Il 29 settembre del 1874, nell’ imminenza di nuove elezioni, l’on. Garibaldi scrive da Caprera un appello agli elettori:
Elettori,
I Collegi sono convocati.
Ogni onesto italiano, ogni padre di famiglia, ogni artigiano il
quale ami i propri figli, ogni cuore che palpiti per il nostro paese,
ogni associazione che non sia una setta giurata contro la libertà, e la
grandezza di queste zolle sacrate a tanti martiri; in questa circostanza
solenne deve far tacere ogni astio, ogni interesse di parte e concordi
portarsi all’urna elettorale, a deporre il voto sopra individui, la cui
vita privata e pubblica sia come la luce, che vivifica questa nostra
Italia.
L’Italia, questa Italia, che le altre nazioni tanto invidiano pel
suo cielo, per la fertilità delle sue terre, per l’indole svegliata dei
suoi abitanti, che in pochi anni conquistarono ciò che fu la aspirazione
di secoli, la sua unità; qual mai ostacolo le si oppone a renderla
grande, prospera, rispettata?
La sua apatia, la sua immortalità, la discordia. Chi la gettò in
questo baratro di sciagure? Un detto che in pubblico Parlamento fu
lanciato contro gli onesti: che il governo non è un principio ma un
partito.
Da questo, corruzione dei pubblicisti, corruzione nei plebisciti,
nei collegi elettorali, nella Camera, nei ministeri, nei tribunali,
negl’ impiegati, nell’ esercito nella marina; corruzione nelle imprese,
nei contratti, nelle società, nelle banche, insomma in ogni ramo, in
ogni dicastero. Fu alzata a sistema di governo; ogni anima venduta alle
tirannie passate fu chiamata in vigore, e spalleggiata dallo spionaggio,
dalla calunnia, che sono la forza brutale dei ministri, sempre quelli
che da 26 anni successivamente ci governano.
Quindi imposte esuberanti, scialacquo di vendite demaniali,
impoverimento delle masse e delle famiglie artigiane, sicurezza
personale manomessa, arbitrio di sgherri e d’impiegati senza ombra di
giustizia: ecco a che ci condusse la frase esecrata che il governo è un
partito e non un principio.
A ritornarlo principio sacro per ognuno che diede tanti martiri
dovunque, bisogna spazzar via questa massa d’intrusi che, come le api
negli alveari ne deportano cera e miele e non vi lasciano che putridume e
macerie.
Vorrei dirvi chi sono, chi furono e d’onde vengono: ma troppo dovrei intingere la penna nelle sozzure, e mi ripunga.
Basta che vi dica: ricorrete al loro passato, e se non siete più che
ciechi, più che imbecilli, più che codardi, non riconfermateli nel loro
seggio.
Che sperate da essi? il pareggio? la difesa dello stato? la libertà? Illusi che siete!
Si, riconfermandoli preparatevi a nuove sciagure.
Il vedeste; i prodi, gl’intemerati (in questa epoca solenne) gemono
nelle prigioni come malfattori; eppure la loro vita fu vita di
sacrifici, vita di abnegazione, vita di patimenti.
Elettori! uno sguardo a loro, alle loro famiglie, eccovi il dovere vostro.
G. Garibaldi
(Giuseppe Garibaldi, Memorie, Appendice di scritti politici 1869-1881, BUR 1982)
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