Questa non è una crisi economica, ma è
uno strumento, un processo voluto e pianificato per arrivare a
sostituire la zootecnia alla politica, ossia per poter governare la
popolazione terrestre con la padronanza e prevedibilità con cui si
governa il bestiame nella stalla o i polli in batteria. E per arrivarci
con la collaborazione della gente, facendole credere che le riforme
siano tutte scelte scientifiche razionali e magari anche democratiche
(l’aspetto didattico-ideologico, la dottrina dei mercati sani e
disciplinanti). Questo processo è stato avviato dalla metà degli anni
’70, mediante una serie di precise scelte: un preciso modello economico,
una serie di riforme legislative, di lungo respiro (soprattutto la
deregolamentazione del settore bancario, l’indipendenza delle banche
centrali, la privatizzazione del rifinanziamento del debito pubblico),
che si sapeva benissimo che cosa avrebbero prodotto, ossia una società e
un’economia reale permanentemente in balia dei mercati e ricattabili
dagli speculatori finanziari. Una crescente concentrazione di quote di
reddito, quote di ricchezza, quote di potere, nelle mani dei pochi che
decidono.
Tutti gli altri soggetti (cioè Stati,
imprese, famiglie, pensionati, disoccupati…) permanentemente con l’acqua
alla gola, impoveriti, costretti ad obbedire, ad accettare, come
condizione per una boccata d’aria o di quantitative easing, dosi
ulteriori di quelle medesime riforme. Dosi ulteriori di concentrazione
di ricchezza e potenza, di oligarchia tecnocratica irresponsabile e
senza partecipazione dal basso, senza controllo democratico. Senza
garanzie costituzionali. Era tutto intenzionale. Infatti, nessuno dei
meccanismi finanziari che hanno prodotto e mantengono l’apparente crisi è
stato rimosso, dopo, visti i danni che faceva, nemmeno la possibilità
per le banche di giocare in Borsa coi soldi dei risparmiatori. Anche
l’euro si sapeva benissimo che cosa avrebbe prodotto, in base a ripetute
esperienze precedenti con il blocco dei cambi tra paesi economicamente
dissimili.
Tutto questo non è un incidente, una
crisi, un cigno nero, bensì un’operazione di potenziamento e
razionalizzazione tecnologica del controllo sociale; non mira banalmente
al profitto economico, il quale ormai è un concetto superato da quando
la ricchezza si produce con metodi contabili ed elettronici nel gioco di
sponda tra banche e governi, che possono creare tanto denaro quanto
vogliono. Mira all’ottimizzazione tecnologica e giuridica del dominio
sociale. Non è una crisi, e soprattutto non è una crisi economica,
signori economisti; sicché affannarsi a proporre ingegnose soluzioni sul
piano economico e monetario è incongruo, improduttivo. Non è qualcosa
di accidentale, non si sta cercando di uscirne, è un processo guidato
verso un obiettivo preciso e già ampiamente conseguito, un processo a
cui nessuna forza politica o morale può opporsi efficacemente, dati i
rapporti di forza, e l’unica speranza sta nella possibilità che esso
sfugga di mano ai suoi strateghi e ingegneri, per la sua stessa
complessità e dinamicità.
La fascistoide riforma costituzionale ed elettorale di Renzi – diciamo
di Renzi, ma sappiamo che le riforme strutturali in Italia le detta
Francoforte, nell’interesse di padroni stranieri, e che da qualche tempo
i primi ministri italiani agiscono su suo mandato – è un tassello
italiano di questa strategia zootecnica, disegnato per consentire la
gestione dell’intero paese attraverso un’unica persona, un unico organo
istituzionale, il primo ministro, che assommerà in sé i poteri politici
senza contrappesi e controlli indipendenti. I tempi forzati in cui detta
riforma deve venire attuata sono verosimilmente in relazione al tempo
per cui la situazione italiana può reggere, prima che vengano meno le
condizioni esterne molto favorevoli oggi presenti, prima che arrivino
pesanti scadenze finanziarie, prima che si dissolva l’impressione
popolare di incipiente ripresa e che si renda necessario imporre nuovi e
impopolari sacrifici.
Quando ciò avverrà, si scateneranno forti tensioni sociali e si calcola
di poterle reprimere e contenere grazie a una riforma costituzionale di
tipo autoritario. Renzi non è un dittatore, è solo un esecutore
teleguidato, costruito col marketing. Ma sta preparando il posto di
comando per il dittatore che verrà dopo di lui. Ecco il perché della
fiducia posta dal governo sull’Italicum, una riforma elettorale che
andrà in vigore nel 2016, sicché non ci dovrebbe essere fretta ad
approvarla; ma in realtà c’è molta fretta, perché proprio nel 2016
finirà il quantitative easing assieme agli effetti benefici della
svalutazione dell’euro, e allora il quadro potrebbe saltare, bisogna
avere tutto pronto.
Per rispettare questi tempi, e a conferma del fatto che il suo governo
come i precedenti rappresenta l’alleanza (asimmetrica) tra gli interessi
della casta italiana e quelli del padrone straniero, il governo Renzi
deve mantenere l’appoggio degli interessi parassitari legati alla
politica e necessari per avere i voti in parlamento, il che spiega
perché non ha toccato i centri di spreco e ruberie come le famose
società partecipate e non ha proceduto alla spending review, quantunque
queste siano vere urgenze. Se l’avesse fatto, la sua maggioranza si
sarebbe squagliata subito. Invece il 29 e 30 aprile ben due terzi dai
suoi apparenti oppositori interni gli hanno votato la fiducia sulla
legge elettorale. Funziona sempre, questa irresistibile attrazione delle
poltrone che resteranno a galla quando il paese affonderà. (fonte)
https://verita-globale.blogspot.com/2020/02/questa-non-e-una-crisi-economica-ma-un.html?fbclid=IwAR1Xi5_ooWsssqsNXKwJcWZOFFtFtISQC5OsKKythBdgYFuhZt3KmgTCBqU
Berlusconi71
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