Un Natale celebrato il 25 dicembre per il terzo anno consecutivo, sancendo il definitivo distacco culturale e religioso dal calendario giuliano di Mosca

«Che muoia». È questo il pensiero che, secondo Volodymyr Zelensky, attraversa la mente di ogni ucraino in questo momento. Nel suo discorso della vigilia di Natale, il leader di Kiev ha dato voce a un desiderio brutale ma onesto, definendolo un "sogno condiviso" che non ha bisogno di nomi per essere compreso. Tuttavia, Zelensky ha subito elevato il tono del messaggio: se l'istinto umano invoca la fine del nemico, la preghiera a Dio chiede qualcosa di più alto: la pace, la libertà e il ritorno dei prigionieri. Un Natale celebrato il 25 dicembre per il terzo anno consecutivo, sancendo il definitivo distacco culturale e religioso dal calendario giuliano di Mosca.
La zona economica libera
Oltre alla retorica della resistenza, Zelensky ha lanciato per la prima volta segnali concreti di compromesso territoriale e strategico. Il Presidente si è detto disposto a ritirare le truppe ucraine dal Donbass, a patto che anche la Russia faccia lo stesso. L'idea è quella di trasformare città chiave come Kramatorsk e Sloviansk in una zona economica libera. La proposta prevede che le forze di Mosca si allontanino dalla linea di contatto per una distanza variabile tra i 5 e i 40 chilometri, lasciando spazio a un contingente di forze internazionali che faccia da cuscinetto tra i due eserciti.
La gestione di Zaporizhzhia
Come riportato dal Corriere della Sera (e confermato dalle agenzie internazionali), uno dei punti più caldi dei negoziati riguarda la centrale nucleare di Zaporizhzhia (ZNPP). Attualmente in mano russa, la struttura è oggetto di un complesso schema di gestione tripartita proposto dagli Stati Uniti (USA, Russia, Ucraina).
Kiev ha rilanciato con una proposta di controllo al 50% con Washington, lasciando agli americani la libertà di cedere la propria quota di energia a Mosca. Per Zelensky, rimettere in funzione la centrale richiederà investimenti miliardari, fondamentali per la sopravvivenza economica del Paese.
Garanzie di sicurezza
Il piano di pace, discusso intensamente in Florida con i funzionari dell'amministrazione Trump, poggia su una clausola di ferro: una garanzia di sicurezza che rispecchi l'Articolo 5 della NATO. Questo accordo impegnerebbe Washington, l'Unione Europea e l'Alleanza Atlantica a una risposta militare immediata e a sanzioni durissime in caso di nuova aggressione russa. Di contro, l'Ucraina accetterebbe la decadenza di tale protezione qualora dovesse attaccare la Russia senza provocazione. Si tratta di un equilibrio delicatissimo per blindare i confini futuri senza una formale (e immediata) adesione alla NATO.
Il referendum
Il futuro dell'Ucraina non è solo militare, ma finanziario e democratico. Il piano prevede un pacchetto di aiuti senza precedenti: 800 miliardi di dollari tra prestiti, sovvenzioni e capitali privati per la ricostruzione. Zelensky è stato però categorico su un punto: non prenderà decisioni definitive da solo. Qualsiasi accordo che comporti rinunce o cambiamenti radicali per il Paese dovrà passare attraverso un referendum popolare. Solo dopo la firma dell'intesa e la stabilizzazione del fronte, l'Ucraina tornerà alle urne per le elezioni generali, ripristinando pienamente i processi democratici sospesi a causa della legge marziale.
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