Di seguito un brano, variamente ripreso da siti e quotidiani e tagliato nella circostanza qua e là, estratto dal mio libro "Quel braccio alzato. Storia del saluto romano" (Castelvecchi), appena approdato in libreria.
Siamo su Facebook. «Abbasso il NATALE, plutocratico e borghese! Viva la BEFANA, popolare e fascista! AUGURI». «Non sono fascich?».
Chi ha prodotto questi esempi è Paolo Corsini, che è a capo dei programmi d’informazione di approfondimento della Rai.
Paolo Corsini è quello che, parlando di “orgoglio italiano” nel corso dell’ultima kermesse di Atreju, ha rivendicato pubblicamente, senza neanche un filo d’imbarazzo, la sua affiliazione al partito di
Giorgia Meloni. In quell’occasione (14 dicembre 2023) ha dichiarato di essere tuttora militante di Fratelli d’Italia, definendolo «il nostro partito».
Paolo Corsini è quello del monologo sulla Festa della Liberazione che il 20 aprile 2024 Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere in prima
serata su Raitre a "Chesarà…" (l’intervento fu invece censurato), ed è lo
stesso che si è divertito più volte a provocare gli utenti di Facebook, nei suoi post del 25 aprile, dicendo di essere al lavoro – nel 2016 ha sfoggiato anche una bella camicia nera – o nel 2011, tanto per approfittare della doppia festività, augurando Buona Pasquetta e rispondendo in questo modo alla reazione piccata di un utente (se può permettersi di scrivere una tale sciocchezza, fa notare il commentatore, «è anche grazie a quelli che il 25 aprile 1943 decisero di morire, per darci la libertà»): «Ah, gia’, ma perche’ oggi che festa e’ per… Gli americani?!».
Paolo Corsini è quello che al tempo della pandemia, a commento di una celebre poesia di Trilussa sul saluto romano (scrive: «…Di questi tempi sempre più attuale!»), schiaffa su un post del 25 febbraio 2020
tre figurette col braccio teso. È quello che ama citare frasi di Mussolini, come in due post del 10 febbraio 2011 («Con un proletariato riottoso, malarico, pellagroso non vi può essere un elevamento dell’economia nazionale») e del 9 ottobre 2012 («Il giornalismo non è per noi un mestiere ma una missione: non siamo giornalisti per lo stipendio, in questo caso non ci sarebbero mancati posti migliori. Il giornalismo non è per noi un foglio che voglia essere riempito settimanalmente con quello che capita. No, il giornale è per noi un partito, è una bandiera, è un’anima») e in un commento a un post
del 2 giugno 2012 («A chi la gloria? A noi! …E da 3 secoli»). È quello che per ben due volte, il 4 e il 24 novembre 2016, va a sentire al Piper di Roma i 270bis di Marcello De Angelis, che non mancarono allora di eseguire, nella selva delle braccia tese dei presenti, un classico del loro repertorio nostalgico: "Claretta e Ben". I destinatari dei ringraziamenti di Corsini dopo il primo concerto, in un post del giorno successivo, sono tutto un programma.
Paolo Corsini è quello che il 26 aprile 2013 esalta Vladimir Putin. È quello che il 14 luglio 2013 posta una frase dello scrittore e filosofo colombiano reazionario Nicolás Gómez Dávila («Le aristocrazie
sono i parti naturali della Storia, le democrazie gli aborti») per sbeffeggiare gli ideali che guidarono la Rivoluzione francese. È quello che il 21 dicembre – lo fa tante volte – augura il Buon Solstizio a celebrazione del Natale nazista. È quello dei gridi di guerra del Ventennio («Alalà!») e quello che riporta due versi di un canto repubblichino, piegandoli a un motivo di estenuazione e di sfogo («“Vince sempre chi più crede / chi più a lungo sa patir”… ma mi sarei anche un po’ rotto»), e tra un like e un complice sghignazzo una nutrita rappresentanza di giornalisti della Rai pare apprezzare. Nessuno che gli mostri un atto, un moto, una parola di disappunto.
Il 28 novembre 2013, come immagine di aggiornamento del suo profilo, Corsini posta una foto che lo ritrae seduto al suo studio di vicedirettore del Giornale Radio della Rai tra il balilla a destra che si è portato da casa, un poster attaccato al muro nella cameretta di un tempo – ce lo dice lui stesso in un commento a un altro post –, e due bei fasci littori a sinistra a incorniciare il suo nome e cognome (Barbara Carfagna commenta: «Bella! Molto»); tre anni dopo, condividendo quello scatto in qualità di ricordo,
commenta spavaldo per sollecitare l’attenzione dell’uditorio sull’ambientazione fascista: «Vabbe’, ma da voi mi aspettavo qualche commento sul… contorno!».
Infine, da buon rappresentante di un’estrema destra invariabilmente sessista e omofoba, Paolo Corsini
posta un articolo del «Foglio» che è un assist perfetto (titolo: "Oggi froci") per sproloquiare sui soliti beceri luoghi comuni («Il fastidio non è per cosa fai a letto (o dove meglio credi): cazzi tuoi! ma perché
devi farne una questione di Stato?») oppure scherza sulla cultura dello stupro: dopo aver postato una notizia un po’ singolare («La Norvegia lancia un corso con finanziamenti pubblici su come vivere da vero vikingo…Stupro e saccheggio escluso») avalla con un like il bel commento di un amico («E allora dove starebbe il divertimento?»).
Solo un’Italia che non abbia fatto ancora seriamente i conti col Ventennio può tollerare che a decidere degli approfondimenti giornalistici del servizio pubblico possa esserci chi inneggia senza mezzi termini al nazifascismo in atti, parole e comportamenti inaccettabili.
Massimo Arcangeli
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