Ah, i professionisti del “conformismo dell’anticonformismo”. Che categoria ripetitiva e meravigliosa. Non cambiano mai. Sono quelli che amano così tanto i “rivoluzionari finti” da finire col diventare quasi più reazionari dei reazionari stessi. Una sorta di dipendenti cronici da politically correct.
Per fare un esempio: Achille Lauro. Amiche e amici che lo celebrate da ieri sera con post tritagonadi non per la canzone (come sempre o quasi orrenda) in sé, ma per “la forza provocatrice portata a Sanremo”, vorrei ricordarvi che non basta fare arrabbiare Pillon o Adinolfi per essere definiti “rivoluzionari”. O addirittura “grandi artisti”.
Se bastasse indispettire Adinolfi (che ci casca ogni volta mani e piedi, essendo più banale di un anacardo) per esser celebrati come nuovi David Bowie o Renato Zero, allora sarebbe facile. Basterebbe tirare un bestemmione, oppure andare in giro nudi, o anche solo fare i ribelli figli di papà con trenta tatuaggi, la voce di una grattugia afona, il fisico da lanciatore di coriandoli e il talento di uno xilofono spento, per poi andare a Sanremo giocando con una canzone a caso e un battesimo finto al finto blasfemo.
Ce la fate ad essere appena più esigenti e appena meno retorici di così?
Achille Lauro non ha voce, non ha talento musicale, non ha testi. Lacune innegabili, che non vorrebbero dire molto per uno che fa il carpentiere o il maniscalco, ma che paiono abbastanza dirimenti per uno che si definisce (o definiscono) “cantante”. Certo, sa provocare e far parlare di sé, ma mi pare un po’ poco per gridare al miracolo e scrivere post mielosi e francamente insopportabili, così intrisi di politicamente corretto da far venir quasi voglia (ho detto quasi, eh) di rivalutare Pillon.
A livello musicale Achille Lauro vale meno di un rododendro bombardato. E la canzone di quest’anno fa persino più schifo delle altre (la qual cosa pareva quasi impossibile). Se vi basta così poco per un’erezione civica, vi accontentate di poco. Beati voi. Io, quando cerco un orgasmo musicale intinto di provocazione, ascolto mostri sacri come Gaber o Jannacci. E se poi ho voglia di irriverenza sanremese, torno indietro nel tempo e mi godo Rino Gaetano, Vasco, Elio e Daniele Silvestri. Mica ‘sto coattume afono e furbino, travestito neanche troppo bene da iconoclasta mainstream.
Provate a volare ogni tanto, su, che a viver sempre rasoterra viene il mal di niente.
Andrea Scanzi
Nessun commento:
Posta un commento