Giù la maschera (di ferro)
Dalla leggenda alla storia, le ipotesi improbabili e quelle verosimili.
Sulla vicenda della Maschera di Ferro, in tutte le ipotesi avanzate da storici e studiosi dell’argomento, sostanzialmente poco si è riuscito a ricavare di certo e definitivo.
Rimangono sempre aspetti di dubbio e insicurezza sulle conclusioni portate, nonostante ormai sia attestato – almeno dalle documentazioni archivistiche ufficiali – che il misterioso prigioniero mascherato tenuto nel Castello pinerolese (nella vecchia cittadella francese, divenuta seconda Prigione di Stato dopo la Bastiglia), era l’avventuriero ed assassino Eustache D’Auger De Cavoye (semplificato poi in Dauger), identificato per tutta una serie di conferme testuali ritrovate negli scritti originali e nei registri dei reclusi.
Anche se la sua condizione di carcerato speciale (costantemente mascherato e senza identità precisata, nonchè nella proibizione di scrivere o parlare con qualcuno se non al governatore della prigione e al confessore, al proprio valletto, ed ai custodi ammessi) è stata ormai chiarita, ed il suo nome ha ricevuto una riconoscibilità effettiva, rimane comunque il segreto della sua possibile autenticità.
L’ipotesi più attendibile ed accettata di attribuzione (certificata da documenti storici esistenti e ritrovati, analizzati e sistemati in particolare dalle ricerche di Jean-Christian Petitfils e di Maurice Duvivier) che riconosce la Maschera di Ferro nel Dauger (recentemente trascritto, in maniera più corretta, in Danger), viene confermata anche da altri ricercatori (tra cui Rupert Furneaux) che si basano su attestazioni materiali non congetturanti o fantasiose, e ne ritrovano la motivazione fondamentale nella semplice constatazione che è stata la “sola persona che ha seguito Saint-Mars” (lo scrupoloso Governatore delle Prigioni dove la Maschera di Ferro è stata vicendevolmente trasferita) “da un carcere all’altro”, venendo tenuto in completa segregazione perchè era al corrente di compromettenti informazioni di Corte e di Stato (e molto probabilmente del complotto che Louvois, Ministro della Guerra del Re Sole, aveva tramato per eliminare il proprio predecessore Colbert).
Per altri invece il personaggio mascherato è riferibile al Duca di Beaufort (sospettato di essere il vero padre naturale del Re Sole), se non addirittura rapportabile, come ha mostrato Pierre-Marie Dijol, al Valletto di Corte negro Nabo, da cui la Regina Maria Antonietta avrebbe avuto un figlio mulatto (come era difatti la pelle – molto scura – della Maschera di Ferro) la cui illegittimità aveva portato alla sua incarcerazione e scomparsa pubblica.
Eppure anche in questi intrighi e segreti statali rimane sempre Dauger il maggiore sospettato e indagato: egli era stato, durante la sua prigionia a Pinerolo, Cameriere di Fouquet (il Ministro delle Finanze di Luigi XIV che aveva sottratto al Re un enorme patrimonio monetario, e per questo imprigionato a vita), e poteva facilmente essere venuto a conoscenza di altri eventi scandalistici da nascondere. Ma altrimenti sono emersi ulteriori aspetti critici sul suo operato, e particolarmente il proprio coinvolgimento nel cosiddetto “Affare delle Pozioni” o “Scandalo dei Veleni”, una sorta di spaventosa ritualità satanistica perseguita da diverse esponenti nobili della città per uccidere i propri mariti ed impossessarsi dei loro patrimoni o semplicemente per disfarsi di scomodi consorti (e di tale turbante vicenda, di recente – nel 2005, da parte del restauratore dei sotterranei della Reggia di Versailles, Joaquin Venice – è stato scoperto un possibile luogo di detenzione con un inquietante busto di parvenza regale, ancòra da identificare, diabolicamente cornuto e vampirescamente dentato).
Altre dubbie circostanze intervengono inoltre nel difficile svelamento dell’enigma storico della Maschera di Ferro; e nella sua vicenda complessa e contorta si sono intromessi (o sono stati appositamente insinuati) numerosi fattori di ulteriore occultamento, non solo del volto del carcerato ma anche della sua identità nominale, dei nomi di certi personaggi – determinanti o marginali – che possono venire ritrovati in vari errori, di trascrizione e pronuncia: condizioni che sono da indagare più approfonditamente.
Cominciando proprio dal Dauger (altrimenti scritto D’Auger o D’Oger) Bernard Caire ha spiegato da tempo (nel 1992) che si deve leggere Danger, poichè nella normale scrittura manuale dell’epoca (ma anche odierna) spesso “le n sono scritte come u”. Una banale condizione che però non ha cambiato nulla nelle conclusioni reali dei fatti, ma che può suscitare non pochi altri dubbi di disguidi interpretativi (e di coincidenze insospettabili).
Innanzitutto viene la strana rispondenza dei nominativi dei vari Servitori di Fouqet (tra cui Dauger/Danger è stato il nome che è sopravvissuto agli altri), i cui significati letterari, molto particolari (Danger appunto, La Vallée, La Foret, La Rivière, e Champagne), si riferiscono curiosamente ad aspetti che possono apparire appositi elementi espressivi di comodo (rispettivamente significanti – traducendoli dal francese – Pericolo, la Valle, la Foresta, la Riviera, ed il famoso vino o la omonima regione di sua produzione) per confondere una vera identificazione.
Ma il rebus più stravagante appartiene al nome di Ercole Mattioli (Segretario di Stato del Duca di Mantova, che aveva cercato di truffare Luigi XIV sulla vendita segreta della Fortezza di Casale alla Francia, e pertanto incarcerato dei Francesi – lo ha catturato proprio il Catinat – a Pinerolo e poi nella Bastiglia), ritenuto possibile Maschera di Ferro da Marius Topin e da Franz Funck-Brentano in quanto le circostanze cronologiche e di suo incarceramento coinciderebbero con gli eventi effettivi, che nella dizione francese veniva trascritto Matthioli, ed il cui nome è stato utilizzato sulla tomba di Danger per impedire ulteriormente la veritiera identificazione del Valletto di Fouquet (o chi altri egli rappresentasse).
È proprio con due cognomi simili a quello del diplomatico italiano (un poco storpiati, come al solito, nelle trascrizioni) che le registrazioni di morte del Danger (avvenuta nel 1703) vengono appositamente confuse: mentre nel Diario del Luogotenente della Bastiglia, Etienne Du Junca, si legge infatti che “il prigioniero sconosciuto sempre coperto da una maschera” ha ricevuto il nome di “Marchiel” (dizione “sottoscritta” dal Comandante della Prigione parigina e dal medico legale che ha constatato il decesso del detenuto), nel Libro dei Morti della Parrocchia di San Paolo (dove è stato sepolto l’uomo dalla Maschera di Ferro) è riportato che il defunto è stato chiamato “Marchioly” (in altri casi trascritto anche “Marchialy”).
I dati si complicano di più osservando altre testimonianze ufficiali sugli appellativi e sulla possibile identità del prigioniero mascherato rilasciate dai suoi guardiani: che a causa del proprio aspetto moresco (come incidentalmente riporta Dijol nel 1978, seza rimarcare però le corrispondenze che tra poco evidenzierò) lo chiamavano – in francese – “Marquis Ali” (la cui pronuncia italiana, Marchì-alì, corrisponde del tutto a Marchiali, e dunque è rapportabile al Marchialy del documento mortuario parrocchiale sopra citato); e che a Pinerolo (come testimonia una lettera del Saint-Mars al Louvois del 1669) sospettavano invece fosse un “marechal” (il cui accento in francese – marsciàl – si avvicina di molto al Marchiel – pronunciato Marscièl – riportato nel Registro della Bastiglia).
Si tratta soltanto di fatali errori di trascrizione, o di voluti sistemi per confondere l’autentico riconoscimento del prigioniero mascherato? Oppure sono astuti mezzi di distrazione (alterazione) per un codice cifrato (di cui un altro riferimento criptico potrebbe inoltre celarsi nella sigla numerica – “Detenu 64389000: l’Homme au Masque de Fer” – registrata nel Libro dei Carcerati della Bastiglia, ritrovato nel 1789 dai rivoluzionari francesi quando si impadronirono del carcere parigino) contenente una deviante indicazione, idonea a coprire il segreto del nome nascosto?
E che cosa dobbiamo pensare poi del termine Saint-Mars, che altrove viene scritto – senza variarne la pronuncia – Cinq-Mars (e potrebbe diventare – sebbene forzatamente – anche Saint-Marc, o perfino Sainte-Marque)?
Come diversi autori hanno sospettato e suggerito, è forse possibile che dietro ai nominativi attribuiti al Danger (e non solo alla sua mascheratura, metallica o di panno, se non impalpabilmente di solo significato emblematico) si celino personaggi del tutto impensabili e differenti.
Che la Maschera di Ferro sia davvero il Mattioli (in effetti con tale nome essa è stata sepolta quale presunto Danger), oppure il Fouquet (come ha proposto già dal 1836 Paul Lacroix) dato per morto di apoplessia nel 1680 ed occultato sotto la provvidenziale mascheratura ferrea, o che possa rivelarsi uno sconosciuto Maresciallo di Francia ancòra da scoprire, è un argomento tutto da verificare e di cui occorre ritrovare tuttavia le effettive prove di conferma.
Tra le altre interpretazioni recenti, la più paradossale è stata esposta, anch’essa nel 2005, da Jean-Luc Dauphin, che considera Saint-Mars “il vero padre della Maschera di Ferro” (e a ben vedere, diversamente da tutti gli altri incarcerati di sua competenza, egli – sempre – si portava gelosamente con sé quel prigioniero, come un figlio da proteggere).
Sono comunque in molti gli autori che ritengono il mascheramento del detenuto un espediente eclatante e di comodo per continuare a ricevere gli appannaggi provenienti dalla sua custodia; ma forse qualcos’altro si può celare dietro quella strana supposizione: ad esempio, che esistesse una tacita complicità (come si può ricavare da un vago riporto piccante, soltanto accennato da Nello Manduca) tra il Carceriere del Prigioniero Mascherato e il Louvois; perché il Ministro francese era divenuto l’amante della moglie del Commissario della Guerra pinerolese, Damorezan, la cui tresca segreta era nota alla sorella di lei, la quale a sua volta non era altrimenti che … la sposa del Saint-Mars!
Ad ogni modo, fortunatamente per il Governatore della Prigione di Pinerolo, il ferreo mascherato decede nel 1703, appena in tempo per liberare il proprio custode da quella lunga incombenza protettiva tenacemente perseguita per tutta la sua vita, e lasciarlo finalmente morire a sua volta qualche anno dopo – nel 1708 – alla veneranda età di 82 anni, senza più crucci di mistificazioni segrete e sotterfugi falsificanti (affidati volentieri alla problematica risoluzione dei posteri).
(Vita diocesana Pinerolese)
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