Separazioni o divorzi "pesano" soprattutto sulle spalle delle donne. Le italiane infatti, dopo la rottura di un matrimonio non solo si trovano più spesso nel ruolo di genitore solo, ma vedono peggiorare molto più degli uomini la loro condizione economica, ritrovandosi più spesso in famiglie a rischio povertà. È quanto emerge dal Focus dell'Istat sulle "Condizioni di vita delle persone separate, divorziate e coniugate dopo un divorzio", diffuso oggi, dal quale risulta che nel 2009, le persone che hanno sperimentato la rottura di un matrimonio sono stati 3 milioni 115 mila, il 6,1% della popolazione di 15 anni e più.
L'indagine rileva, dunque, che dopo l'interruzione dell'unione coniugale, le donne ricoprono più spesso il ruolo di genitore solo (35,8%, contro il 7,3%), mentre gli uomini prevalentemente vivono da soli (43%, contro 25,4%) o formano una nuova unione (32%, contro 23,3%). E la quota di separate, divorziate o riconiugate in famiglie a rischio di povertà è più alta (24%) rispetto a quella degli uomini nella stessa condizione (15,3%) e a quella delle donne in totale (19,2%).
Le percentuali più elevate di donne a rischio di povertà si trovano tra le single (28,7%) e tra le madri sole (24,9%). Dopo la separazione dunque - si legge ancora nel Focus- a veder peggiorare la propria condizione economica sono soprattutto le donne (il 50,9% contro il 40,1%), chi al momento dello scioglimento non aveva un'occupazione a tempo pieno (54,7%) e chi aveva figli (52,9%).
Inoltre, chi ha cambiato abitazione (41,3%) è tornato per lo più a casa dei genitori (il 32,5% degli uomini e il 39,3% delle donne), oppure ha preso un'altra abitazione in affitto (il 36,8% e il 30,5%).
E ancora: il 19% di chi ha vissuto la rottura di un matrimonio ha ricevuto aiuti in denaro o in natura nei due anni successivi alla separazione. Le persone che nel corso della vita hanno sperimentato la rottura di un matrimonio (separati legalmente o di fatto, divorziati, coniugati dopo un divorzio) che, nel 2009, risultavano essere 3 milioni e 115 mila, presentano caratteristiche socio-demografiche peculiari: un livello di istruzione mediamente più alto rispetto al resto della popolazione, con una più diffusa presenza nel Centro-Nord del Paese e nelle grandi aree metropolitane.
L'indagine rileva, dunque, che dopo l'interruzione dell'unione coniugale, le donne ricoprono più spesso il ruolo di genitore solo (35,8%, contro il 7,3%), mentre gli uomini prevalentemente vivono da soli (43%, contro 25,4%) o formano una nuova unione (32%, contro 23,3%). E la quota di separate, divorziate o riconiugate in famiglie a rischio di povertà è più alta (24%) rispetto a quella degli uomini nella stessa condizione (15,3%) e a quella delle donne in totale (19,2%).
Le percentuali più elevate di donne a rischio di povertà si trovano tra le single (28,7%) e tra le madri sole (24,9%). Dopo la separazione dunque - si legge ancora nel Focus- a veder peggiorare la propria condizione economica sono soprattutto le donne (il 50,9% contro il 40,1%), chi al momento dello scioglimento non aveva un'occupazione a tempo pieno (54,7%) e chi aveva figli (52,9%).
Inoltre, chi ha cambiato abitazione (41,3%) è tornato per lo più a casa dei genitori (il 32,5% degli uomini e il 39,3% delle donne), oppure ha preso un'altra abitazione in affitto (il 36,8% e il 30,5%).
E ancora: il 19% di chi ha vissuto la rottura di un matrimonio ha ricevuto aiuti in denaro o in natura nei due anni successivi alla separazione. Le persone che nel corso della vita hanno sperimentato la rottura di un matrimonio (separati legalmente o di fatto, divorziati, coniugati dopo un divorzio) che, nel 2009, risultavano essere 3 milioni e 115 mila, presentano caratteristiche socio-demografiche peculiari: un livello di istruzione mediamente più alto rispetto al resto della popolazione, con una più diffusa presenza nel Centro-Nord del Paese e nelle grandi aree metropolitane.
La maggioranza delle persone con una rottura coniugale alle spalle ha intrapreso e ha visto concludersi un procedimento legale di separazione davanti al giudice (59,3%); il 14,6% non è ancora arrivato alla conclusione del procedimento, mentre il 26,1% è solamente separato di fatto. Una maggiore propensione a concludere un procedimento legale si rileva tra le persone con livello di istruzione più alto e tra coloro che vivono nel Nord e nel Centro (oltre il 63% in tutte e tre le categorie).
Chi ha intrapreso le vie legali ha scelto un procedimento consensuale nella maggior parte dei casi (82,4%).
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