Nelle metropoli moderne, fra grandi tangenziali a quattro corsie, giganteschi e alienanti centri commerciali e uffici popolati da stuoli di frenetici impiegati, si possono trovare scorci di vita che, pur nella loro apparente semplicità, costituiscono uno spiraglio di sopravvivenza non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello comunitario, sociale ed economico. Stiamo parlando degli orti urbani, un’alternativa su piccola scala alla grande agricoltura intensiva, basata sui ritmi di coltivazione innaturali, sull’ampio utilizzo di pesticidi, fitofarmaci, fertilizzanti, strumenti atti a conseguire – secondo la logica capitalistica della “ crescita ad ogni costo “ – il massimo rendimento per ettaro in termini di produzione, merce e quindi guadagno. Le conseguenze negative di queste pratiche portano alla commercializzazione di prodotti di qualità scadente, spesso addirittura dannosi per la salute di chi li consuma. Completamente diversa la sensibilità con cui il coltivatore dell’orto svolge il suo lavoro. La cura dell’orto avviene attraverso metodi tradizionali, frutto dell’antica sapienza contadina, rispondenti a un’esigenza di semplice sostentamento e autoproduzione e permeati da un profondo amore e senso di gratitudine nei confronti della terra. E’ proprio di questi ultimi vent’anni la rinascita di una vecchia istituzione, quella degli “orti senza casa”, cioè di orti allocati all’interno del tessuto urbano, che non appartengono a chi li coltiva, ma proprietà di associazioni o delle amministrazioni comunali ed assegnati a coltivatori non professionisti. Molti comuni stanno riconoscendo il valore di queste esperienze, creando strutture apposite e indicendo bandi e concorsi per l’assegnazione e la gestione degli orti cittadini.
Il fenomeno nasce a Lipsia, In Germania, verso la metà del XIX secolo, ma trova il suo aspetto più interessante nei jardinsouvriers francesi ( giardini operai ), nati alla fine dell’Ottocento dall’attività di Monsignor Jules Lemire. Egli fu non solo uomo di chiesa, ma anche professore e uomo politico di grande statura. L’intento di M. Lemire non era unicamente materiale, ma anche morale : coltivare l’orto era non solo una risorsa economica ed alimentare, ma anche un modo sano e retto di passare il proprio tempo libero in compagnia della propria famiglia, a contatto con la natura e al riparo dalla tentazione dell’alcolismo, allora molto diffuso. L’esperienza francese fu ben presto esportata all’estero, in Belgio, Germania e anche da noi in Italia, dove però non ebbe molta risonanza. All’epoca il fascismo aveva promosso l’iniziativa dell’ “orticello di guerra”. In particolare l’Opera Nazionale del Dopolavoro Ferroviario fu molto attiva e promosse concorsi per l’abbellimento delle stazioni ferroviarie. Dopo la Guerra gli orti urbani subirono un declino, erano visti dagli urbanisti e dalla gente comune come un elemento di degrado paesaggistico, la città era considerata un luogo per parchi e giardini, non per orti, che le conferivano un aspetto decadente, “di paese”. Il declino dell’ orticoltura ornamentale negli anni Sessanta e Settanta è stato la conseguenza del disprezzo per ogni forma di economia domestica imposta dalla cultura industriale e urbana, ma anche dalla nascita di altri modi per impiegare il proprio tempo libero. Deleteria a tal riguardo è stata la televisione, tanto che la storia dell’orto in Italia si può dividere in epoca pre e post – televisione. La rinascita dell’interesse per la coltivazione dell’orto coincide con la crisi economica che ha colpito l’Europa a partire dagli anni Ottanta. La comunità che coltiva gli orti costituisce quasi un rallentatore, un tentativo di riequilibrare i ritmi frenetici imposti dalla società moderna. Coltivare l’orto tiene attivi e rilassa, significa socializzare, ma anche isolarsi e dialogare con se stessi; è un’attività praticata sia dalla gente comune che dagli intellettuali: Voltaire, Petrarca, Manzoni, Calvino, Bacone, Kant e molti altri erano appassionati giardinieri e orticoltori. A New York si sfruttano gli angoli dei balconi sui grattaceli, a Londra si coltivano abusivamente gli spazi incolti con le azioni di guerrilla gardening , recuperando zone abbandonate a se stesse, degradate e fatiscenti, reagendo in tal modo all’inerzia delle amministrazioni pubbliche. In questa fase di seconda giovinezza degli orti urbani c’è una maggiore diversificazione del beneficiario dell’orto. Non solo operai e gente di basso ceto, ma anche impiegati, insegnanti, e professionisti. Diminuiscono i pensionati e si abbassa l’età media. Aumentano le colture da fiore e il gusto borghese per il decoro, si incrementa il numero delle donne. A Roma è possibile adottare e curare, gratuitamente uno spazio pubblico incolto. Ci sono delle procedure da rispettare e dei relativi tempi tecnici. Sembra che la capitale sia una delle città italiane con più verde pubblico purtroppo incolto. E’ nata, nel Novembre dello scorso anno, una lodevole iniziativa proprio da questa riflessione, chiamata Zappata Romana , un progetto di studio UAP di “ azione collettiva di appropriazione dello spazio pubblico urbano e lo sviluppo di pratiche ambientali, economiche e sociali innovative”. Sul sito del progetto è stata pubblicata la mappa con tutte le aree verdi condivise del comune di Roma. In pratica è possibile prendere in adozione dal comune, gratuitamente, uno spazio verde da coltivare, anche in pieno centro. A differenza dei giardini pubblici tradizionali, i giardini e gli orti condivisi vedono protagonisti tutti i cittadini perché sono realizzati e/o gestiti dai cittadini stessi riuniti intorno ad un progetto comune per rendere migliore il loro quartiere. Molto spesso un giardino condiviso è lo spunto per fare altro: un luogo d’incontro, far giocare i bimbi, avere un po’ di relax, praticare uno sport all’aperto, fare attività culturali, fare giardinaggio, coltivare un orto per l’autoconsumo, fare volontariato sociale o educazione ambientale. Il giardino condiviso può essere il fulcro di una comunità delineando nuovi modi di vivere la città. Molti stanno cominciando ad accorgersi del piccolo miracolo degli orti cittadini, in grado di concentrare in 50 metri quadrati opportunità di crescita, sostenibilità ambientale, occasioni di socializzazione e recupero dei valori comunitari. Sulla scia di questi temi, annotiamo un fatto locale avvenuto la notte tra il 5 e il 6 di Novembre nella comunità di Labico: l’Associazione socioculturale “ Labicocca ”, impegnata sul territorio con iniziative a tutela dell’ambiente, ha portato a termine un’azione non violenta di guerrilla gardening, in occasione del “ primo attacco nazionale sincronizzato di G. G. “. In località “La Roca”, in via Figoroni , alcuni esponenti dell’ Associazione insieme con dei volontari hanno << preso d’assalto>> una piccola area verde abbandonata a se stessa, piantando fiori e piante aromatiche. Il sito è poco distante dagli edifici scolastici di Labico, e questo è stato un motivo in più per eleggerlo sede dell’assalto: “ Per fare un regalo ai tanti bambini che ogni mattina passano lì davanti per andare a scuola “. La missione è stata compiuta con successo, e sarà la prima di una serie, assicura l’Associazione: “ Adesso, avremo cura di mantenere quest’area pulita e bella, com’è ora, e per questo chiediamo la collaborazione di quanti abitano in zona, e di quanti ogni giorno passeggiano in quella starda per andare a scuola…, noi , comunque, non l’abbandoneremo.”
fabio vergovich
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