Il banchetto medievale non rappresentava semplicemente un momento di nutrimento, bensì costituiva una complessa rappresentazione teatrale del potere; in questo scenario, ogni singola portata serviva a riaffermare la gerarchia sociale e la ricchezza smisurata del signore. L'atto di mangiare si trasformava così in un rituale codificato dove lo sfarzo visivo superava spesso il gusto stesso delle pietanze.
Le cronache del 1300 e del 1400 ci descrivono sale intrise di profumi penetranti, dove spezie preziosissime venivano utilizzate in quantitΓ smodate; lo zafferano, i chiodi di garofano e la cannella servivano a colorare i piatti d'oro e di rosso per ostentare una capacitΓ di spesa che lasciava attoniti i commensali. In questo contesto, la cucina diventava pura illusione; gli animali venivano spesso cucinati e poi rivestiti del loro piumaggio originale per sembrare ancora vivi al momento del servizio.
Tra le pietanze piΓΉ emblematiche e spettacolari spiccava il pavone, antico simbolo di immortalitΓ ma anche di estrema vanitΓ ; esso veniva servito con le piume spiegate a ruota e talvolta dotato di un meccanismo nel becco capace di sputare fiamme reali. La carne di questo volatile era perΓ² dura e di difficile digestione; per questo motivo, i cuochi piΓΉ abili ne usavano solo la pelle per riempirla con carni piΓΉ tenere e pregiate come quelle dell'oca o del cappone.
Accanto a queste meraviglie scenografiche comparivano cigni arrostiti e pesci di dimensioni colossali, serviti interi per dominare la tavola con la loro mole. Questa ricerca ossessiva dello stupore sfidava apertamente i dettami della Chiesa; le autoritΓ ecclesiastiche guardavano infatti con sospetto a tali eccessi culinari, condannando fermamente il peccato di gola come una delle vie maestre verso la dannazione eterna dell'anima.
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La tensione tra il desiderio di ostentazione e la morale cristiana era costante e palpabile. I predicatori tuonavano contro le tavole imbandite che insultavano la miseria dei poveri; essi ricordavano continuamente che la gola era un vizio capitale capace di corrompere sia il corpo che lo spirito. Per arginare questa deriva, molte cittΓ italiane ed europee promulgarono le cosiddette leggi suntuarie.
Queste norme, redatte con rigore per tutto il corso del 1400, tentavano di limitare il numero delle portate che potevano arrivare a svariate decine per un unico pasto; esse proibivano ingredienti specifici o decorazioni giudicate troppo elaborate. I cuochi e i signori diventavano perΓ² maestri nell'arte dell'aggiramento; essi trasformavano i giorni di magro in trionfi di pesci cucinati con salse ricche, rispettando la forma della legge ma violandone sistematicamente lo spirito.
Esisteva inoltre una rigida distinzione medica legata alla Grande Catena dell'Essere. Secondo questa visione, i volatili erano destinati ai signori poichΓ© vivevano nell'aria, elemento nobile e alto; al contrario, le radici e i tuberi erano cibi adatti esclusivamente ai contadini perchΓ© crescevano nella terra scura. Violare questo ordine naturale non era solo una questione di preferenza alimentare, ma un potenziale pericolo per l'equilibrio della salute e dell'ordine sociale.
Persino la frutta veniva trattata con estrema cautela dai medici di corte; considerata fredda e umida per natura, essa veniva quasi sempre cotta nel vino e nelle spezie per correggerne le proprietΓ . Il pasto si chiudeva infine con un trionfo di confetti speziati e vini dolci; questi prodotti avevano il compito di sigillare idealmente lo stomaco e favorire la digestione dopo ore di ininterrotta e fastosa ingordigia.
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