#IdentitàPartenopea
11 NOVEMBRE 1806 VIENE GIUSTIZIATO FRÀ DIAVOLO
al secolo Michele Arcangelo Pezza, in piazza mercato a Napoli.
“Nome stimolante, allegro o terribile, a secondo dei punti di vista, si chiamava Michele Arcangelo Pezza, nome con il quale era stato battezzato il 7 aprile 1771 a Itri,un paese a cento chilometri a nord di Napoli e a centoventi a sud di Roma, nella Chiesa di San Michele Arcangelo. La casa di famiglia, della quale ci sono soltanto alcuni resti dopo i bombardamenti del 1943, si trovava a pochi passi dalla Chiesa nella zona alta del paese, d'impianto medioevale, dominata dal vecchio maniero che per molti divenne nei tempi: il "Castello di Frà Diavolo".
La tradizione e, probabilmente, anche la storia vogliono che a soprannominarlo Frà Diavolo fosse stato il suo Maestro di fronte alla vivacità di Michele che indossava, anche a scuola, un saio francescano dopo un voto fatto dalla madre per la sua cagionevole salute. Ben presto Michele Pezza, anche per il suo carattere vivace, divenne per tutti “Frà Diavolo”. Questo soprannome, un duplice omicidio a causa di una banale rissa, la lunga latitanza tra le montagne di Itri, l’arruolamento nell’esercito borbonico per espiare la pena e la sua trasformazione in capopopolo per difendere la sua terra dall’invasione francese, ne hanno costruito un personaggio che ha alimentato la fantasia popolare.
La sua “tecnica di guerriglia” gli permise di fermare, sia pure per poche ore, nel 1798, nella gola di Sant’Andrea, tra Fondi ed Itri, lungo la via Appia antica, l’avanzata del potente esercito imperiale francese. In quel punto, dopo la pianura di Fondi, l’antica consolare romana si inerpicava, controllata da un fortino borbonico, attraverso gole e montagne, prima di ridiscendere verso Itri e poi verso il mare di Formia, per proseguire per Capua ed arrivare fino a Brindisi. Il fortino, costruito nel sedicesimo secolo, sui resti di imponenti templi dedicati ad Apollo e Mercurio, e i pendii delle circostanti montagne erano il luogo ideale per far diventare poche migliaia di uomini, semplici popolani, contadini e artigiani, ma ben guidati, una “potente armata”. L’episodio diede molto fastidio all’esercito Imperiale che, dopo essersi riorganizzato a Fondi, fece un nuovo tentativo e riuscì a sfondare la resistenza popolare, arrivando ad Itri che fu saccheggiato e bruciato. Molti civili furono uccisi
Frà Diavolo:un “imprevisto” per i francesi.
Iniziò, a quel punto, una vera e propria “guerriglia” di Michele Pezza contro il potente esercito francese. La sua tecnica era quella di colpire e fuggire in piccoli gruppi, con tanti “Frà Diavolo”, che confondevano e mettevano in crisi i suoi inseguitori. Per quasi un decennio il “guerrigliero di Itri”, nominato anche Colonnello dal Re, su indicazione della Regina Carolina che era una sua grande e interessata estimatrice, sembrava imprendibile, alimentando così una leggenda che spinse Napoleone in persona ad inviare a Napoli il colonnello Sigismond Hugo, il padre del grande Victor, per dargli la caccia. Ma a fare “grande o terribile” il personaggio, sempre in bilico tra il “bandito” e “l’eroe”, vi sono anche le storie, vere e false, di amori e di galanteria, i soprusi dei suoi uomini durante la conquista di Roma e la pignolerie dei conti delle sue spedizioni. Inoltre, il rispetto ricevuto da molti dei suoi nemici, oltre che dagli inglesi e dalla famiglia reale borbonica, hanno fatto di Michele Pezza, un personaggio le cui gesta sono state tramandate fino a noi.
Quando fu arrestato, solo e malconcio, a Baronissi, nel salernitano, per la denuncia del farmacista del paese, e portato a Napoli i francesi non ebbero clemenza .Inutili furono gli sforzi degli inglesi per fargli concedere, almeno “ l’onore delle armi”. Fu impiccato in Piazza del Mercato a Napoli, con l’uniforme di brigadiere dell’esercito borbonico. Il corpo fu lasciato penzolare per molte ore affinché tutti si rendessero conto che “l’imprendibile” Frà Diavolo fosse realmente morto. Era l’undici novembre del 1806, e suonavano i rintocchi del mezzogiorno. Michele Pezza aveva trentacinque anni e sette mesi.
Post di Pasquale Peluso (Borbone e Briganti).
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