Anche
se pochi mesi dopo, con la marcia su Roma, il fascismo sarebbe salito
al potere, nell’estate del 1922 non riusciva ancora ad attecchire in
molte zone del Paese. Tra le aree in cui le camicie nere faticavano
parecchio c’era la provincia di Novara, dove alle elezioni del 1921
socialisti e comunisti vantavano una maggioranza assoluta di consensi.
Le azioni squadriste si intensificarono nella prima metà del 1922. Il
nove luglio la giornata era iniziata con l’irruzione di tre individui
(di cui uno armato) nel Circolo Operaio Agricolo di Casaleggio, asportò
due bandiere rosse ivi presenti e poi aggredì un ragazzo con un
fazzoletto rosso nel taschino. Un’ora e mezza dopo un ciclista,
appartenente ad un gruppo di sette persone, sparava all’agricoltore
Angelo Ridoni presso la Cascina Suppea. Ridoni, fascista convinto, era
accorso armato di bastone dopo che il nipote lo aveva chiamato a seguito
di un alterco, nato a causa di un nastrino tricolore, con uno dei
ciclisti.
La morte di Ridoni provocò la reazione dei fascisti che
fecero affluire squadristi da diverse zone e per giorni assediarono il
basso e medio novarese, aggredendo chiunque gli sembrasse un “rosso” e
distruggendo circoli operai, leghe contadine e sedi di partito. Il 12
luglio l'Alleanza del Lavoro di Novara, guidata dai locali vertici
socialisti, promosse uno sciopero contro le violenze, ma si divise al
suo interno su come reagire allo squadrismo. Conseguentemente i fascisti
occupano Novara e si diressero nell'abitato di Lumellogno, zona nota
per le sue simpatie socialcomuniste. Qui però le camicie nere trovano
pronto l’intero paese capeggiato dal diciannovenne Gaudenzio Bigliani,
leader della sezione comunista giovanile. I primi fascisti, in bicletta,
furono respinti a colpi di pietre, bastoni e forconi. Fuggiti a Novara
gli squadristi tornarono più numerosi e meglio armati, ma Lumellogno non
cadde. Dopo una battaglia vera e propria di mezz’ora gli assalitori
vennero ricacciati: lasciarono un morto sul terreno. Tra gli abitanti i
morti furono sei. L’accaduto, per cui furono fermati dalle forze
dell’ordine soltanto gli antifascisti, provocò nuovi scontri in tutto il
novarese, che si protrassero fino al 24 luglio quando i vertici
dell’Alleanza del lavoro dichiararono la cessazione dello sciopero,
contro il parere di molti lavoratori. Alla fine undici persone erano
morte (otto antifascisti e tre fascisti), 40 ferite. L’esperienza di
Novara dimostrò tutti i limiti dei dirigenti socialisti, incapaci di
comprendere che il fascismo poteva essere bloccato soltanto dalle classi
subalterne e non per via istituzionale.
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