giovedì 26 gennaio 2023

Il prof Arcangeli lancia l"allarme contro un imperante lassismo scolastico

 

Nell’aprile del 2018, in un istituto tecnico di Lucca, accadde un fatto intollerabile: una vile, ripetuta serie di aggressioni ai danni di un sessantaquattrenne insegnante di Italiano e Storia che si lasciò più volte aggredire, senza reagire, da giovani di età compresa fra i 14 e i 15 anni e dunque, lo dice la legge, penalmente perseguibili. Tutti colpevoli, in diversa misura: chi minacciò, chi aizzò o fomentò, chi riprese e mise in rete. Il professore, intervistato sull’accaduto, avrebbe poi rimproverato alla stampa di averne “fatto una cosa troppo grande”, di aver aumentato la “portata di quanto avvenuto”, e alla domanda sul perché non avesse avvisato il suo dirigente scolastico avrebbe risposto: “Sapevo che tipo era il ragazzo e non ci ho fatto molto caso”. Facciamoci invece caso ai nostri ragazzi, non laviamocene le mani. Perché, se oggi rinunciamo a educarli – e una punizione anche severa (se giusta) ha lo stesso valore educativo di un premio o di una lode –, domani potrebbero diventare sempre più di frequente i nostri aguzzini e ce lo saremmo meritato. Ogni giorno, con impegno, senso di responsabilità e dedizione, decine di migliaia di insegnanti tentano faticosamente, in aule scolastiche che sembrano diventate trincee, di mantenere un’autorevolezza sempre più difficile anche solo da difendere. È ora di invertire la rotta, di dire basta al buonismo e al perdonismo formativo di una società che, giustificando tutto, pretende ormai ogni volta di sostituire la punizione con l’idea di un recupero che non potrà mai esserci se prima non si è intervenuti in modo esemplare a raddrizzare la rotta. Stiamo perdendo una generazione, ma forse più d’una, perché quello che si sta consumando sotto i nostri occhi è un conflitto di controvalori. Detto questo, vengo alla cronaca.


Ciò che ho sentito uscire dalla bocca di Luciana Littizzetto il 21 gennaio scorso, nella puntata di un programma (“La Bomba”) di Radio Deejay che ha fatto il giro della rete, mi ha lasciato esterrefatto:


“Non esiste una classe ingovernabile, esistono dei professori molto bravi con i quali i ragazzi stabiliscono una relazione e altri con cui non ci riescono. E non è solo colpa dei ragazzi, è anche proprio colpa del (…) professore. (…) È l’empatia, no? (…) È quel qualcosa (…) che fa intuire proprio ai ragazzi che in qualche modo li ami, altrimenti non saresti lì, che ti piace essere lì con loro, che ti interessa veramente quello che pensano, le loro paure, i loro sogni. Se riesci a creare questa sensazione non ti sparano con la pistola ad aria compressa”.


Vic, il co-conduttore, prova a metterci una pezza: 


“Va detto che poi sparare con la pistola ad aria compressa non va bene a prescindere, anche se non instauri nessun tipo di rapporto”. 

Littizzetto, anziché smorzare o fare ammenda, rincara la dose: 

“Non credo che abbiano sparato tutti i professori, hanno sparato ad una sola professoressa che, poveretta (…), anche lei avrà le sue grandissime difficoltà, ma questo ci deve far riflettere, perché probabilmente non è riuscita ad entrare in sintonia coi ragazzi, scatenando questa aggressività veramente fuori luogo, (…) assolutamente da punire [..] Questa vessazione dei professori, questo bullizzare i professori è una cosa che c’è sempre stata e più il professore era debole, e poi magari timido, oppure evidentemente molto sapiente ma poco capace a trasmettere la sua sapienza, più questa cosa qua (…) saltava fuori e portava tutti al (…) delirio più assoluto”. 


Se sei empatico, dunque, se “entri in sintonia” coi tuoi studenti, non ti sparano con una pistola ad aria compressa. Un altro modo per dire che, se vuoi riuscire nel tuo compito di educatore, devi rinunciare preventivamente al tuo dovere primario, quello di educare, per l’appunto (facendo dei tuoi studenti, innanzi tutto, dei cittadini responsabili), e, prima ancora di poter pensare di essere – o sforzarti di diventare – autorevole, devi scendere a patti con i tuoi allievi perché se non accarezzi i loro sogni, o non esorcizzi le loro paure, potrebbero prenderti a pallini di gomma (se non peggio). Ma quel che è più grave, delle parole di Luciana Littizzetto, è questo: i continui atti di violenza commessi nelle scuole ai danni degli insegnanti, coi loro devastanti effetti su chi è più fragile o inerme, impotente o indifeso, sono avallati di fatto da un’ex insegnante che, pur condannando – ci mancherebbe – il gesto degli studenti responsabili, ha fatto affermazioni insostenibili sull’ormai nota vicenda riguardante Maria Cristina Finatti, l’insegnante sessantunenne di Scienze e Biologia di un istituto d’istruzione superiore di Rovigo (il Viola-Marchesini) che ha denunciato i 24 studenti di una sua classe (una prima) per lesioni personali, atti persecutori, oltraggio a pubblico ufficiale e diffamazione via social (Tik Tok e Instagram). L’11 ottobre 2022 quattro di quegli studenti avevano organizzato un piano ai suoi danni, una vera e propria imboscata con la complicità del resto della classe, vigliacca e omertosa, resa evidente dalle risate generali che, nel secondo dei due video realizzati, accompagnano le rimostranze della docente, rivolta invano ai suoi allievi perché esca il nome dell’autore dell’atto violento (un colpo, col suo carico di pallini di gomma, partito da quella pistola ad aria compressa); un video agghiacciante che dice ben più, nella sua elementare, gratuita, premeditata ferocia, delle mille parole spendibili per commentarlo. A Maria Cristina si era già sparato una prima volta già all’inizio della lezione, e si era diffusa subito dopo in rete, dopo essere stata ripresa coi cellulari, la scena della bravata. Il primo colpo era andato a vuoto, ma la seconda volta Maria Cristina, alla fine della lezione, viene colpita alla testa ed esce piangendo dall’aula. A distanza di tre mesi, dopo un periodo di convalescenza (e dopo aver ricevuto le scuse di un solo studente sui 24), l’insegnante ha reagito, accusando i genitori dei quattro perché conniventi (nessuno di loro si sarebbe, così pare, ufficialmente scusato), e, diversamente dal professore di Lucca, denunciando l’intera classe al Tribunale dei Minori di Venezia. Ha fatto bene. Perché un insegnante è un pubblico ufficiale – lo dice il legislatore (legge n. 94/2009; sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008, Zinoni, Rv. 239839), e lo confermano alcune recenti sentenze (come questa: Cassazione V Penale n. 15367 del 2014) – e da pubblico ufficiale dovrebbe sempre comportarsi. Perché, come per il caso degli alunni del docente di Lucca, stiamo parlando – lo sono tutti, presumo – di quattordicenni (o poco più) punibili dalla legge. Perché dell’aggressione è responsabile, chi più chi meno, direttamente o indirettamente, un branco di 23 persone (un solo studente, subito insultato e zittito, avrebbe provato a farlo ragionare) Perché, al di là dei provvedimenti disciplinari che sarebbero comunque stati presi dal Consiglio di Classe dell’istituto rodigino, c’è ormai bisogno di messaggi forti e chiari sulla violenza nelle nostre scuole, di cui è troppo spesso vittima un corpo insegnante lasciato sempre più solo in un preoccupante contesto di deriva collettiva.


Molti genitori non danno ormai più l’esempio, rinunciando al loro ruolo e, quando va bene, trasformandosi colpevolmente in amici, complici, difensori a spada tratta dei loro figli. La scuola, anche per colpa di chi l’ha abbandonata a se stessa, ha rinunciato alla sua funzione educatrice. La televisione è diventata una sentina di falsi sentimenti, di falsi investimenti sul talento, di apparenti spinte alla competizione che sono in realtà giochi al massacro fra menti spesso fragili che si combattono senza esclusione di colpi, di fronte a presunti giudici che godono del virtuale spargimento di sangue consumato davanti ai loro occhi. La politica ha raggiunto livelli così intollerabili di malcostume, corruzione o immoralità da meritare di essere rifondata alla base. La società ha perso ogni funzione di collante, mettendo quotidianamente tutti contro tutti. I tanti giovani smarriti o rabbiosi, indolenti o spietati, cinici o abulici, che indossano ora i panni dei martiri ora quelli dei carnefici, sono la nostra immagine specchiata. Se le colpe dei padri non devono mai ricadere sui figli, dobbiamo tenere a mente anche questo, mai come oggi le colpe dei figli sono ricadute così pesantemente sui padri.


Maria Cristina Finatti ha dichiarato che ora la sua vita è cambiata. Teme di entrare in classe, ha paura dei suoi studenti (di tutti, non solo di quei 23). A lei, che spero di poter presto conoscere per darle personalmente atto del suo piccolo gesto di coraggio, vanno tutta la mia solidarietà, il mio conforto, il mio sostegno. E ai genitori di quei 23 ragazzi chiedo di fare almeno – per il futuro dei loro figli – pubblica ammenda.

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