La visita pastorale in una scuola pubblica si può fare. E, anche se c’è chi vorrebbe impedirla, un vescovo ha tutto il diritto di incontrare i ragazzi in aula. Così ha stabilito il capo dello Stato nel decreto che respinge il ricorso straordinario dell’Uaar, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, scesa sul piede di guerra contro il vescovo di Grosseto, Franco Agostinelli, e il terzo Circolo didattico della città toscana che nel 2007 aveva autorizzato il dialogo fra il presule e gli alunni della scuola elementare di via Sicilia.
Un appuntamento che non è «in contrasto con le garanzie di autonomia culturale e libertà di culto» sancite dalla Costituzione e che, anzi, è una «testimonianza sui valori» che fondano «l’esperienza religiosa e sociale di una comunità», si legge nel parere della seconda sezione del Consiglio di Stato che il presidente della Repubblica ha posto a fondamento della sua decisione.
«Si tratta del primo precedente che affronta la questione della visita pastorale in un istituto statale – spiega l’avvocato Gianfranco Amato che ha rappresentato Agostinelli in giudizio –. Ed è uno smacco per l’Uaar. Perché definisce un orientamento preciso di cui si dovrà tenere conto e perché potrà essere utilizzato nei procedimenti che sono pendenti di fronte ai Tar di alcune regioni».
Per arrivare al decreto di Napolitano che è stato notificato alla diocesi di Grosseto nelle scorse ore, ci sono voluti quattro anni. Tutto comincia nel 2007 quando il consiglio del Circolo didattico dà il via libera alla sosta del «viaggio» di Agostinelli. Una volta che la notizia viene resa pubblica, l’Uaar fa recapitare al presule una diffida. «Ma il vescovo non è si lasciato intimorire», racconta il legale. E la mattina del 25 gennaio 2008 varca l’ingresso della scuola per incontrare le classi. Un’iniziativa illegittima, tuona l’Unione degli atei. Che prima riesce a far diventare la vicenda un caso mediatico nazionale e poi sceglie di percorrere le vie legali per bloccare visite analoghe.
Dal punto di vista tecnico, il ricorso chiama in causa il Ministero della pubblica istituzione con l’Ufficio scolastico regionale e si propone di far annullare gli atti che hanno reso possibile l’ingresso del vescovo in aula. A presentarlo il coordinatore della sezione Uaar di Grosseto che è anche genitore di uno degli alunni dell’istituto dove ha fatto tappa Agostinelli. Per l’associazione, l’evento ha un «carattere inequivocabilmente di culto» e non può trovare casa «nell’ambito dell’orario di servizio di un’istituzione educativa statale».
Nulla di più falso, ribattono il Ministero e il vescovo che definiscono «infondato» il ricorso nelle controdeduzioni. Una tesi accolta in pieno dai giudici amministrativi di secondo grado che parlano di una «questione delicata e complessa» con «profili che attengono alla libertà di coscienza e alla funzione di servizio pubblico» delle scuole.
Ma nel merito del caso ci entrano eccome. Per la seconda sezione del Consiglio di Stato, «l’autonomia delle istituzioni scolastiche» che è «didattica e culturale» consente agli organi collegiali di programmare «anche incontri con le autorità religiose locali, rappresentative della comunità sociale e civica con cui la scuola pubblica è chiamata a interagire». E la visita di un vescovo non è certo un atto di culto ma va letta come un richiamo a quel tessuto connettivo che trova linfa nelle radici cristiane di un territorio. Nessuna violazione dei diritti, quindi. Anche perché – aggiungono i giudici – è stato permesso alle famiglie che lo desideravano di non far partecipare i loro figli alla “lezione” del vescovo «in modo da garantire il principio di imparzialità dell’azione amministrativa». E, si specifica nel parere recepito da Napolitano, iniziative simili possono essere proposte anche «da altre confessioni religiose presenti nel territorio» purché siano portatrici di «valori coerenti con i principi di tolleranza e rispetto delle libertà individuali e collettive».
Un appuntamento che non è «in contrasto con le garanzie di autonomia culturale e libertà di culto» sancite dalla Costituzione e che, anzi, è una «testimonianza sui valori» che fondano «l’esperienza religiosa e sociale di una comunità», si legge nel parere della seconda sezione del Consiglio di Stato che il presidente della Repubblica ha posto a fondamento della sua decisione.
«Si tratta del primo precedente che affronta la questione della visita pastorale in un istituto statale – spiega l’avvocato Gianfranco Amato che ha rappresentato Agostinelli in giudizio –. Ed è uno smacco per l’Uaar. Perché definisce un orientamento preciso di cui si dovrà tenere conto e perché potrà essere utilizzato nei procedimenti che sono pendenti di fronte ai Tar di alcune regioni».
Per arrivare al decreto di Napolitano che è stato notificato alla diocesi di Grosseto nelle scorse ore, ci sono voluti quattro anni. Tutto comincia nel 2007 quando il consiglio del Circolo didattico dà il via libera alla sosta del «viaggio» di Agostinelli. Una volta che la notizia viene resa pubblica, l’Uaar fa recapitare al presule una diffida. «Ma il vescovo non è si lasciato intimorire», racconta il legale. E la mattina del 25 gennaio 2008 varca l’ingresso della scuola per incontrare le classi. Un’iniziativa illegittima, tuona l’Unione degli atei. Che prima riesce a far diventare la vicenda un caso mediatico nazionale e poi sceglie di percorrere le vie legali per bloccare visite analoghe.
Dal punto di vista tecnico, il ricorso chiama in causa il Ministero della pubblica istituzione con l’Ufficio scolastico regionale e si propone di far annullare gli atti che hanno reso possibile l’ingresso del vescovo in aula. A presentarlo il coordinatore della sezione Uaar di Grosseto che è anche genitore di uno degli alunni dell’istituto dove ha fatto tappa Agostinelli. Per l’associazione, l’evento ha un «carattere inequivocabilmente di culto» e non può trovare casa «nell’ambito dell’orario di servizio di un’istituzione educativa statale».
Nulla di più falso, ribattono il Ministero e il vescovo che definiscono «infondato» il ricorso nelle controdeduzioni. Una tesi accolta in pieno dai giudici amministrativi di secondo grado che parlano di una «questione delicata e complessa» con «profili che attengono alla libertà di coscienza e alla funzione di servizio pubblico» delle scuole.
Ma nel merito del caso ci entrano eccome. Per la seconda sezione del Consiglio di Stato, «l’autonomia delle istituzioni scolastiche» che è «didattica e culturale» consente agli organi collegiali di programmare «anche incontri con le autorità religiose locali, rappresentative della comunità sociale e civica con cui la scuola pubblica è chiamata a interagire». E la visita di un vescovo non è certo un atto di culto ma va letta come un richiamo a quel tessuto connettivo che trova linfa nelle radici cristiane di un territorio. Nessuna violazione dei diritti, quindi. Anche perché – aggiungono i giudici – è stato permesso alle famiglie che lo desideravano di non far partecipare i loro figli alla “lezione” del vescovo «in modo da garantire il principio di imparzialità dell’azione amministrativa». E, si specifica nel parere recepito da Napolitano, iniziative simili possono essere proposte anche «da altre confessioni religiose presenti nel territorio» purché siano portatrici di «valori coerenti con i principi di tolleranza e rispetto delle libertà individuali e collettive».
La questione vera è ma perchè trascorrere tanto tempo della propria vita ad attaccare la Chiesa ed i sacerdoti? Non sarà il caso di darsi da fare a cose piu' serie.....?!
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