mercoledì 26 giugno 2013

Ferrara raduna i servi del Cav. per dire che lui non lo è

Opinione di Michele Fusco


Il direttore del Foglio doveva dare un segno definitivo della sua separazione dalla compagnia di giro che accompagna pensieri, parole e opere di Berlusconi. E come farlo, se con un triplo avvitamento del pensiero, con il quale convocare l’adunata dei servi liberi, dove l’unico un po’ più libero degli altri è solo e soltanto lui?
Il direttore del Foglio Giuliano Ferrara (Afp)

Giuliano Ferrara ha una perfidia che gli viene universalmente riconosciuta, ch’egli riversa ora qui ora là secondo sceneggiatura contingente e personalissimi avvitamenti. Non sempre la ciambella riesce, almeno non già in premessa, come invece appare luminosamente nella “Libera adunata dei servi del Cav.”, che questa mattina e per l’intero pomeriggio si dipanerà in un teatro del centro di Roma. Obiettivo dichiarato, risvegliare, se ancora è possibile, l’antico Cavaliere che è in Berlusconi. Operazione titanica, ammetterete, e dunque perfettamente in linea d’ombra con il nostro barbuto direttore.
In realtà, l’obiettivo non è questo. A differenza del consesso smutandato di qualche mese fa, che si scagliava noiosamente contro neomoralisti e dittatura dei pm, versione piagnucolosa e poco glam del nostro, stavolta il retropalco fogliante ci regala un divertimento in controluce, ma assicurato. A dispetto delle dichiarazioni programmatiche del “convegno”, che porterebbero i protagonisti ad autodenunciare la loro servitù berlusconiana, qui l’unico, vero “indipendente” appare proprio lui, l’organizzatore, il David Zard della politica in controluce, riuscito nell’impresa, invero non problematica, di far cadere nella sua perfidissima rete, da vero puparo, tutti i suoi compagni di servitudine.
Negli anni, Giuliano Ferrara ha certamente sostenuto l’opera del Cav. nella sostanza ma poi non troppo nelle forme. Ciò gli ha garantito sopravvivenza personale, nel senso di sfuggire – quando tutti l’avrebbero chiuso nella strettissima foggia del lustrastivali – da qualunque becera omologazione. Insomma, quando le cose si facevano sin troppo banali, o volgari o anche semplicemente più monotone, il direttore del Foglio ha battuto una strada più sgarrupata che facesse onore alla sua riconosciuta intelligenza. Naturalmente, ciò non lo esime dall’essere riconosciuto come un cantore seppure stonato.
Ma chi negli anni ha pensato d’averlo finalmente imprigionato nella livrea d’ordinanza, doveva magari prendere buona nota di una sua incazzatura feroce col Cav., di un suo momentaneo aventino, insomma di una sofferenza politica poco in linea con i Verdini o i Gasparri del momento (no scusate, Verdini no che è stato suo editore, facciamo un altro nome, diciamo lo scomparso Elio Vito).
Che a Ferrara non piaccia esser servo, prima ancora che sentirsi, è del tutto compatibile con il giornale che fa, supernicchia intelligente per feticisti politici. Ma certo, il nostro doveva dare un segno definitivo della sua separazione dalla compagnia di giro che accompagna pensieri, parole e opere di Silvio Berlusconi. E come farlo, se con un triplo avvitamento del pensiero, con il quale convocare, nero su bianco, l’adunata dei servi liberi, dove l’unico un po’ più libero degli altri è solo e soltanto lui?
Feltri, Belpietro, Sallusti, Sechi ci sono cascati come pere cotte, eccependo nulla, aderendo al progetto senza profferire verbo, sillaba, vocale, forti di quella protezione intellettuale che invece ne disvelava, terribilmente e dichiaratamente, la totale, inevitabile dipendenza da Berlusconi. Se era un modo per separare definitivamente le intelligenze, Ferrara ha certamente scelto quello più feroce. Bella Giuliano.
PS. per carità di patria, qui non si dirà nulla sui sostenitori di sinistra (Sansonetti, Armeni e altri) che aderiscono all’iniziativa.


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