domenica 27 febbraio 2022

Kakhaber Kaladze

 


"Levan voleva fare il medico. Lo sapevano tutti che era un buono. Amava e si faceva amare. Rideva e faceva ridere.

È stato rapito mentre tornava a casa dall’Università e poi assassinato. 

Avvicinato da un gruppo di persone in divisa finti poliziotti che l’hanno tradito. Impostori. 

Feccia umana.  

Se lo sono portato via, senza che capisse molto di ciò che stava accadendo, nel senso che non avrebbe potuto capirlo. Aveva l’animo semplice, era un bravo ragazzo di vent’anni. 


I rapitori hanno creato un contatto, chiedendo un riscatto e dandoci un ordine: nessuno avrebbe dovuto raccontare ciò che stava succedendo. 

Speravano passasse tutto sotto silenzio. Invece è accaduto l’esatto contrario: hanno iniziato a parlarne tutti. Televisioni, giornali, polizia. 

Noi in segreto trattavamo con i sequestratori: non è eticamente corretto, forse, però quando staccano un pezzo di te non esiste altra via, non puoi fare altrimenti.

Il tempo passava, io piangevo, mi disperavo. Le domande mi martellavano il cervello.

"Dov’è Levan?

Perché proprio lui? Starà bene? Gli staranno dando da mangiare? E le medicine che gli servono per la cardiopatia?

Arrivavano telefonate, ci chiedevano soldi, certe persone si spacciavano per emissari, dicevano di poter liberare mio fratello, di avere informazioni preziose e utili ma ogni volta che davamo dei soldi a qualcuno, poi arrivava qualcun altro con le stesse richieste: ci illudevano e ci affondavano. 


Per me è stato un periodo difficilissimo. Morivo dentro. Mi allenavo e pensavo a Levan. 

Giocavo le partite e pensavo a Levan. Qualunque cosa facessi, c’era Levan nella mia testa. 

Il momento peggiore era la notte: non dormivo, fissavo il soffitto, impazzivo cercando una via di uscita, una soluzione che forse c’era ma alla quale altri non avevano pensato. Cercavo Levan. 

Poi, un giorno, i contatti con i rapitori si sono interrotti.

Quello è stato il momento in assoluto peggiore. 


L’attesa, snervante è durata cinque anni. Fino a quando è venuto il momento di partire per una trasferta a Monaco di Baviera. 

Qualche giorno prima è squillato il telefono, ho subito avvertito dei brividi strani, una sensazione particolare. Pochi secondi dopo mi hanno detto che avevano ritrovato mio fratello. Anzi, il cadavere di mio fratello. Ho chiuso gli occhi.

Quando li ho riaperti erano pieni di dolore. Ho subito avvertito Adriano Galliani e Ariedo Braida:

“Vi devo dare una notizia orribile, è morto Levan.”

“Kala, non devi neanche chiedercelo: parti subito, vai dalla tua famiglia.”

“Grazie, ma no. Io voglio giocare.”

“Sei sicuro, Kala?”

“Sì. Scenderò in campo per lui.”

Non conta che quella partita sia finita 1-1 con gol di Ballack e Shevchenko, la cosa fondamentale è che io sia stato uno dei migliori. Dal primo all’ultimo secondo ho pensato a Levan, non vedevo nient’altro. 

Non c’erano compagni, non c’erano avversari, solo lui e la sua memoria da onorare. 

Non mi avrebbe fermato nessuno, quella sera. 

Volevo che la gente si ricordasse di ciò che avevo fatto contro il Bayern Monaco, che conoscesse il motivo per cui era nata quella prestazione: in questo modo, nessuno si sarebbe mai dimenticato di mio fratello.


Il corpo di Levan è stato ritrovato in una fossa comune alla periferia di Tbilisi, e identificato solo attraverso complicatissimi test condotti dall’Fbi, negli Stati Uniti. La morte di mio fratello risaliva a poche settimane dopo il sequestro. Gli anni passano, la ferita è sempre lì al suo posto, aperta, spalancata, come lo era il primo giorno. 

Non guarirà mai".


Buon compleanno Kakhaber Kaladze. ❤


Fonte: Demoni di Alessandro Alciato.

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