Comitato Chiapas "Maribel"
Dalle Montagne del Sud-Est Messicano
Della riflessione critica, individui e collettivi
Risposta di Luis Villoro alla seconda lettera del Sup Marcos nello scambio epistolare su Etica e Politica
Aprile 2011
Salve!
Partiamo dal tema della ricostituzione del paese, della ricostruzione del tessuto sociale, preoccupazione che condividiamo e che si riflette nelle sue due prime missive così come nella convocazione di Javier Sicilia, la quale apre uno spiraglio di speranza alle grida di dolore e indignazione che percorrono oggi il nostro territorio, devastato dall’irrazionalità e dalla violenza.
Per iniziare, credo che uno dei punti da prendere un considerazione per andare oltre la mobilitazione – senza dubbio necessaria, all’inizio – sarebbe quello di elaborare una proposta molto Altra, molto nostra, che passi dalla resistenza all’azione, mirando ad una vera organizzazione. Un’organizzazione che riunisse tutti i popoli e settori sociali colpiti dal mancato rispetto dei propri diritti. Sarebbe un’organizzazione dal basso e a sinistra.
Questa proposta dovrebbe considerare il riscatto dell’etica, tanto ignorata oggi nell’agire politico; perché bisogna distinguere, naturalmente, tra etica e morale sociale. L’etica è la promulgazione di principi universali, mentre la morale sociale parla della loro realizzazione, nei fatti, in una determinata società. È quest’ultima che farebbe ricorso alla riserva morale presente nella cittadinanza, in senso generale: grandi e piccoli gruppi, individui, collettivi ed organizzazioni della sinistra indipendente.
Per questo è importante che il movimento che Sicilia con grande dignità ha suscitato in tutto il Messico, non oltrepassi i limiti della cittadinanza, che si mantenga al suo interno, cosa che implica il non permettere l’ingresso di nessun partito politico, nessun funzionario pubblico, pena la sua contaminazione. In questo senso, concordando sugli avvoltoi che lei cita, mi permetta di rifarmi ad alcune righe del mio testo “Il Potere ed il valore” in cui faccio riferimento al politico progressista che vuole usare il potere oppressivo per porvi limite prendendovi parte… Non è il crociato che lotta in campo aperto contro il male, è l’apostolo mascherato in terra di infedeli che riconosce il male del potere ma è pronto ad entrare nel ventre della balena per cambiarlo. A volte, giustifica la sua partecipazione al potere perché “si può cambiarlo solo dall’interno”. (p. 89)
Oggi è evidente che l’unico atteggiamento in grado di ottenere la trasformazione che perseguiamo è il rifiuto assoluto della situazione esistente, dire NO ad ogni forma di dominio incarnata nel potere.
Un atteggiamento distruttivo verso la dominazione che implica una posizione morale sociale, come lei segnala quando dice: “Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni o salvatori supremi, bensì non avere nessuno”.
Ora, concentriamoci sul tema di questa sua seconda missiva: la relazione individuo-collettivo, estendendola alla società stessa… prendendo in considerazione la diversità che la compone (cioè, i gruppi umani e le loro differenze sul piano economico, ideologico, culturale) nonostante l’appartenenza ad una storia comune.
L’individuo esprime i propri diritti nelle scelte personali. Ma, nell’attuale situazione del Messico, dove predomina la “partitocrazia”, l’individuo si limita a scegliere tra uno dei partiti politici esistenti, poiché nel nostro paese non è contemplata la figura del candidato civico indipendente. È indispensabile, pertanto, una riforma radicale secondo la quale ogni cittadino, col suo voto, possa esprimere la propria volontà, la propria preferenza o il rifiuto di un partito politico. Questa è la vera democrazia che darebbe luogo alla reale libertà di espressione delle persone e dei gruppi sociali al di là della “partitocrazia”. Questa sarebbe una riforma veramente necessaria.
Orbene, con l’obiettivo di costruire un cammino più includente, come disse il poeta Machado, la caratteristica comune necessaria per abbracciare questa diversità, io credo sia la seguente: una stessa morale sociale per tutti, con principi eticamente validi, cioè, universali… come quelli che lei menziona a pagina 12, come fondamentali per ogni essere umano: vita, libertà e verità.
Alla sua domanda se l’individuo possa raggiungere appieno queste aspirazioni in maniera collettiva, concordo con lei affermativamente; perché nella solitudine dell’individualismo egocentrico neoliberista non hanno senso né posto, perché il confronto o l’ambiente reale diventano inesistenti.
E tornando al nostro compito o impegno, per porre fine alla violenza, all’impunità ed alla confusione imperante; per fermare la guerra, è necessaria la collettività del “noi” solidale che ha tanto enfatizzato Carlos Lenkersdorf durante tutta la sua vita e nella sua opera.
Rispetto all’individualismo egoista sarebbe necessaria la possibilità di accettare diritti sociali, collettivi, di un “noi”. Una riforma possibile – io penso – sarebbe aprire una discussione sulla differenza tra diritti individuali come vuole la tradizione liberale, e diritti collettivi provenienti da un’altra tradizione: quella del “socialismo” o del cosiddetto “populismo”.
Un altro punto che condivido con Sicilia e lo zapatismo, è la domanda di giustizia. Poche parole più pronunciate che praticate dalla demagogia della classe politica. La democrazia è un altro esempio. E nessuna ha senso fuori dal collettivo, dalla comunità. Non si può essere democratico individualmente, con chi o rispetto a chi?
Come affermo in “Le Sfide della Società Futura” (Los Retos para la sociedad por venir, 2007): “Le teorie più in voga per fondare la giustizia, normalmente partono dall’idea di un consenso razionale tra individui uguali, che si relazionano tra loro, in termini che riproducono le caratteristiche di una democrazia ben ordinata… ma, in società come la nostra, dove la democrazia non è ancora salda, dove regna una disuguaglianza inconcepibile per paesi sviluppati… nella nostra realtà sociale dove non sono comuni i comportamenti concordati che abbiano come norma principi di giustizia che includano tutti gli individui: è palese la loro assenza. Quello che più colpisce è l’emarginazione e l’ingiustizia… cosa che ci obbliga a partire dalla percezione dell’ingiustizia reale per proiettare quello che potrebbe porvi rimedio”.
Così arriviamo al rapporto dell’ingiustizia col potere. Il potere è dominazione sul mondo che ci circonda, sia naturale che sociale, per raggiungere quanto desiderato… Ciò che sfugge alla smania di potere sono le azioni contrarie al suo perseguimento. “Se una città fosse governata da uomini perbene – notava Socrate – farebbero di tutto per scappare dal potere ,come ora si fa per ottenerlo” (Platone, La Repubblica).
Qui potremmo aprire una parentesi che ci porterebbe nell’attualità collocandoci nei principi e originalità dei postulati dello zapatismo, esperienza ancora ignorata e incompresa dalla maggioranza degli “specialisti tradizionali” della Filosofia Politica.
Il punto centrale, dunque, è il potere, incluso il concetto di contropotere che alla fine si perverte in un’ulteriore forma di potere impositivo; un anello in più nella catena ininterrotta del potere e della violenza. E, come scrivo nel libro sopra menzionato, “c’è solo una strada per fuggire da questo ingranaggio… rinunciare alla smania di potere per sé stesso. È ciò che compresero Gandhi e Luther King; è quello che hanno compreso anche gli indigeni zapatisti del Chiapas quando hanno deciso di non perseguire il potere per se stesso. Si sono ribellati nel 1994 contro le condizioni di estrema emarginazione e ingiustizia ed hanno dovuto usare le armi per farsi ascoltare, ma il loro comportamento è stato radicalmente diverso da quello dei vecchi movimenti guerriglieri. Hanno chiesto democrazia, pace con giustizia e dignità. Coscienti che la responsabile dell’ingiustizia è, in ultima analisi, la smania di potere, hanno proclamato che il loro obiettivo non era la presa del potere, bensì il risveglio dei cittadini contro il potere. Facendolo, hanno aperto una nuova via, mostrando che la volontà dei popoli organizzati va oltre le elezioni. Non è questa la strada dello zapatismo? E mi sembra che oggi, con l’appello di Sicilia, si tratta proprio di questo. Ora, da noi, come società, dipenderà la risposta: oppure l’apatia, la paralisi che accetta la barbarie o l’impegno di creare le condizioni affinché nasca una terra su cui non imperino l’ingiustizia e la violenza.http://revistarebeldia.org/revistas/numero78/05villoro.pdf
http://chiapasbg.com/2011/04/30/luis-villoro-a-marcos-2/
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