domenica 3 gennaio 2021

Morto Giovanni Russo, l’ultimo meridionalista

 


Addio al giornalista che sapeva raccontare, e spiegare, la società del Sud. Affrontava
i grandi temi senza dimenticare le persone. Al «Corriere» fu una delle firme più amate
- Giovanni Russo, una vita per il riscatto del Mezzogiorno di Antonio Carioti

 
Giovanni Russo (a destra) con Giorgio Amendola 
Giovanni Russo (a destra) con Giorgio Amendola
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Un altro mondo, quello di Giovanni Russo, il grande giornalista, lo scrittore che è morto ieri nella sua casa di piazza Grazioli a Roma. Un uomo di speranza, le speranze fallite del dopoguerra. Ancora dopo i novant’anni, non voleva rinunciare a credere che la vita non potesse essere migliore, più serena, più giusta. Dal viso triste, come tanti uomini del Sud, diventava d’improvviso ilare, allegro, un ragazzo felice, nonostante i dolori che hanno inquietato la sua vita.

Un ritratto di Giovanni Russo
Un ritratto di Giovanni Russo

«Il Mondo», il gran giornale di Mario Pannunzio, che creò negli anni ’50-’60 del Novecento tanti tra i migliori giornalisti italiani, fu la sua culla. Il suo capolavoro, Baroni e contadini, pubblicato nel 1955, nacque in quelle mura: dopo decenni ha mantenuto intatta tutta la sua freschezza, il suo spirito di verità, la sua grazia poetica.

Giovanni Russo andava a vedere, non si stancava mai, voleva sapere, capire con umiltà e coraggio. Raccontava. Come gli scrittori del Grand Tour di una volta, Norman Douglas, Edward Lear, Richard Keppel Craven. Sapeva spiegare com’era — e spesso com’è ancora — la società meridionale. Con pochi tratti disegnava un carattere, attento a tutto, i paesi, le città, le persone, soprattutto.

Russo (primo da sinistra) con Maccari, Montanelli e Flaiano
Russo (primo da sinistra) con Maccari, Montanelli e Flaiano

Pieno di curiosità com’era, non trascurava nulla, faticava: pare di vederlo in paesi sconosciuti bussare alle porte delle case, curioso, per niente altezzoso, senza mai mollare la presa. Non si stancava mai di parlare, o di cercar di farlo, con tutti, principi, braccianti, guardie, feudatari, mezzadri, ladri, preti, pastori, vecchi, giovani anche allora senza futuro, tra gli Abruzzi, la Basilicata, la Puglia, la Calabria, la Sicilia. Già mezzo secolo fa fece capire che non esiste un solo Sud e che è necessario studiare, comprendere le differenze, i costumi, i bisogni.

È stato, si è detto, uno degli ultimi meridionalisti, con Rocco Scotellaro, Tommaso Fiore. Scrittore civile, figlio di Corrado Alvaro, di Carlo Levi, erede della lezione di De Sanctis, Dorso, Giustino Fortunato, Zanotti Bianco, Giovanni Russo non si dava pace che il Sud oggi sia così dimenticato e diventi di moda soltanto ai tempi delle elezioni.

Una volta la discussione politico-culturale era fervida, le riviste, «Nord e Sud», «Cronache meridionali», tenevano vivo il dibattito contribuendo a fare del Mezzogiorno un problema nazionale. E poi?

Giovanni Russo non demordeva. Ancora quattro anni fa pubblicò un libro, Reportage sulla Calabria, che rende con limpidezza quel che è accaduto in quell’infelice regione. Fino alla fine seguitò a battersi contro il falso meridionalismo, la burocrazia dissennata, le cattedrali nel deserto che hanno fatto fuggire dal Sud preziose energie intellettuali.

Sapeva scrivere dei grandi temi senza dimenticare mai le persone in ritrattini pieni di umanità. Era spiritoso. Nella vita quotidiana e nella scrittura. In quel libro calabrese, ad esempio, racconta di un barone che non doveva essergli simpatico, «con una testolina d’uccello bizzosa e un grosso naso a pipa».

Al «Corriere» approdò nel 1955 dopo il successo di Baroni e contadini che vinse il Premio Viareggio. Inviato di grande livello, fu uno dei giornalisti più bravi e più amati. Viaggiò in tutto il mondo ma forse preferiva andare in un piccolo paese del Sud allora incontaminato. Capiva che i fatti minimi, i dettagli, sono lo specchio dell’universo.

Fu coerente, meridionalista democratico e laico vicino al Partito repubblicano. Anche i libri che ha scritto potrebbero dar vita a un’unica collana, lo si capisce già dai titoli, L’Italia dei poveri, Chi ha più santi in paradiso, I figli del Sud.

E poi Terremoto: nel 1980 fu in Irpinia e in Campania, implacabile nel voler vedere, e scrisse articoli di grande importanza che fecero mutare le decisioni dei governanti che volevano trasferire i terremotati di San Mango del Calore, di Sant’Angelo dei Lombardi e di altri paesi devastati dove una volta tra le macerie c’erano le loro povere case e inviarli dissennatamente in luoghi lontani e sconosciuti.

Nel 1992 scrisse ancheI nipotini di Lombroso: è sbagliata, disse allora, la polemica contro il Mezzogiorno che non è solo malaffare e corruzione. Una polemica che spezza l’idea stessa di nazione e diffonde, per reazione, nostalgie neoborboniche. (Pare che Giovanni Russo, Giovannino per gli amici, avesse qualità divinatorie: nei giorni scorsi i principi di Borbone sono giunti a Noto festosamente accolti dalle autorità e dal vescovo).

Nel 1994, più di vent’anni fa, Russo scrisse un libretto, Perché la sinistra ha eletto Berlusconi, con pagine ricche di amare verità. Rideva quando gli si diceva che Berlusconi era un suo vicino di casa, dall’altra parte di palazzo Grazioli, in via del Pebiscito.

 

 https://www.corriere.it/cultura/17_settembre_25/morto-giovanni-russo-meridione-ricordo-corrado-stajano-a1d92a54-a211-11e7-b0fb-3ce1a382cc56.shtml

Costanzo71

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