Non me ne vogliano gli amici milanisti, con cui lui vinse molto e fece comunque cose egregie, ma se chiudo gli occhi, io il Principe danzante lo vedo vestito di viola. E basta. Manuel Rui Costa per me è stato il giocatore più elegante della storia assieme a Zinedine Zidane ma forse anche di più per quel suo modo di fare, quella capacità di essere sobrio e assieme maestoso, quasi con timidezza. Come sapeva esserlo in campo questo portoghese di Lisbona che io ricordi nessuno. Ciò che mi ha sempre affascinato di Rui era la calma che trasmetteva, quello charme privato dalla vanità che correva per il campo, quasi indifferente al turbinio di gambe e sudore e bestemmie che popolava quel campo. Lui la sapeva tecnicamente più lunga degli altri, pur essendo fisicamente meno forte e possente di molti. Aveva un qualcosa del filosofo, non di quelli che pigliano soldi scrivendo libri o andando in televisione per vanità, ma di quelli che trovi sulle barche al largo a pescare nulla per ore, o a fumarsi una sigaretta sulle scale di una chiesa o in un bar, sempre quello.
Era capace di unire in sé efficacia, eleganza, tecnica raffinatissima connessa ad un tocco che era una pennellata d'artista, con un intelletto superiore, che trasudava da ogni gesto, da ogni parola, da ogni giocata anche. Ci sono calciatori che in campo sublimano la disciplina, così come vi sono attori, registi, pittori per i quali devi fare un discorso a parte, andare oltre la mera opera in sé, chiamare in causa l'emotività che sincera nasce da ciò che ti mettono di fronte. Definirlo poeta, o meglio autore del pallone è qualcosa di molto più preciso e consistente, di non retorico ma assolutamente reale. Per Rii quel pallone era lo scalpello per Michelangelo, era il piano per Chopin, era la matita per Hugo Pratt. Un po' Corto Maltese me l'ha sempre ricordato. Anche a pensare ad altri fuoriclasse io li metto dietro per l'impatto emotivo che mi dava, la plasticità della forma. .Questo portoghese alto e aggraziato, lui quando giocava, sembrava veramente essere un autore della Belle Epoque in qualche caffè della Lisbona di Mauro de Sa-Carnerio, di non essere lì, di danzare da solo, privato dell'agonismo e della fatica, del contrasto verso gli avversari, intento a tracciare una storia tutta sua su quel manto erboso.
Le sue veroniche, i suoi passaggi ed assist al limite del concepibile, erano qualcosa per descrivere le quali, dovrei chiamare in causa Fernando Pessoa e non lo faccio perché ho pudore della mia onesta retorica da sentimentale. Fermarsi un passo prima, come Rui faceva in campo, che il gol son buoni a farli tutti, ma crearne a raffica per gli altri è roba per pochi. Mai una parola fuori posto, mai un gesto antisportivo o avventato, mai una volgarità.
Un intelletto da poeta, filosofo, una padronanza della lingua italiana che a sentirlo in tv, ti vergognavi per i colleghi nostrani che si e no indovinavano un congiuntivo ogni 20. Forse da certi punti di vista anche troppo alto per questo ambiente, e per questo è stato forse più ammirato che amato, come si fa con chi sentiamo nostro simile. Sport Lisboa e Benfica prima di arrivare in quella ACF Fiorentina dove fu ammirato come si fa con certe statue e monumenti. Assieme a Gabriel Batistuta creò una delle coppie più belle che il calcio abbia mai visto, al netto di pochissimi successi che avrebbero meritato. Ma era una fossa dei leoni all'epoca, mica come oggi.
Infine il AC Milan dove chiuse con eleganza la sua carriera meravigliosa. Ma lui era ed è ancora oggi legato alla città degli artisti. Rui Costa proprio come Toki, il più bravo della Divina Scuola di Hokuto, fu molto meno coperto di gloria di quanto avrebbe meritato, ma forse per questo la sua carriera è stata per certi versi più bella, più elegante, perché l'oro quando è in eccesso toglie ogni bellezza e sacralità. Per ciò che è stato, per ciò che ha significato per il calcio mondiale questo regista atipico, questo 10 che poteva giocare in 3-4 posizioni diverse senza perdere un millesimo della sua candida efficacia, della sua struggente malinconia di fuoriclasse, in molti avrebbero difficoltà a condensare in parole.
Sia lui che Figo nella Seleções de Portugal avrebbero meritato mille volte di più, ebbero invece un ben magro raccolto, come quello di certi pittori talentuosi e sfortunati, di certi poeti costretti a morire mentre scrivevano versi tra il vino della loro malinconia. Sfortuna, mancanza di compagni adeguati, un tasso di difficoltà nel calcio di allora a cui loro da soli non potevano rimediare lì condannò. A Korea 2002 furono i primi a pagare dazio alla corruzione che voleva i padroni di casa avanti in ogni caso. Poi sarebbe toccata a noi e ai cugini spagnoli, per mano di arbitri imbelli e criminali.
Eppure, quando oggi sento parlare di "fenomeni" della mediana nel calcio di oggi, di registi od ali "incredibili" mi viene da imitare il suo malinconico sorriso, il suo sguardo tra il quieto, il sommesso e l'autoironico. Vorrei ricordare loro che vi è stato un tempo in cui in un campo di calcio potevi trovare un uomo chiamato RuiCosta, scoperto a soli 5 anni da Eusebio, e che sapeva trascendere il mero gesto tecnico e renderlo qualcosa per cui valeva la pena pagare un abbonamento televisivo, fare ore alla biglietteria, litigare con la ragazza che voleva andare per negozi la domenica. Oggi è Presidente del suo primo club, di sicuro è un posto dove c'è bellezza nell'aria.
Sono 52 oggi. Tanti Auguri Manuel
L'uomo che dipingeva su un campo di pallone.
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