PORTOGALLO
"Fmi fuori. Ci vogliono precari ci avranno ribelli". Lisbona, aprile 2011
AFP
Da quattordici mesi ormai i portoghesi vivono sotto le dure condizioni imposte da Ue, Bce e Fmi in cambio del bailout. Nonostante il governo esegua gli ordini alla lettera, però, la situazione non migliora.
Quando i portoghesi parlano di MoU non si riferiscono al loro compatriota più famoso, l’allenatore del Real Madrid Jose Mourinho. Il MoU (Memorandum of Understanding on specific economic policy conditionality) è l’ingranaggio che controlla la vita economica di questo paese di 10,6 milioni di abitanti, che ha la tendenza a realizzare cambiamenti radicali nel mese di aprile. Nell’aprile del 1974 la rivoluzione dei garofani ha segnato l’avvento della democrazia. Nell’aprile 2011 il governo socialista del primo ministro José Sócrates si è visto costretto a chiedere aiuto d’urgenza all’Unione europea, seguendo i passi di Irlanda e Grecia.
Un mese più tardi la richiesta d’aiuto si è materializzata in un bailout da 78 miliardi di euro, capitale ricevuto con un interesse del 4 per cento, consegnato in tranche e condizionato alla realizzazione di tutta una serie di riforme profonde e dolorose. La clausola in piccolo nel contratto che permetterà al Portogallo di risanare le finanze e tornare sui mercati nel settembre 2013 prevede che i rappresentanti della troika – Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione europea – si rechino a intervalli regolari a Lisbona per controllare i libri contabili del paese.
Questa settimana c’è stata una nuova ispezione, la quarta nel giro di un anno, ovvero da quando i portoghesi sono nella morsa della troika. Questa sorta di audit sugli impegni presi prevede la presenza per due settimane di una squadra di giovani tecnici armati di computer portatili alla ricerca di cifre, scadenze e documenti. Nel frattempo, tre alti funzionari si incaricano dei contatti a livello politico: Abebe Selassie (Fmi), Jürgen Kröger (Commissione europea) e Rasmus Rüffer (Bce).
“In altri paesi li avrebbero accolti con proteste e manifestazioni fin dall’aeroporto, ma noi portoghesi siamo diversi. Non siamo come voi spagnoli”, spiega il sociologo Jorge de Sá, che da anni realizza sondaggi mensili sull’evoluzione dell’opinione pubblica portoghese.
A proposito del numero limitato di manifestazioni organizzate in Portogallo in un anno di salvataggi, elezioni, cambi di governo e aggiustamento forzato, Nicolau Santos – giornalista economico e direttore aggiunto del prestigioso settimanale Expresso – parla di una “disperazione silenziosa”. Secondo João Cantiga Esteves, uno degli economisti più atttivi sul tema della crisi portoghese, esiste una tacita opinione condivisa secondo cui la troika è “un elemento necessario, un’opportunità” per realizzare in fretta tutte le riforme che nel corso degli anni i governi non hanno saputo portare a termine.
Tutta questa accondiscendenza non significa che nell’ultimo anno il Portogallo non abbia accumulato motivi per cantare il suo fado più triste. La vita quotidiana ha risentito pesantemente dell’impatto dell’austerity e dei tagli alla spesa, dettati dalla troika per ridurre un deficit pubblico che nel 2010 ha superato il 9 per cento del pil e che entro la fine dell’anno dovrà essere portato al 4,5 per cento. “Siamo passati dalle forbici alla motosega”, commenta una giovane in Praça Dom Pedro IV, nel centro di Lisbona.
Nonostante i salari del paese siano tra i più bassi d’Europa – qui i “milleuristi” spagnoli diventano i “560euristi” – in Portogallo i sacrifici sono aumentati costantemente da quando l’anno scorso il governo ha deciso di applicare una tassa speciale del 50 per cento sulla tredicesima di tutti i portoghesi con reddito superiore a 485 euro al mese, ovvero il salario minimo. Da quel momento la crisi e l’aggiustamento hanno smesso di essere qualcosa di esclusivamente teorico, e i tagli alla spesa sono arrivati uno dopo l’altro: sanità, istruzione, trasporti pubblici… Contemporaneamente il governo ha avviato un pesante aumento della fiscalità, e oggi l’iva può raggiungere anche il 23 per cento.
Nonostante i termini del bailout siano stati negoziati dalla troika con il governo socialista, implementarli spetta al nuovo esecutivo guidato dal primo ministro Pedro Passos Coelho. Quello di Coelho è il più giovane e il più piccolo governo portoghese dalla rivoluzione dei garofani. Quattro degli undici ministeri sono stati assegnati a tecnici, tra cui il titolare delle finanze Vitor Gaspar. A primavera Gaspar ha confermato che gli statali e i pensionati dovranno aspettare almeno fino al 2018 prima di recuperare integralmente le mensilità extra natalizie ed estive, attualmente soppresse.
Paziente modello
I critici del governo ripetono che gli esponenti dell’esecutivo si comportano in modo “più troikista della troika” cercando di accelerare il ritmo dell’aggiustamento. Per adesso l’unica pretesa della troika respinta dal governo portoghese è stata il taglio della “Tasa Única Social”, la tassa sociale che le imprese versano nelle casse della previdenza sociale portoghese per ogni lavoratore. Per il resto, in occasione delle periodiche visite di controllo dell’applicazione del MoU, il governo di Passos Coelho è stato promosso a pieni voti. Il fatto che il Portogallo sia un paziente modello si inserisce nell’ampio dibattito in corso in Europa sui limiti dell’austerity.
Nonostante il governo abbia eseguito diligentemente gli ordini, l’economia portoghese resta in condizioni critiche. Per quest’anno è previsto un calo del pil tra il 3,1 e il 3,5 per cento, con un tasso di disoccupazione senza precedenti (superiore al 15 per cento, 36 per cento per i giovani). All’inizio del bailout il debito pubblico era al 107 per cento del pil. Ai ritmi attuali, prima della fine del piano di salvataggio raggiungerà il 118 per cento.
Il professor Cantiga Esteves è convinto che i problemi del Portogallo abbiamo poco in comune con la crisi bancaria Irlandese o le bugie sul deficit dei politici greci. Nel caso di Lisbona la chiave di tutto sta nel fatto che “la nostra economia è cresciuta mediamente dello 0,7 per cento annuo nell’ultima decade, e tutti i nostri consumi pubblici e privati si sono basati su un indebitamento insostenibile”.
A proposito della polemica sul paziente modello e la necessità di un secondo piano di salvataggio, il sociologo Jorge de Sá fa sfoggio della proverbiale ironia portoghese: “Mi dica lei per favore quando mai l’Fmi ha risolto qualcosa in una democrazia”. Nicolau Santos, invece, è convinto che sarà molto difficile evitare un secondo intervento: “Abbiamo bisogno di più tempo, più denaro e condizioni migliori”.
"Fmi fuori. Ci vogliono precari ci avranno ribelli". Lisbona, aprile 2011
AFP
Da quattordici mesi ormai i portoghesi vivono sotto le dure condizioni imposte da Ue, Bce e Fmi in cambio del bailout. Nonostante il governo esegua gli ordini alla lettera, però, la situazione non migliora.
Quando i portoghesi parlano di MoU non si riferiscono al loro compatriota più famoso, l’allenatore del Real Madrid Jose Mourinho. Il MoU (Memorandum of Understanding on specific economic policy conditionality) è l’ingranaggio che controlla la vita economica di questo paese di 10,6 milioni di abitanti, che ha la tendenza a realizzare cambiamenti radicali nel mese di aprile. Nell’aprile del 1974 la rivoluzione dei garofani ha segnato l’avvento della democrazia. Nell’aprile 2011 il governo socialista del primo ministro José Sócrates si è visto costretto a chiedere aiuto d’urgenza all’Unione europea, seguendo i passi di Irlanda e Grecia.
Un mese più tardi la richiesta d’aiuto si è materializzata in un bailout da 78 miliardi di euro, capitale ricevuto con un interesse del 4 per cento, consegnato in tranche e condizionato alla realizzazione di tutta una serie di riforme profonde e dolorose. La clausola in piccolo nel contratto che permetterà al Portogallo di risanare le finanze e tornare sui mercati nel settembre 2013 prevede che i rappresentanti della troika – Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione europea – si rechino a intervalli regolari a Lisbona per controllare i libri contabili del paese.
Questa settimana c’è stata una nuova ispezione, la quarta nel giro di un anno, ovvero da quando i portoghesi sono nella morsa della troika. Questa sorta di audit sugli impegni presi prevede la presenza per due settimane di una squadra di giovani tecnici armati di computer portatili alla ricerca di cifre, scadenze e documenti. Nel frattempo, tre alti funzionari si incaricano dei contatti a livello politico: Abebe Selassie (Fmi), Jürgen Kröger (Commissione europea) e Rasmus Rüffer (Bce).
“In altri paesi li avrebbero accolti con proteste e manifestazioni fin dall’aeroporto, ma noi portoghesi siamo diversi. Non siamo come voi spagnoli”, spiega il sociologo Jorge de Sá, che da anni realizza sondaggi mensili sull’evoluzione dell’opinione pubblica portoghese.
A proposito del numero limitato di manifestazioni organizzate in Portogallo in un anno di salvataggi, elezioni, cambi di governo e aggiustamento forzato, Nicolau Santos – giornalista economico e direttore aggiunto del prestigioso settimanale Expresso – parla di una “disperazione silenziosa”. Secondo João Cantiga Esteves, uno degli economisti più atttivi sul tema della crisi portoghese, esiste una tacita opinione condivisa secondo cui la troika è “un elemento necessario, un’opportunità” per realizzare in fretta tutte le riforme che nel corso degli anni i governi non hanno saputo portare a termine.
Tutta questa accondiscendenza non significa che nell’ultimo anno il Portogallo non abbia accumulato motivi per cantare il suo fado più triste. La vita quotidiana ha risentito pesantemente dell’impatto dell’austerity e dei tagli alla spesa, dettati dalla troika per ridurre un deficit pubblico che nel 2010 ha superato il 9 per cento del pil e che entro la fine dell’anno dovrà essere portato al 4,5 per cento. “Siamo passati dalle forbici alla motosega”, commenta una giovane in Praça Dom Pedro IV, nel centro di Lisbona.
Nonostante i salari del paese siano tra i più bassi d’Europa – qui i “milleuristi” spagnoli diventano i “560euristi” – in Portogallo i sacrifici sono aumentati costantemente da quando l’anno scorso il governo ha deciso di applicare una tassa speciale del 50 per cento sulla tredicesima di tutti i portoghesi con reddito superiore a 485 euro al mese, ovvero il salario minimo. Da quel momento la crisi e l’aggiustamento hanno smesso di essere qualcosa di esclusivamente teorico, e i tagli alla spesa sono arrivati uno dopo l’altro: sanità, istruzione, trasporti pubblici… Contemporaneamente il governo ha avviato un pesante aumento della fiscalità, e oggi l’iva può raggiungere anche il 23 per cento.
Nonostante i termini del bailout siano stati negoziati dalla troika con il governo socialista, implementarli spetta al nuovo esecutivo guidato dal primo ministro Pedro Passos Coelho. Quello di Coelho è il più giovane e il più piccolo governo portoghese dalla rivoluzione dei garofani. Quattro degli undici ministeri sono stati assegnati a tecnici, tra cui il titolare delle finanze Vitor Gaspar. A primavera Gaspar ha confermato che gli statali e i pensionati dovranno aspettare almeno fino al 2018 prima di recuperare integralmente le mensilità extra natalizie ed estive, attualmente soppresse.
Paziente modello
I critici del governo ripetono che gli esponenti dell’esecutivo si comportano in modo “più troikista della troika” cercando di accelerare il ritmo dell’aggiustamento. Per adesso l’unica pretesa della troika respinta dal governo portoghese è stata il taglio della “Tasa Única Social”, la tassa sociale che le imprese versano nelle casse della previdenza sociale portoghese per ogni lavoratore. Per il resto, in occasione delle periodiche visite di controllo dell’applicazione del MoU, il governo di Passos Coelho è stato promosso a pieni voti. Il fatto che il Portogallo sia un paziente modello si inserisce nell’ampio dibattito in corso in Europa sui limiti dell’austerity.
Nonostante il governo abbia eseguito diligentemente gli ordini, l’economia portoghese resta in condizioni critiche. Per quest’anno è previsto un calo del pil tra il 3,1 e il 3,5 per cento, con un tasso di disoccupazione senza precedenti (superiore al 15 per cento, 36 per cento per i giovani). All’inizio del bailout il debito pubblico era al 107 per cento del pil. Ai ritmi attuali, prima della fine del piano di salvataggio raggiungerà il 118 per cento.
Il professor Cantiga Esteves è convinto che i problemi del Portogallo abbiamo poco in comune con la crisi bancaria Irlandese o le bugie sul deficit dei politici greci. Nel caso di Lisbona la chiave di tutto sta nel fatto che “la nostra economia è cresciuta mediamente dello 0,7 per cento annuo nell’ultima decade, e tutti i nostri consumi pubblici e privati si sono basati su un indebitamento insostenibile”.
A proposito della polemica sul paziente modello e la necessità di un secondo piano di salvataggio, il sociologo Jorge de Sá fa sfoggio della proverbiale ironia portoghese: “Mi dica lei per favore quando mai l’Fmi ha risolto qualcosa in una democrazia”. Nicolau Santos, invece, è convinto che sarà molto difficile evitare un secondo intervento: “Abbiamo bisogno di più tempo, più denaro e condizioni migliori”.
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