Il suo motto sacerdotale è una frase di san Cipriano: «Nulla
anteporre a Cristo». Don Pier Luigi Bernareggi, per gli amici Pigi,
morto ieri (22 gennaio) a 82 anni a Belo Horizonte in Brasile, la
portava stampata nella faccia, questa preferenza.
E l’ha
testimoniata per tanti anni ai favelados e ai senzatetto di Belo
Horizonte con i quali ha condiviso la maggior parte della sua esistenza.
Il suo essere prete era inseparabile dall’impegno per i poveri, in cui
vedeva il volto di Cristo.
Aveva partecipato all’elaborazione
del Programma per la regolarizzazione delle favelas (1983), di cui era
stato il primo coordinatore, ed è uno degli ideatori della Central
Metropolitana dos Sem Casa e del progetto Bairro Metropolitano, grazie
al quale 20mila persone avevano potuto avere un alloggio.
In Brasile era arrivato nel 1964, giovane seminarista, insieme ad altri due amici che condividevano l’esperienza di Gioventù Studentesca, dopo avere conosciuto dieci anni prima don Luigi Giussani, allora insegnante di religione al liceo Berchet di Milano, dove – come ricorda lui stesso nella biografia del sacerdote lombardo scritta da Alberto Savorana – «era entrato come un uragano nella nostra vita».
Da quell’incontro la sua vita aveva preso una direzione nuova, coinvolgendosi totalmente in una compagnia di giovani affascinati come lui dalla scoperta del cristianesimo come avvenimento che continua ad accadere nella vita dell’uomo. È dentro quella compagnia che nasce la sua vocazione al sacerdozio, ed è quella compagnia che lo sostiene negli anni tempestosi del terzomondismo latinoamericano durante i quali tanti coetanei accompagnano la scelta preferenziale per i poveri con l’abbandono della Chiesa. Bernareggi invece rimane fedele alla Chiesa, riconoscendone la dimora dove l’uomo può aderire al fascino di Gesù.
In una lettera indirizzata pochi mesi fa all’amica Rosetta Brambilla, compagna di avventure in mezzo ai poveri di Belo Horizonte, alla domanda su «come il nostro “sì” aiuta la costruzione del mondo», risponde: «Noi non viviamo nel passato, che è già passato, non viviamo nel futuro, che non è ancora arrivato. Viviamo in questo istante presente che sta passando, e in un batter d’occhio è già passato (come diceva Kierkegaard); è in questa istantaneità che la vita accade e il mondo si crea. Ora, nell’accadere di questo istante presente chi è che costruisce? È la mia capacità, genialità, operatività? No: io non ho il dominio su ciò che accade nell’istante presente dal momento che esso “passa”, sottraendosi a qualunque tentativo di dominarlo. È solo il potere infinito di Dio che costruisce, che crea tutto: per questo è chiamato “presente”».
Tratteggiandone la figura, il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón, scrive: «Pigi ci ricorda che Cristo è qualcosa che ci accade ora. È questa la sua più grande eredità. Giussani ne parlava come il più grande nome tra i nostri missionari. Ma Pigi è stato anche generatore dei primissimi inizi del Movimento; per me incarna l’ideale del nostro Movimento in quanto fa rivivere oggi Cristo come lo vedevano Pietro e Giovanni ieri».
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/don-bernareggi-addio
Kissinger71
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