martedì 30 aprile 2013

Pensioni, crolla riforma Fornero dei 66 anni: Letta in pensione a 62 anni



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Con gli esodati si “è rotto un patto”, ed è questa una questione che va quindi risolta. Ma in generale la normativa sulle pensioni va rivista. Andare in pensione a 66 anni, come da riforma Fornero, sarà anche cosa buona e giusta, ma in fondo non ha mai convinto. E così finestre, part time, penalizzazioni e altre novità consentiranno di anticipare il pensionamento di 3-4 anni. Cioè si tornerà a poter andare in pensione a 62 anni. Mancano i dettagli tecnici ma questo è il succo del discorso, nella parte riguardante le pensioni, del neo premier Enrico Letta. Discorso applaudito e sostenuto da quasi tutta l’aula, compresi Pd, Pdl e montiani, che questo governo sostengono e che la riforma Fornero avevano approvato.
Il presidente del Consiglio, nel suo discorso programmatico tenuto a Montecitorio, non solo ha annunciato una “soluzione strutturale” della questione degli esodati, ma ha preannunciato una flessibilizzazione delle nuove età di pensionamento, iscrivendo il tutto all’interno di una riforma “radicale” del welfare italiano. Ed esodati e nuove età di pensionamento sono, nella visione di Letta, due facce della stessa medaglia perché, la possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro risolverà la questione dei primi e, in più aiuterà una “staffetta generazionale”. Il premier ne ha parlato come di un’esigenza generale “per evitare il formarsi di bacini estesi di lavoratori anziani” per cui, se espulsi dalle aziende, è “difficile la ricollocazione al lavoro”.
Meglio in questo caso aprire alla possibilità di “forme circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l’accesso con 3-4 anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale”. Oggi la legislazione targata Fornero prevede questa possibilità solo per chi va in pensione di anzianità (servono 42 anni e 5 mesi per gli uomini e 41 anni e 5 mesi per le donne) prima dei 62 anni. In questo caso scatta un taglio dell’1% dell’importo della pensione per ogni anno di anticipo, percentuale che raddoppia (arrivando al 2%) per ogni anno di anticipo che supera i due anni.
L’idea del premier è quindi probabilmente quella di estendere questa possibilità agli altri requisiti richiesti per andare in pensione, come gli anni di contributi o il minimo di età. Una simile apertura risolverebbe in modo praticamente automatico il problema di molti esodati. Si potrebbero poi affiancare queste misure a delle forme di part time. Una sorta di “staffetta generazionale”, per usare le parole di Letta stesso, con lavoratori anziani incentivati a passare al part time con la parallela assunzione di giovani sempre a part time. Un meccanismo che già al precedente governo non dispiaceva e che gode di “largo consenso parlamentare”.
Ipotesi affascinanti e in alcuni casi persino auspicabili. Ma, ci sono dei ma. Primo fra tutti il problema dei costi e dei relativi finanziamenti per le suddette misure. In altre parole, dove si trovano i soldi necessari? Enrico Letta, sulla questione, ha totalmente glissato. Non un accenno a come finanziare le sue proposte è stato fatto, ma non era quella della Camera la sede per far questo.
Se però la questione dei finanziamenti dovrà, obbligatoriamente, essere affrontata e risolta per passare dalle parole ai fatti, un altra questione rimane e non dovrà per forza di cose essere discussa: se si potrà tornare ad andare in pensione a 62-63 anni, la riforma Fornero per cosa è stata fatta e, cosa più importante, perché gli stessi che oggi la vogliono modificare l’hanno ieri votata?
Nessuno probabilmente, nemmeno i posteri, risponderà a questi interrogativi. Ma la buona notizia è che, se si troveranno i fondi, si tornerà ad andare in pensione come prima.

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