La pista nera, il primo indagato ucciso in carcere, la scoperta a metà degli anni ‘90 delle veline dimenticate e il personaggio chiave fuggito in Giappone. E l’opera di conservazione della memoria di Manlio Milani, che quel giorno in piazza vide morire la moglie
di Claudio Del Frate
L’eredità degli anni di piombo
Con la sentenza della Cassazione del 2017, che ha condannato definitivamente all’ergastolo due ordinovisti, viene stabilita una volta per tutte la verità sulla strage di piazza della Loggia di Brescia dove il 28 maggio del 1974 una bomba uccise 8 persone e ne ferì altre 100. Dopo 43 anni, tre inchieste e 11 processi, il carcere a vita colpisce Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, ritenuti appartenenti alla formazione neofascista Ordine Nuovo; il primo è morto nel 2018, il secondo sta scontando l’ergastolo dopo un maldestro tentativo di fuga i n Portogallo) . La Strage di Brescia è stata uno snodo centrale degli anni della,cosiddetta strategia della tensione, collocata in un periodo di forti scontri sociali e politici e metà strada tra le bombe di piazza Fontana a Milano e della stazione di Bologna. È l’ultima pagina giudiziaria rimasta aperta su quegli anni di tragedie e di misteri.
28 maggio 1974: piazza della Loggia subito dopo l’esplosione
28 maggio 1974: la bomba e il contesto di Brescia
La bomba, composta da gelignite e dinamite, collocata in un cestino dei rifiuti,esplode la mattina del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia mentre è in corso un comizio del sindacalista della Cisl Franco Castrezzati e del deputato del Pci Adelio Terraroli. Lo scoppio provocherà 8 morti e 100 feriti. La manifestazione era stata indetta per protesta contro una serie di attentati che nei mesi precedenti avevano avuto come bersaglio partiti e associazioni della città di Brescia. Ordigni esplosivi avevano distrutto infatti le sedi del Psi e della stessa Cisl, due neofascisti (Giorgio Spedini e Kim Borromeo) erano stati arrestati con un carico di esplosivo mentre pochi giorni prima del comizio un altro estremista di destra, Silvio Ferrari, era morto nello scoppio accidentale di una bomba che stava trasportando sulla sua moto. Brescia, in altre parole, era in quel periodo una città chiave dell’eversione nera.
La prima inchiesta e il caso Buzzi
Le indagini imboccano subito la strada del terrorismo fascista e si concentrano su giovani elementi locali. Nel 1979 si arriva alla condanna di primo grado all’ergastolo per Ermanno Buzzi, ritenuto esecutore materiale della strage. Alla vigilia del processo di appello e mentre si rincorrono voci su un possibile pentimento di Buzzi, quest’ultimo viene strangolato (è il 13 aprile del 1981) nel supercarcere di Novara da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. I processi in appello e in Cassazione si celebrano nei confronti degli altri imputati minori e si concludono con la dichiarazione di innocenza per tutti, compreso Ermanno Buzzi.
Le seconda inchiesta grazie ai pentiti
Nel 1984 le indagini su piazza della Loggia si riaprono grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti della destra eversiva, tra cui Angelo Izzo, in carcere perché condannato per la strage del Circeo. L‘inchiesta bis porta all’incriminazione dei neofascisti Cesare Ferri e Sergio Latini e del fotomodello Alessandro Stepanoff. Ma anche questa indagine non approda a nulla di concreto: tutti gli imputati vengono assolti per insufficienza di prove in primo grado e con formula piena nei due successivi gradi di giudizio. Siamo al 3 novembre del 1989 e la verità sulla strage di Brescia appare sepolta per sempre.
Il ritrovamento delle veline: l’indagine tris
A metà degli anni ‘90, a sorpresa, c’è un ritorno di fiamma dell’indagine sulla base di due fatti concomitanti. Il giudice istruttore di Milano Guido Salvini, che sta indagando sulla bomba di piazza Fontana, ritrova in un archivio del Sismi di Padova alcune carte. Tra esse ci sono le veline in cui Maurizio Tramonte, un estremista che collaborava con i servizi segreti e denominato «fonte Tritone» avvertiva i carabinieri (nell’aprile del 1974) che gli ordinovisti veneti stavano preparando un attentato nel Nord Italia . Quelle «soffiate» erano sempre state ignorate . In più in quegli stessi anni Carlo Digilio, ex militante nero, rilascia dichiarazioni fiume agli inquirenti in cui indica proprio la cellula veneta di Ordine Nuovo quale organizzatrice ed esecutrice della strage di Brescia.
Le condanne 43 anni dopo la strage
L’indagine-tris sfocia in un processo che si apre a Brescia il 25 novembre 2008. Gli imputati stavolta sono gli esponenti di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi (che vive in Giappone), Giovanni Maifredi e Maurizio Tramonte (la fonte Tritone); in più ci sono il fondatore di Ordine Nuovo ed ex parlamentare Msi Pino Rauti e l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino. I primi due gradi di giudizio si chiudono con altrettante dichiarazioni di assoluzione per tutti gli imputati e una beffa: le parti civili sono condannate a pagare le spese processuali e vengono indicati come responsabili dell’attentato tre defunti, Ermanno Buzzi, Carlo Digilio e Marcello Soffiati. Il 21 febbraio 2014 la Cassazione però riapre i giochi e ordina di rifare il processo d’Appello a carico dei soli Tramonte e Maggi . Che l’ennesima sentenza (ormai siamo alla decima) condanna all’ergastolo il 22 luglio 2015. Il 21 giugno del 2017 la Cassazione rende definitivi quegli ergastoli.
L’ultimo fascicolo aperto e la Casa della Memoria
La magistratura sta ancora oggi indagando su altri tasselli della trama che portò alla bomba di piazza della Loggia. Un fascicolo è attualmente aperto a carico di alcuni personaggi che nel 1974 erano minorenni e che ruotavano nell’area dell’estremismo neofascista. Uno di loro ha dichiarato agli inquirenti che un suo coetaneo gli rivelò di essere a conoscenza di notizie sulla strage. Quelle confessioni fino a oggi non hanno portato ad altri squarci di verità. Il lutto e le ferite provocate dall’ordigno hanno d’altro lato fatto fiorire a Brescia una delle sperienze più virtuose d’Italia. Per iniziativa di Manlio Milani (che il 28 maggio ‘74 in piazza vide morire la moglie) e delle istituzioni è nata la Casa della Memoria, associazione impegnata a studiare e approfondire la verità storica sulle stragi e il terrorismo in Italia, la prima, tra l’altro, a dare la parola anche ai «reduci» del terrorismo nero. In un’ottica di riconciliazione nazionale.
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