Borsellino Quater. Il pentito Vara: “Madonia mi disse che c’era chi parlava con Berlusconi”
-Redazione- In occasione dell'ultima udienza della trasferta romana dei giudici che si occupano del Borsellino Quater sono stati ascoltati i collaboratori di giustizia Ciro Vara, Filippo Malvagna e Giuseppe Grazioso.
Il primo fu un fedelissimo del boss Piddu Madonia: fu proprio questi a "portarmi in Cosa Nostra", prima di esser arrestato nel '92. Durante la sua latitanza, però, ha spiegato l'uomo, Madonia si spostava nella zona di Enna e saliva fino a Milano, dove si occupava di grossi traffici di droga. Accadeva, principalmente, durante le vacanza di Natale.
Nel '91, però, ciò non accadde: "Mi aveva fatto chiamare a Bagheria", ricorda Vara. Madonia gli spiegò che non si sarebbe, quell'anno, recato a Milano in quanto aveva "degli impegni importanti": un'espressione che si riferiva alla sentenza del maxiprocesso, attesa per il gennaio successivo.
Fu proprio quella a scatenare, a suo dire, i corleonesi e la loro strategia stragista. Tanto più che la mafia aveva tentato in tutti i modi di ostacolare il procedimento, cercando di avvicinare anche alcuni giudici popolari e magistrati."Qualcuno era persino disposto ad andare incontro alle esigenze dell'organizzazione", ha sottolineato Vara, esplicitando poi: Madonia "mi aveva detto che il dottor Signorino avrebbe fatto sapere che avrebbe fatto la sua parte, per quello che era possibile, cercando nelle sue requisitorie di dare condanne un po' più leggere”. Riguardo ad Ayala, invece, Madonia diceva che “era chiacchierato, aveva il vizio delle carte” ma niente di più.
Ad ogni modo, Vara ha precisato che Cosa Nostra era interessata ad avvicinare la magistratura non solo per quanto concerneva il maxiprocesso, ma "soprattutto puntava all'imprenditoria e alla politica”, con particolare attenzione verso “i cugini Salvo, Lima, Andreotti”. E su Berlusconi Vara sottolinea:"Madonia mi disse che c'era chi parlava con Berlusconi, e Berlusconi parlava con Craxi”. In pratica, “c'era un canale privilegiato anche con Craxi”. Poco importa se, in pubblico, si scagliasse contro Cosa Nostra: tali dichiarazioni, secondo Vara, "erano solo di facciata, le faceva anche Andreotti": "Nella Dc", ha aggiunto, "quasi tutte le correnti politiche erano vicine a Cosa Nostra".
Secondo Vara, il personaggio che "parlava con Berlusconi" sarebbe statoDell'Utri, ma, ha voluto specificare, "si tratta di una mia deduzione". Riguardo, invece, la latitanza di Provenzano ha sottolineato come il boss stesse, ai tempi, "adottando una strategia, stava cercando di avere contatti anche attraverso la Chiesa” al fine di “cercare di ammorbidire questa repressione dello Stato”. E sempre riguardo gli intrecci di potere: "Piddu Madonia mi disse che in ogni provincia dovevano esserci due soggetti che facessero parte dellamassoneria", ha spiegato. "Mi aveva chiesto di farne parte ma io stupidamente rifiutai."
La parola è passata poi a Malvagna, che ha raccontato dettagliatamente i motivi che portarono alla storica riunione avvenuta ad Enne alla fine del '91: “La circostanza mi è stata raccontata da Giuseppe Pulvirenti, detto il Malpassoto, che lo seppe da Benedetto Santapaola… partecipò la commissione regionale…", ha spiegato. "Riina aveva avanzato delle proposte che si dovevano essere messe in atto in quanto l'organizzazione veniva particolarmente colpita da interventi delle forze dell'ordine, e il maxiprocesso non si era potuto sistemare”. Per questo, per Cosa Nostra “bisognava mettere in atto delle azioni per trovare nuovi referenti politici, un punto d'aggancio per ottenere benefici… azioni eclatanti”.
Si trattava di una “tipologia di pressione anche nei confronti della popolazione che così si sarebbe ribellata e lo Stato sarebbe dovuto scendere a patti”. “Si parlava", ha proseguito, "di organizzare e reclutare persone possibilmente incensurate, stipendiarle per acquisire informazioni sugli usi e sui luoghi frequentati da alcuni esponenti della politica e delle istituzioni".
“Mi fu anche detto"; ha aggiunto ancora il collaboratore di giustizia, "che queste cose dovevano essere fatte in modo particolare, non dovevano essere ricondotte all'organizzazione mafiosa ma bisognava confondere un po' le idee usando la rivendicazione terroristica con la sigla Falange Armata”. Il tutto era studiato nei minimi dettagli, se non che, nel '92, "cominciammo ad avere problemi nell'organizzazione, le prime collaborazioni con la giustizia, gli ordini di carcerazione, e a novembre del '92 siamo diventati latitanti”.
In ultimo è stato ascoltato Giuseppe Grazioso, che appartenne al gruppo "Mapassotu". "Eravamo praticamente uniti ai Santapaola", ha ricordato, prima di raccontare come, per un periodo si trovò a collaborare coi palermitani: Cosa Nostra aveva richiesto l'aiuto dei catanesi per il reperimento di alcuni telecomandi da consegnare ai mafiosi del capoluogo.
I dispositivi vennero trovati e consegnati a Gioacchino La Barbera e Antonino Gioè. "I corleonesi volevano far succedere la fine del mondo", ha spiegato Grazioso. "C'era anche un'idea, o almeno si parlava, di fare qualcose a Catania ad esempio contro il giudice Nicolò Marino”.
Riguardo Gioè, infine, Grazioso ha illustrato un colloquio avuto con lui nel carcere di Rebibbia il giorno prima della sua morte. "Eravamo io ed un altro, Simone Bevinati", ha spiegato alla Corte. "Gioé ci chiama dalla finestra ed era molto agitato. Ci diceva che aveva avuto dei colloqui con delle persone che volevano si pentisse, che collaborasse per Riina. Parlammo anche di Capaci, disse che erano stati loro e che invece su Borsellino non sapeva nulla. Era arrabbiato. E poi la notte si è impiccato”.
http://www.articolotre.com/2014/05/pentito-vara-madonia-mi-disse-che-cera-chi-parlava-con-berlusconi/
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