di GIOVANNI BIRINDELLI
Il Comune di Milano ha approvato le nuove aliquote IMU, le quali sono diverse a seconda che, in base alle classificazioni
sulle quali il Comune si basa, l’abitazione sia considerata ‘di lusso’
oppure no. In quella che Talmon ha efficacemente chiamato “democrazia
totalitaria”, e cioè in un sistema politico come il nostro in cui non ci
sono limiti di principio alle decisioni della maggioranza (o di chi la
rappresenta) e quindi in cui il potere politico è illimitato, questa
misura non fa scandalo, così come non lo fa la progressività fiscale
(articolo 53 della costituzione). Ma ragioniamo per un attimo, e per
assurdo, come se in Italia vigesse la legge, la quale, essendo un
principio astratto, risultato di un processo spontaneo di selezione
culturale di usi e convenzioni (come le regole della lingua italiana) è
un limite al potere arbitrario, non uno strumento di potere arbitrario.
Immaginiamo due persone: Chiara e Federico.
Per semplicità, supponiamo che essi abbiano lo stesso reddito. Essendo
persone diverse, Chiara e Federico avranno probabilmente gusti e
priorità diverse. Per esempio, possiamo supporre che per Chiara vivere
in una casa ‘di lusso’ (lasciamo perdere l’arbitrarietà e la mancanza di
alcun significato oggettivo di questo termine) sia meno importante che
viaggiare: in base ai suoi gusti e priorità individuali, Chiara è
disposta a vivere in una casa ‘non di lusso’ per avere la possibilità di
girare il mondo. Viceversa, possiamo supporre che per Federico vivere
in una casa ‘di lusso’ sia più importante che viaggiare: in base ai suoi
gusti e priorità individuali, Federico è disposto a rinunciare a
viaggiare per vivere in una casa ‘di lusso’.
Ora, immaginiamo che il sindaco di una città imponga una IMU
superiore per le case ‘di lusso’. Questa misura coercitiva punirebbe
Federico per avere gusti diversi da Chiara, cioè per essere diverso da
Chiara. Sul piano astratto (dal punto di vista cioè dell’idea astratta
di legge e di uguaglianza davanti alla legge) quale sarebbe la
differenza fra questa misura e le leggi razziali? Non è forse vero che
in entrambi i casi viene usato il potere coercitivo dello stato per
discriminare i ‘diversi’ perché sono ‘diversi’? Cambiano i parametri
della ‘diversità’, e cambia la tipologia della discriminazione, ma il
fatto che il potere coercitivo arbitrario dell’autorità viene esercitato
sui ‘diversi’ perché sono ‘diversi’ (in questo caso perché hanno gusti e
priorità diverse o, come dicono i moderni socialisti, perché hanno
“gusti dispendiosi” – expensive tastes) rimane inalterato.
Lo stesso discorso vale, ovviamente, per la progressività fiscale
e quindi se si toglie l’ipotesi dell’uguaglianza di reddito fra Chiara e
Paolo: Chiara per esempio potrebbe preferire un lavoro sicuro a costo
di guadagnare di meno mentre Federico potrebbe preferire la possibilità
di guadagnare molto a costo di avere maggiori rischi. E’ vero che, come
dice Nozick, “spesso le persone che non desiderano affrontare dei
rischi si sentono intitolate ad ottenere una compensazione da parte di
coloro che lo fanno e vincono; eppure queste stesse persone non si
sentono obbligate a dare una mano dividendo le perdite di coloro che
rischiano e perdono”, ma questo non significa che il ricorso alla
coercizione per soddisfare questo desiderio di compensazione nel caso di
vittoria non sia un crimine.
Ciò che oggi rende possibile a chi detiene il potere politico
di compiere impunemente e sistematicamente queste discriminazioni e
questi crimini, non solo alla luce del sole ma con la serenità e perfino
l’orgoglio di aver fatto cosa buona e giusta, è in ultima analisi
l’idea di legge: il fatto che la legge sia identificata con il
provvedimento particolare (che dipende dalla volontà di chi detiene il
potere politico) invece che con il principio generale e astratto (che è
indipendente dalla volontà di chiunque come lo sono le regole della
lingua italiana).
Siamo in uno stato senza legge. Peggio, siamo in uno stato senza legge
a nostra insaputa. Quasi sempre l’ignoranza di questo fatto accomuna
tanto il manovale quanto il professore quanto il grande avvocato
milanese. E parliamo ancora di crescita economica, come se legge e
economia fossero scindibili l’una dall’altra. Come se la crescita
economica non dipendesse in modo fondamentale dal rispetto (prima) e
spesso dall’imitazione (poi) del diverso, e addirittura dell’“eretico”
(Mokyr). La legge intesa come provvedimento (come decisione
condominiale) è uno strumento di intolleranza in quanto dà la
possibilità a chiunque (nella democrazia totalitaria purché sia
maggioranza o purché abbia ottenuto l’assegno in bianco da parte della
maggioranza degli elettori) di esercitare coercizione sul diverso perché
diverso, per esempio per dare sfogo alla propria invidia oppure alle
proprie tendenze conservatrici.
La legge intesa come principio, al contrario, è garanzia di tolleranza,
di rispetto per il diverso, e quindi di crescita: a nessuno, men che
meno alla maggioranza, viene dato il potere di esercitare coercizione
contro qualcuno perché è diverso, ma solo se ha violato una regola di
giusta condotta individuale (la quale deve essere coerente con le altre
ritenute valide, e col principio dell’uguaglianza davanti alla legge, su
un piano astratto). L’economia ci presenterà il conto dello stato senza
legge. Quello che vediamo adesso è nulla.
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