giovedì 25 dicembre 2025

ANCHE I CRISTIANI ADORAVANO IL DIO SOLE?

 


Prima che il nome di Sol Invictus risuonasse tra le mura di Roma, portato dagli imperatori siriaci e destinato a imporsi nella vita religiosa dell’Impero, un’altra convinzione serpeggiava tra i cittadini romani: l’idea che i cristiani fossero, in qualche modo, adoratori del sole. Un’idea confusa, ma tenace, radicata nelle apparenze, nei gesti e nelle coincidenze liturgiche di quel tempo di transizione.


Già l’imperatore Adriano, viaggiatore instancabile e osservatore dei culti dell’Egitto e dell’Oriente, aveva notato l’intreccio di simboli e fraintendimenti tra fedeli di Serapide e seguaci di Cristo. Le sue parole, riportate dalle fonti, testimoniano lo sconcerto dell’epoca: gli uni si dicevano vicari degli altri, e nel dedalo di culti che popolavano l’Impero, la distinzione sembrava confondersi come sabbia nel vento.


Più tardi, Tertulliano, voce ardente della chiesa nordafricana, avrebbe registrato lo stesso equivoco. Molti pensavano che i cristiani pregassero il sole, perché si rivolgevano ad oriente durante le orazioni e gioivano nel “giorno del Sole”, quando i fedeli si riunivano. Ma quel giorno — la domenica — non era un omaggio all’astro, bensì memoria luminosa della Resurrezione, avvenuta secondo la tradizione nel primo giorno della settimana, proprio quello dedicato nell’antica Roma alla divinità solare.


Nel II secolo, Giustino martire descriveva con minuzia la liturgia cristiana: la lettura delle Scritture, le esortazioni, la preghiera comune, il pane e il calice condivisi, l’offerta raccolta per i poveri e i prigionieri. Tutto avveniva “nel giorno del Sole”, ma nulla rimandava al culto pagano; era piuttosto un nuovo sole che illuminava gli animi, un simbolo che Roma, abituata ai linguaggi del mito, faticava a riconoscere come diverso.


Così, quando comparve l’espressione “giorno del Signore” — dies dominica — alla fine del I secolo, essa si intrecciò all’antica tradizione solare senza mai confondersi del tutto con essa. Eppure, nei secoli a venire, la sovrapposizione dei linguaggi sacri avrebbe alimentato controversie, ipotesi ardite e leggende storiografiche.


Allo stesso modo, quando le comunità cristiane iniziarono a celebrare la nascita di Cristo, la data del 25 dicembre — proposta già da Ippolito di Roma agli inizi del III secolo — venne interpretata come un ponte fra due mondi: da una parte le radici simboliche della luce che rinasce nel cuore dell’inverno; dall’altra la volontà, attribuita dalle autorità romane, di affiancare o sostituire con una festa cristiana quelle dei Saturnali o del Sol Invictus. Le tradizioni si toccavano, si sfioravano, talvolta si sovrapponevano, in un sincretismo inevitabile per una società che mutava lentamente.


E anche dopo l’editto di Tessalonica, quando il cristianesimo divenne religione dominante, antiche consuetudini continuavano a pulsare sotto la superficie del nuovo credo. Nell’anno 460, papa Leone I lamentava con dolore che alcuni cristiani, prima di entrare nella basilica di San Pietro, ancora si voltassero verso il sole nascente, inclinando il capo come in un atto di devozione pagana. Il passato non cedeva senza resistenza.


Così nacque, soprattutto in epoche successive, l’idea che il cristianesimo fosse stato modellato dal mitraismo o dal culto del Sole, un’ipotesi accolta da alcuni intellettuali del Rinascimento e riproposta nei secoli moderni. Perfino il vescovo siriaco Jacob Bar-Salibi, nel XII secolo, narrava che i cristiani avevano adottato il 25 dicembre per distogliere i fedeli dalle antiche festività solari.


Eppure, in tempi recenti, la voce teologica di Joseph Ratzinger avrebbe sottolineato che tali interpretazioni — pur affascinanti — non reggono più alla critica storica: la data e le pratiche cristiane, pur in dialogo con l’ambiente culturale circostante, non derivano direttamente dai culti solari, né intendono imitarli.


Rimane, in questa lunga storia di simboli intrecciati, l’immagine di un’umanità che avanza fra luci antiche e nuove rivelazioni, guardando verso oriente non per adorare l’astro, ma per cercare l’aurora della propria fede.

Scripta Manent 

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