lunedì 22 ottobre 2012

Ergastolo, un dibattito senza fine/.1


-Pubblichiamo in due puntate un breve saggio di Davide Piancone sul tema dell’ergastolo, spesso dibattuto tra chi ritiene che sia una pena incompatibile con la Costituzione e con il sistema penale italiano e chi invece lo ritiene ben inserito, anche se passibile di riforme, in tale sistema. La seconda puntata uscirà domani.
Definito pena “perpetua” dall’art.22 c.p., l’ergastolo è la più grave tra le pene detentive, sanzioni che prevedono la privazione della libertà personale e l’obbligo del lavoro.
La sua legittimità costituzionale è oggetto di critica sin dai primi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione e non ha mancato di subire modifiche molto incisive sia grazie all’intervento della giurisprudenza costituzionale, sia in seguito ad importanti riforme, prime fra tutte le leggi 1634/62 e 354/75(concernente l’Ordinamento penitenziario). Queste modifiche hanno implicitamente espunto l’isolamento notturno nonché mitigato il carattere di perpetuità della pena.

Si è obiettato che l’ergastolo contrasterebbe il divieto di rango costituzionale di applicare “trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27 comma 3, periodo 1 cost.). Ebbene, questa tesi non ha mai avuto grande fortuna poiché, da una attenta lettura del dettato costituzionale, emerge che tale divieto si riferisce non al tipo di pena, ma alla modalità di espiazione della stessa. Laddove, infatti, i costituenti hanno inteso escludere un tipo di pena, l’hanno fatto in modo esplicito (si pensi alla pena di morte, vietata dall’art. 27 comma 4 cost.).
Ci si interroga, inoltre, sulla sua conciliabilità con la funzione rieducativa della pena (art. 27 comma 3, periodo 2 cost.). Sul punto, il giudice delle leggi ha stabilito (Corte Cost. n. 264/74) che il problema è superabile in virtù del principio della polifunzionalità della pena. Essa non avrebbe il solo fine di rieducare e cioè rendere i delinquenti idonei al loro reinserimento nella società, ma anche una ineliminabile funzione general-preventiva di neutralizzazione di determinati delinquenti che ledono beni ritenuti fondamentali mediante modalità che rendono necessario il ricorso ad uno strumento di difesa sociale particolarmente incisivo. Questo è uno scopo pre-costituzionale e addirittura pre-giuridico della pena, a presidio della pace sociale, indipendentemente dal reinserimento, degradato a risultato meramente eventuale.
La Consulta ha assunto un diverso orientamento quando ha dovuto valutare la medesima questione con riferimento ai minorenni imputabili, occasione in cui ha dovuto escludere la legittimità costituzionale dell’ergastolo in ragione della protezione accordata dall’art. 31 cost. all’infanzia ed alla gioventù (Corte Cost. 168/94).
Non si può incorrere nell’errore di dare troppa enfasi al momento rieducativo della sanzione penale, laddovela Carta fondamentale non parla di rieducazione come esito certo (per dirla con un concetto preso atecnicamente in prestito dal diritto civile, si tratterebbe di una obbligazione “di mezzi” e non “di risultato”). La pena, è stabilito, deve “tendere” alla rieducazione. Se potessimo esigere dal sistema penitenziario la consegna alla società di una persona effettivamente emendata, probabilmente il primo non potrebbe rispettare il suo obbligo senza venire meno al dovere di astensione da trattamenti disumani, in ragione del fatto che non tutti i detenuti desiderano la rieducazione.
Quest’ultima, in un sistema liberale e pluralista, è sempre frutto di una scelta individuale e non può mai essere forzata attraverso un trattamento coattivo comminato dallo Stato. A meno che non si voglia confondere rieducazione con reinserimento, opinione inaccettabile dal momento che i due concetti non sono sempre sovrapponibili, se non per quanto riguarda i delinquenti che sono il frutto dell’emarginazione sociale. Non si può dire lo stesso per soggetti che hanno fatto dell’inserimento in tessuti criminosi della società l’elemento tipico della loro condotta. Per i primi la pena non può che essere finalizzata al rendere compatibile il condannato con la società. Per i secondi, invece, non è realistico pensare di fare a meno della necessità di segregazione per il tempo necessario alla neutralizzazione dei legami interni al consorzio criminale e delle residue potenzialità aggregative.
Il cavallo di battaglia della “perpetuità” della pena appare non più attuale, specialmente in seguito alla legge 663/86. L’art. 176 comma 3 c.p. consente la liberazione condizionale dopo 26 anni di detenzione,suscettibili, peraltro, di riduzioni premiali dei tempi per la scarcerazione (fino a 19 anni e sei mesi). È possibile l’ammissione al regime di semilibertà dopo 20 anni di pena anche essi riducibili sulla scorta della condotta del detenuto (fino a scendere a 15 anni in totale). Si aggiungano i permessi premiali per non più di 45 giorni annui (computati ad ogni effetto nella durata della pena).
Al fine di contrastare in modo efficace la criminalità mafiosa, con legge 356/92 è stato introdotto l’art. 4-bis all’Ordinamento penitenziario. In questo modo, i benefici brevemente richiamati sopra sono stati esclusi per taluni reati rientranti direttamente o indirettamente nell’alveo della criminalità organizzata, salvo che il condannato decida di collaborare con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter. Per i più critici, si tratterebbe di un sostanziale ricatto operato dallo Stato in danno di taluni particolari ergastolani, peraltro infruttuoso sotto l’aspetto rieducativo, in ragione del radicamento della forma mentis criminale in certi delinquenti che si sentono vittime del sistema e per questo incapaci di cogliere l’essenza dell’opportunità della collaborazione.
Attualmente, l’elenco dei reati ostativi all’applicazione automatica dei trattamenti premiali e delle misure sostitutive della detenzione si è ampliato a seconda della necessità di “sicurezza” di volta in volta avvertita come necessaria dai legislatori prontamente impegnati a rispondere elle “emergenze” provenienti dalla viva carne della popolazione (o, talvolta, dalla carta stampata, a seconda della stagione politica). L’elenco resta tassativo e comprende i delitti di associazione di tipo mafioso o finalizzata allo spaccio di stupefacenti o al contrabbando; una serie di delitti contro la libertà personale e contro la personalità individuale come la riduzione in schiavitù, la tratta di persone, l’induzione o sfruttamento della prostituzione minorile, la pedopornografia, la violenza sessuale di gruppo, l’acquisto o l’alienazione di schiavi; il sequestro di persona a scopo d’estorsione o di rapina e i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza.
E’ bene ricordare che molti di questi reati, da soli, pur essendo ostativi non sono puniti con l’ergastolo se non in particolari ipotesi aggravate (ad esempio, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione aggravato dalla morte dell’ostaggio). Ciò comporta che l’ergastolo in molti casi potrà essere ostativo solo nella misura in cui la pena derivi dal cumulo con la reclusione per reati ostativi, sicché l’esclusione dai premi e dalle misure sostitutive viste innanzi potrà essere temporanea fino all’avvenuta espiazione della pena non perpetua, ricavabile con un calcolo previo “scioglimento del cumulo” delle pene così da stabilire da quale momento in poi la pena dell’ergastolo può considerarsi libera da motivi che ostano all’applicazione di benefici di legge.
(1./continua)

Autore: Davide Piancone

Nato in Puglia nel 1985, ha studiato giurisprudenza e conseguito il diploma di SSPL, approfondendo i temi dei diritti fondamentali, immigrazione e commercio internazionale. Fa parte dell'associazione Punto Lib, composta da giovani pugliesi liberali.



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