Aldrovandi, come risponde la politica alla malattia della polizia?
Domenico Valter Rizzo
Giornalista e scrittore
Il Premier Matteo Renzi, il suo Ministro dell’Interno Angelino Alfano, il Capo della Polizia Alessandro Pansa hanno tutti condannato fermamente gli applausi che sono stati tributati a tre assassini che indossavano la divisa di poliziotti. Applausi tributati loro da altri poliziotti, nel corso di un congresso sindacale. Un gesto orribile, così lo ha giustamente definito la madre della vittima.
Un gesto che racconta un clima diffuso tra le forze di Polizia. Un clima certo non generalizzabile, come dimostrano le durissime prese di distanze che hanno manifestato gli altri sindacati di Polizia. Ma il clima esiste.
A questo punto credo che si impongano una considerazione e una riflessione.
La considerazione riguarda il Premier, il Governo e il vertice della Polizia di Stato che hanno espresso condanna per gli applausi, solidarietà alla famiglia di Federico Aldrovandi e hanno sottolineato la responsabilità gravissima degli agenti condannati in via definitiva per quell’omicidio. Hanno fatto benissimo e non credo che con Berlusconi o Monti avremmo sentito parole così nette.
Governo e vertici della Polizia hanno però la possibilità di andare oltre le parole, pur giustissime che hanno pronunciato. Possono compiere fatti concreti che riempirebbero di contenuti le loro prese di posizione. Hanno gli strumenti per fare in modo che non si consumi un’ignominia, sia per la famiglia del giovane ferrarese massacrato di botte da questi tre assassini, sia per l’intera Polizia di Stato. Possono far si che questi tre personaggi vengano cacciati definitivamente dalla Polizia. Oggi questi scellerati, scontata la pena residua non coperta dall’indulto, sono stati riammessi in servizio, certo, con italica ipocrisia, in incarichi non operativi e lontani da Ferrara. Ma sono pagaticon le tasse dei contribuenti e viene permesso loro di indossare ancora la divisa che portò Boris Giuliano, solo per fare un nome. Una divisa che hanno coperto di fango.
La riflessione riguarda il clima di cui parlavo all’inizio. Una parte della nostra Polizia è malata ed è affetta da una malattia che attacca i sui geni, il suo DNA. I fatti recenti di Roma (con la ragazza pestata e calpestata durante la manifestazione) il caso di Firenze che vede indagati i carabinieri per la morte di un’ex calciatore preso a calci, da quel che emerge dai video registrati, mentre era a terra e chiedeva aiuto, sono solo alcune delle manifestazioni della malattia che raggiunge livelli parossistici negli applausi dei delegati del SAP a Rimini.
Anche a questo riguardo vi è la necessità di un intervento politico. Certo il reato di tortura o i codici identificativi sugli elmetti possono diventare un deterrente. Ma sinceramente io non credo molto che gli stratagemmi risolvano un problema. Possono aiutare, certo, ma dico anche che non aspiro ad una Polizia che non fa porcherie solo per paura di essere sanzionata.
Vorrei invece che si ragionasse sulla formazione di questi ragazzi. La maggior parte delle nuove leve della Polizia di Stato arrivano con un processo che li vede transitare in Polizia dai ranghi dell’Esercito dopo la ferma volontaria. Un sistema che se da un lato garantisce una buona formazione sul piano militare, non ne da alcuna sul piano civile e costituzionale. La formazione di questi ragazzi, la loro formazione civile, psicologica, la selezione e la necessaria esclusione dei soggetti fanatici, intrinsecamente violenti, o peggio portatori di contenuti culturali razzisti che apertamente si richiamano al fascismo e al nazismo, sono passaggi obbligati se vogliamo una Polizia adeguata al ruolo che deve avere in un Paese, dove le forze dell’Ordine sono al servizio dei cittadini e devono difenderne i diritti costituzionali.
Qualcuno deve spiegargli bene cosa vuol dire fare il Poliziotto: far comprendere che quella divisa che vanno ad indossare non è un simbolo di onnipotenza, ma un simbolo di servizio verso la collettività. Di questo ha bisogno la Polizia non di corporativismi e difese di casta.
Qualcuno deve spiegargli bene cosa vuol dire fare il Poliziotto: far comprendere che quella divisa che vanno ad indossare non è un simbolo di onnipotenza, ma un simbolo di servizio verso la collettività. Di questo ha bisogno la Polizia non di corporativismi e difese di casta.
E’ su questo che vorrei sentire la voce del Governo, altrimenti la solidarietà, pur lodevole, verso le vittima rischia di diventare vuota retorica.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/30/aldrovandi-come-risponde-la-politica-alla-malattia-della-polizia/969301/
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