[Nella terza e ultima puntata della sua inchiesta (qui → la prima e la seconda), Selene Pascarella si interroga su quali siano i vizi di procedura, oltreché di mentalità degli inquirenti, che trasformano la «pista satanica» in un dispositivo – questo sì – diabolico, nel senso etimologico del termine.
L’origine di «diabolico» è infatti nel verbo greco διαβάλλω, che significa «mettersi in mezzo», «interferire», «separare», «seminare zizzania», ma anche «diffamare» o «ingannare». Di interferenze, seminagioni di zizzanie e diffamazioni queste storie sono piene zeppe, come di azioni tese pervicacemente a separare (διαβάλλειν) l’impianto accusatorio da qualunque realtà fattuale.
Ma come smontare il dispositivo, unendo ciò che viene a forza separato e al contempo separando ciò che viene a forza unito? Un esempio di efficace “contronarrazione” viene fornito nell’ultimo paragrafo. E sulle risposte da dare ai complottismi noi, Selene e, in generale, l’intera Wu Ming Foundation continueremo a lavorare. Buona lettura. WM]
di Selene Pascarella *
[Nella terza e ultima puntata della sua inchiesta (qui → la prima e la seconda), Selene Pascarella si interroga su quali siano i vizi di procedura, oltreché di mentalità degli inquirenti, che trasformano la «pista satanica» in un dispositivo – questo sì – diabolico, nel senso etimologico del termine.
L’origine di «diabolico» è infatti nel verbo greco διαβάλλω, che significa «mettersi in mezzo», «interferire», «separare», «seminare zizzania», ma anche «diffamare» o «ingannare». Di interferenze, seminagioni di zizzanie e diffamazioni queste storie sono piene zeppe, come di azioni tese pervicacemente a separare (διαβάλλειν) l’impianto accusatorio da qualunque realtà fattuale.
Ma come smontare il dispositivo, unendo ciò che viene a forza separato e al contempo separando ciò che viene a forza unito? Un esempio di efficace “contronarrazione” viene fornito nell’ultimo paragrafo. E sulle risposte da dare ai complottismi noi, Selene e, in generale, l’intera Wu Ming Foundation continueremo a lavorare. Buona lettura. WM]
di Selene Pascarella *
La caccia alle streghe di Rignano è finita, lasciando uno strascico pesantissimo sia per gli imputati che per i bambini coinvolti e le loro famiglie. Eppure, paragonati alle mamme e ai papà di Finale Emilia e ad altri genitori e insegnanti annientati dalla giustizia al servizio del moral panic, sono stati perfino fortunati.
Sulla costruzione della narrazione mediatica e giudiziaria incentrata sull’«abuso rituale satanico» a danno di minori in Europa e negli Usa, anche attraverso la fiction, nonché sul suo uso politico nello scontro Trump vs Clinton, ha scritto Wu Ming 1. Un reportage che va letto per capire come il costo dell’ombra tossica non riguardi solo le vittime dirette della caccia alle streghe, ma ricada su tutti noi e da tutti debba essere affrontato.
Perciò ritorno al 1997, l’anno in cui il caso dei Bambini di Satana cambia format, passando da «emergenza satanista» a «clamoroso errore giudiziario».
5. Il veleno e la medicina collettiva
A Massa Finalese, frazione di Finale Emilia, provincia di Modena, un bambino e una bambina seguiti dai servizi sociali fanno scattare una denuncia per pedofilia. I ragazzini, per volere della Asl, sono da tempo affidati ad altre famiglie e tornano a casa loro per brevi periodi. Il piccolo racconta alla madre affidataria che nella casa dei genitori biologici il fratello maggiore «fa dei dispetti sotto le lenzuola alla sorella». La donna si rivolge alla psicologa del servizio sociale, Valeria Donati, che ascolta il medesimo racconto e poi inizia una serie di audizioni che la convincono che lui e la sorella siano vittime di abusi. Il padre e il fratello vengono arrestati, si mette in moto un meccanismo, una contaminazione, per citare la sentenza di Rignano, che sconvolge l’intero paese.
Dopo le confessioni, via via più inquietanti, del «bambino zero», l’inchiesta si allarga, coinvolgendo altre famiglie, toccando persino l’amatissimo parroco, Don Giorgio Govoni. L’escalation degli orrori è incredibile. I bambini che denunciano aumentano e parlano di rituali di sangue nei cimiteri, neonati smembrati e fatti sparire, abusi sessuali di ogni genere. Le persone fermate dichiarano la loro innocenza, ma è inutile.
«Chi si mette contro la procura» confessa atterrito Govoni a chi lo circonda «diventa un pedofilo». Perciò l’unica strada è la delazione, anche senza prove concrete.
Il 16 maggio 2000 il pm che segue il caso dei «Diavoli della Bassa», Andrea Claudiani, teorizza l’esistenza di una rete di pedofili dediti all’esoterismo, al cui vertice è Don Govoni, per il quale chiede quattordici anni di carcere. Govoni non sconta neanche un giorno. Muore fulminato da un infarto due giorni dopo, da innocente, anche se ci vorranno anni per riabilitarlo.
Arrivano le condanne. Tredici minori sono sottratti alle famiglie. Alcuni, nonostante l’assoluzione dei genitori, non faranno più ritorno nelle loro case. Una madre si toglie la vita, sette altre persone accusate non reggono al dolore, come don Govoni.
Nel 2017 Pablo Trincia e Alessia Rafanelli pubblicano su Repubblica.it l’audio-inchiesta a puntate Veleno. Ricostruiscono passo passo la genesi dell’indagine, incontrano i genitori accusati, i bambini, ormai adulti, che hanno avuto il ruolo di grandi accusatori. Veleno fa emergere in maniera impietosa l’inconsistenza delle imputazioni e le storture dell’inchiesta.
Trincia trova nell’armadio di una donna ormai morta – che ha sostenuto lìinnocenza degli imputati, effettuando, da completa autodidatta, un’indagine autonoma – le registrazioni video degli interrogatori “modello Donati” che diventano parte del podcast.
Nel 2018, a quasi un anno dalla prima puntata, Trincia rilascia un episodio speciale di Veleno.
Dopo aver ascoltato il podcast, una delle ex-bambine coinvolte pronuncia una verità che si porta dietro da anni: non ha mai subito abusi. La sua confessione di allora è frutto della tecnica dello «svelamento progressivo» messa in pratica dalla Donati. Tecnica che si riassume in un’estenuante pressione per confermare gli abusi suggeriti, attraverso un tornare e ritornare sulle dichiarazioni che non si conformano all’idea delle psicologhe.
Non è la sola. Un’altra ragazza si fa avanti. Ha sempre negato gli abusi, ma da bambina non è mai stata creduta.
Veleno riesce in una missione quasi impossibile: dissolvere l’ombra satanista. Grazie allo straordinario lavoro investigativo di Trincia e Rafanelli emerge, tra le altre cose, il conflitto di interessi che ha visto “esperti” come la Donati – che, come fatto notare più volte in Veleno, prima del bambino zero non aveva maturato alcuna esperienza nell’audizione di minori abusati – dare vita a enti privati quali il Cab, Centro aiuto per il Bambino, con cui avere un doppio ruolo: “riconoscere” i bambini abusati e ricevere denaro dalla Asl per accertarne gli abusi e offrire sostegno psicologico. Un giro di consulenze che ha fruttato, tra il 2002 e il 2013, 2.200.000 euro.
Il 15 novembre 2018 il sito di informazione sulpanaro.net pubblica la seguente notizia:
«L’Unione Comuni Area Nord, nel consiglio straordinario convocato mercoledì sera a Medolla per discutere del “caso pedofili” scoppiato vent’anni fa e riportato in auge dall’inchiesta Veleno, ha deciso di non rinnovare la propria quota associativa al Cismai (il Coordinamento nazionale servizi contro l’abuso all’infanzia) e di convocare in Commissione Servizi Sociali i funzionari di Ucman, Ausl e Comune in servizio all’epoca. Fra i convocati, Marcello Burgoni (ex responsabile dei Servizi sociali di
Mirandola) e Valeria Donati, la psicologa che interrogò i bambini. Nel consiglio si è poi anche discusso delle spese sostenute per l’affido dei bambini».
Il 16 dicembre 2018 dal suo profilo Facebook Paolo Trincia scrive che «la psicologa Valeria Donati non si è presentata all’appuntamento con la commissione dei comuni Area Nord di Modena per rispondere alle domande sul suo operato. Oltre a lei non sono venute le altre professioniste che erano state interpellate, tra cui la responsabile del Servizio Minori, Monica Benati. L’unico a presentarsi è stato l’ex responsabile dei Servizi Sociali di Mirandola, Marcello Burgoni – che prima di entrare ha atteso a lungo chiuso in macchina nel parcheggio accanto alla sala comunale».
Trincia elenca le domande cui la commissione riunita a Medolla si attendeva risposta, tra cui la conferma o la smentita delle dichiarazioni dei genitori «di aver subito ricatti da parte dello stesso psicologo dei Servizi Sociali (che avrebbe detto loro: “se non confessa, non rivedrà più i suoi figli”)» e le motivazioni che avevano spinto il responsabile del servizio ad affidare «un caso così delicato a professioniste giovani e senza alcuna esperienza precedente in materia». Burgoni, conclude Trincia, «ha scelto di rispondere, ma non subito e solo in forma scritta, di fatto impedendo un confronto diretto con chi lo voleva interpellare».
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Il 4 gennaio 2018, a vent’anni di distanza dall’evocazione dei diavoli della Bassa, a Finale si tiene una discussione pubblica a partire da Veleno, in una sala gremitissima (qui il video della serata). La comunità si chiede: «In che paese abbiamo vissuto?», e per una volta la cronaca assolve alla sua funzione: allargare il campo, aumentare il livello di complessità, disintossicare i pozzi dell’informazione.
L’Associazione Nazionale Magistrati critica fortemente sia l’inchiesta sia il dibattito aperto a Finale:
«L’accertamento della commissione dei reati si compie nelle aule di giustizia» scrive in un comunicato ufficiale, «e non può essere rielaborato in contrasto con giudicati penali di condanna e, soprattutto, dando voce, senza alcun contraddittorio, ad alcuni testi e protagonisti della vicenda, alcuni dei quali anche condannati in via definitiva per delitti gravissimi».
Chiunque abbia ascoltato Veleno sa che non c’è traccia di populismo giustizialista o di sensazionalismo in alcuna delle sue puntate. Condannati o assolti, i genitori coinvolti, i loro familiari e amici hanno tutto il diritto a rielaborare l’inchiesta e il processo attraverso un confronto collettivo e pubblico.
E se, come sembra, verranno nuovi processi, si spera che un vento di razionalità e responsabilità spazzi via l’ombra del satanismo. Perché – la frase è di Luigi Corvaglia, ma la sento mia – i fatti di Finale Emilia dimostrano che «la puzza di zolfo orienta più facilmente al giudizio colpevolista».
Fine / 3 di 3.
* Selene Pascarella è giornalista e criminologa. Si occupa di cronaca giudiziaria ed è una grande appassionata di fiction gialla e horror. È autrice di Tabloid Inferno. Confessioni di una cronista di nera, uscito nella collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre. Nel 2018 ha lanciato sul blog di Quinto Tipo (e su Medium) la serie ibrida Pozzi. Il diavolo a Bitonto.
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https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/03/i-satanisti-ammazzano-il-sabato-3/

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