinting’ con le cose dello spirito è stato un po’ protestantoide, ero abbastanza allergico a tutto ciò che riguardasse i santi e la Madonna, ma nel 1996 venni invitato ad andare a Medjugorje da Daniela (nostra cara amica e ‘comare’) e Rita, la mia fidanzata che ora è mia moglie. – Ci vado solo se vieni tu – disse perentoria. Possiamo dire di no a chiunque ma non alla donna che amiamo, per cui andai, cercando di farlo senza pregiudizi né positivi né negativi. Se è una cosa che viene da Dio – mi dissi – sarà una buona esperienza, altrimenti avrò fatto un bella vacanza in Bosnia Erzegovina.
Non vidi fenomeni nel sole, né sperimentati alcunché di straordinario – a parte gli uccellini che di botto si zittiscono durante l’apparizione – ma all’improvviso, realizzai che lì era come se si aprisse uno squarcio dal cielo alla terra, da una dimensione a un’altra, e capii col cuore che Maria è viva. Tutto qua. Vi pare poco? Veniva tutto di conseguenza; se lei era viva, era perché assunta in cielo. Leggevo anche il vangelo con occhi diversi, e il passo di Giovanni in cui Gesù entra a porte chiuse convinse la mia razionalità cartesiana che se Gesù risorto era passato a porte chiuse, poteva benissimo nascere rispettando la verginità di Maria. Mi hanno spiegato poi che non era la stessa cosa, ma Maria, come tutte le donne parla al cuore e così, da Cuore a cuore, mi convinceva nonostante continuassi a non capire. E così si aggiungeva al puzzle anche l’accettazione del dogma dell’Immacolata Concezione.
“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».” (Gv 20,19-23)
Tornato a casa, mi accorgevo che avevo ricevuto il dono di recitare il Santo Rosario intero, indipendentemente dalla mia buona o cattiva volontà. A tutt’oggi, posso dimenticare a volte la Messa quotidiana, la lectio divina, le lodi, ma mai, mai un solo giorno il Rosario che, posso assicurare, è il più efficace antidepressivo che conosco, e senza alcuna controindicazione.
La Messa quotidiana è stata il completamento dell’opera di guarigione. Giorno dopo giorno, Messa dopo Messa, Eucaristia dopo Eucaristia, il contatto del mio corpo sconquassato dalla sofferenza dell’anima, col corpo santo e glorioso di Gesù, il Risorto che è passato per la Croce, mi sanava ogni giorno un po’. Proprio quando non riuscivo a pregare, con la Comunione quotidiana permettevo a Dio di entrare nel sepolcro della mia sofferenza, di prendermi per mano e di tirarmi fuori dalla tomba della depressione un millimetro al giorno, fino a che un giorno non ho realizzato di esserne completamente fuori.
Il Dio in cui crediamo non è un Dio che ci guarda dall’alto della sua infinita lontananza, ma un Dio incarnato, il Risorto che è passato per la Croce. Prima non ne conoscevo che un aspetto, bellissimo, imprescindibile, ma mi mancava la parte più importante, la Croce.
Come molti, mi disturbava che Gesù fosse entrato a Gerusalemme cavalcando la cavalcatura dei poveri (un asinello) per farci abbandonare l’idea di un Re potente e basta. Ma ho sperimentato che la forza di Dio sta proprio nella nostra debolezza, “Quando sono debole è allora che sono forte” (2Cor 12,7-10), è il paradosso di San Paolo che addosso a me sta bene come una maglia attillata a uno sportivo… Che scriva ciò perché il mio girovita non mi ha mai permesso di indossarne una?
Il Risorto che è passato per la Croce. Questa è la mia vita. Questa è la Pasqua che celebro e che ho bisogno di celebrare in questi giorni, col Triduo pasquale.
Non si tratta di credere ma di provare. Provate per credere. Anche se sono anni che non entrate in una chiesa, ed espressioni come “Missa in coena Domini”, “Via Crucis”, “veglia pasquale” vi sembrano uscite dal “Nome della Rosa” e vi suonano familiari quanto un poema giapponese, dateGli una possibilità. Anche nella parrocchia più scalcinata della vostra città, è presente, celebrato e vivo, il Risorto che è passato per la Croce. Cercatelo e si farà trovare!
Buon triduo pasquale!

 Fonte:  fermenticattolicivivi@gmail.com

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