L'inadeguatezza e l'irresponsabilità sembrano essere senza fine.
I 309 morti non sono bastati per convincere le pubbliche amministrazioni a ricostruire perseguendo il 100% di prevenzione antisismica.
Anche se sembra incredibile, dopo la fase stretta dell’emergenza terremoto, le varie ordinanze del presidente del Consiglio e del commissario speciale per la ricostruzione non prevedono che le case distrutte dal terremoto del 6 aprile 2009 vengano ricostruite con criteri antisismici. In sintesi la legge dice “mi va bene che ricostruiate con il 60% dei criteri antisismici”. Non dunque il 100% che vuol dire sicurezza totale. Una incongruenza difficile da comprendere, ancor più da spiegare.
Sta di fatto che se tanto scalpore ha fatto nel recente passato l’inchiesta giornalistica di Presa diretta che ha mostrato come interi quartieri siano stati costruiti sopra una faglia sismica attiva e nota e senza criteri antisismici, oggi si persevera.
L’obiezione a questi criteri viene mossa dall’ingegner Claudio Panone di Paganica (che sorge sulla faglia) che da tempo ha denunciato l’impreparazione degli enti ad eventuali terremoti. Fu lui il 22 settembre 1988 a stilare una relazione che mise a nudo tutti i punti deboli della prevenzione antisismica a L’Aquila. Alla relazione seguiva una lista di cose da fare che forse avrebbe potuto aiutare a ridurre i morti del terremoto.
Panone oggi contesta il piano di ricostruzione e la «rigenerazione urbana».
«Per quanto riguarda la sicurezza sismica», spiega, « nessuna ipotesi di ricostruzione può ignorare la prevenzione: la quota di rischio che non può essere risolta con i piani urbanistici costituisce il principale contenuto delle azioni di protezione civile direttamente volte a perseguire la mitigazione del rischio. Due devono essere infatti gli importanti elementi della ricostruzione post sisma: recupero fisico, sociale e funzionale del centro storico, incremento della sicurezza per gli abitanti».
Secondo l’ingegnere si dovrebbe ricostruire i centri storici tenendo al primo posto la sicurezza di chi poi ci dovrà tornare.
«Non possiamo continuare a sbagliare. Non possiamo commettere gli stessi errori del passato», dice Panone, «quando discutibili scelte urbanistiche hanno permesso di costruire o ricostruire anche con errate modalità, nei posti meno idonei. E obbligatorio tener conto della microzonazione effettuata nel nostro territorio dopo il sisma che ha messo in rilievo criticità geologiche in numerose zone del centro storico, oltre alla evidente faglia che ha prodotto il disastroso sisma. E’ necessario pervenire ad una conoscenza più approfondita delle caratteristiche relative al comportamento del suolo in occasione di un evento sismico. Non è possibile intervenire nella aree interessate dalla faglia e dalle fratture parallele alla stessa con l’allargamento delle aree brevi ricostruendo gli aggregati così come erano. In quelle aree, per la sicurezza dei cittadini, sarà necessario evitare la ricostruzione degli edifici secondo le sagome e le caratteristiche preesistenti oppure ricostruire con criteri tecnici adeguati».
Dunque per l’ingegnere particolarmente attento al rischio sismico bisognerebbe perseguire un miglioramento strutturale attraverso la riconfigurazione senza aumento delle sopraelevazioni disarmoniche, demolire le sopraelevazioni incompatibili con l’assetto strutturale, ripristinare la sagoma originaria delle coperture.
«C’è sicuramente, quindi, bisogno», aggiunge Panone, «di un piano di rigenerazione urbana e di sicurezza sismica del centro storico che da un lato si occupi del mantenimento della struttura urbanistica, dall’altro della mitigazione del rischio e cioè con il recupero fisico, sociale e funzionale del centro storico, ci sia contemporaneamente l’incremento della sicurezza per gli abitanti e le loro attività. C’è bisogno di evitare lo spopolamento del centro per la temuta insicurezza, di attivare la produzione sociale del paesaggio urbano condiviso dai cittadini, di recuperare il patrimonio identificativo delle tradizioni, della civiltà contadina e della propria storia culturale, di risarcire le ferite delle porzioni di territorio gravemente danneggiate dal terremoto, ma nello stesso tempo di individuare scenari di trasformazione per le aree maggiormente colpite dal sisma e prive di valore storico-architettonico necessari per consentire un sistema di percorsi e di spazi utili per la sicurezza. C’è bisogno di interventi di progettazione, riconfigurazione e riqualificazione finalizzati a trasformare spazi pubblici ( ed anche privati) in spazi attrezzati attraverso l’introduzione di nuovi elementi di arredo (fioriere, panchine, oggetti di scultura, alberature, ecc.). C’è bisogno della progettazione di spazi verdi di margine su cui promuovere interventi di riqualificazione per realizzare “luoghi sicuri” in fase di emergenza sismica. C’è bisogno della progettazione finalizzata a trasformare spazi pubblici (ed anche privati) in spazi attrezzati per parcheggi onde eliminare il pericoloso intasamento delle vie del centro storico. L’opportunità presentatasi dovrà essere utilizzata per migliorare la vivibilità, la socialità e dotare le abitazioni anche di quei supporti oggi indispensabili».
E poi ci sono problemi pratici complicati dalla burocrazia come la creazione dei sottoservizi o la rimozione delle macerie. Per esempio procedere attraverso il metodo degli “aggregati” nel centro storico di Paganica dove le macerie di un aggregato invadono i “confini” di quello a fianco, presenta notevoli problemi di funzionalità di intervento che portano ad un inevitabile rallentamento dei lavori in modo da prefigurare scenari, non auspicabili, come quelli del Belice…
«E’ mortificante», conclude Panone, «che per scelte così importanti non sono mai stati sentiti i cittadini paganichesi che dovrebbero invece essere gli attori principali della ricostruzione, come invece è stato permesso ai cittadini di qualche altro centro dello stesso Comune di L’Aquila».
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