Gli aneddoti che custodisco su di lui sono infiniti, e non solo accademici
Franco Crespi è morto due volte. La prima, fasulla, si verificò otto anni fa, quando su un blog di settore apparve un annuncio funebre che lo riguardava. Mi telefonò divertito, invitandomi tuttavia a utilizzare i vari canali social per smentire la notizia. La quale, ne era certo, gli avrebbe comunque allungato la vita. E così è stato fino al 25 agosto 2022, quando uno dei padri fondatori della sociologia italiana ci ha lasciati. Aveva 92 anni.
Discendente della famiglia fondatrice del “villaggio operaio” di Crespi d’Adda, oggi patrimonio UNESCO – il nonno Cristoforo fu il visionario ideatore di quell’esperimento socio-economico-urbanistico che si rivelò un punto di riferimento mondiale –, Franco Crespi è stato per tutti un vero intellettuale: scrittore dotato di profonda capacità ermeneutica e di una naturale grazia nell’arte dell’articolazione del pensiero, è stato professore emerito all’Università degli studi di Perugia, oltre ad aver insegnato in diverse università estere e a essere stato tra i fondatori dell’Associazione Italiana di Sociologia (AIS). Onorato dal Quirinale con la medaglia d’oro ai benemeriti della scienza e della cultura, i suoi studi sono dei capisaldi nella sociologia e nella teoria sociale: in particolare, la sua teoria dell’agire sociale – probabilmente la più raffinata tra quelle disponibili in Italia – rappresenta un’articolata denuncia riguardo a tutte le forme di assolutizzazione: l’origine del male che affligge la vita umana viene individuata nel desiderio di assoluto, quale tentativo di evadere dai limiti dell’esistenza, nonché nel mancato riconoscimento dell’identità personale e sociale dell’altro, ma anche della sua inoggettivabilità in quanto soggetto dotato di autocoscienza (temi presenti anche ne “Il pensiero debole”, noto lavoro collettivo curato da Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti al quale Crespi partecipò).
Negli anni ’60, Franco Crespi fondò l’Istituto di Studi Sociali e la Scuola di specializzazione in Sociologia nella neonata università romana LUISS. Poi si trasferì a Perugia, dove diventò titolare di cattedra in quello che è l’attuale Dipartimento di Scienze Politiche, dove ha creato una scuola di sociologia e teoria sociale (l’Istituto di Studi Sociali), oggi condotta dal suo allievo prediletto, Ambrogio Santambrogio.
Ma sono stati innumerevoli gli studenti e diversi gli allievi di un professore dotato di un naturale carisma, di un fascino aristocratico e di un imprimatur di eleganza e leggerezza che mai ho ritrovato in altri colleghi in giro per il mondo. Crespi è stato un maestro, nel senso più profondo del termine: ha insegnato a una pletora di studiosi a fare sociologia e teoria sociale. A pensare, a interpretare la realtà sociale, a interrogare concetti e teorie, e a metterli all’opera per studiare la società.
Ha iniziato come “assistente volontario” di Franco Ferrarotti a Roma, in anni in cui la sociologia italiana stava nascendo (grazie anche all’opera di Laura Balbo, Luciano Cavalli, Luciano Gallino, Alessandro Pizzorno), per poi generare intorno a sé un circolo di amici-colleghi più giovani che ne hanno accompagnato percorsi esistenziali e accademici. Tra questi, alcuni gli sono stati sempre vicino – se non proprio fisicamente, di certo con il cuore – come Andrea Bixio, Franco Cassano, Alessandro Ferrara, Carmen Leccardi, Paolo Jedlowski, Walter Privitera, Loredana Sciolla, Gabriella Turnaturi. E di certo ne dimentico altri.
Per quanto abbia insegnato anche negli Stati Uniti, alla Columbia e a Berkeley, per Franco Crespi restava Parigi la città prediletta. Luogo in cui aveva vissuto e studiato già da bambino con la famiglia. Nella capitale francese, tra gli anni Ottanta e i primi quindici del Duemila, ha incontrato e lavorato con gran parte dell’intellighenzia sociologica e filosofica: dai suoi grandi amici Serge Moscovici e Alain Touraine, a Pierre Bourdieu, Anne Doufourmantelle, Danilo Martuccelli. E, soprattutto, Marguerite Duras, con la quale Franco è stato legato da una lunga amicizia alquanto produttiva anche in termini socio-letterari.
Frequentatore di lunga data della Maison de Science de l’Homme in boulevard Raspail – dove ha avuto per anni un ufficio “onorifico” –, Crespi era ben noto anche nell’ambiente diplomatico della città. Dall’Istituto Italiano di Cultura alle sedi della Sorbona in zona Saint-Germain des Près, Crespi ha rappresentato per molti lustri l’emblema della cultura e dello studio sociologico italiano. Basti ricordare l’ultima presentazione di un suo libro in francese, nel 2014, tenutosi nella sede sorboniana di Rue des Saint-Pères, all’Université Paris V Descartes. Erano disponibili soltanto posti in piedi, mentre in aula erano seduti svariati esponenti della cultura francesi giunti a celebrare, ancora una volta, l’opera di “Francò”.
Gli aneddoti che custodisco su di lui sono infiniti, e non solo accademici. Ci vorrebbe un libro per raccontarli tutti. Uno, però, potrebbe racchiudere lo splendore che Franco Crespi schiudeva in coloro che lo conoscevano. Eravamo nella “sua” Montparnasse, seduti per cena in un amato bistrot. A un tratto, ecco entrare un noto “archistar” newyorkese, con un gruppo di accoliti festanti. Lui nota Franco e, disinteressandosi del suo gruppo, gli va incontro con un sorriso stupefatto e le braccia aperte. Si salutano, calorosi. Poi, l’artista americano, con sincerità e commozione, gli fa: “Franco, per te il tempo non esiste: tu vai oltre il concetto di tempo”.
Ritornati soli, Crespi sorrise e mi disse, con un viso segnato dalla malinconia: “Oltre il tempo. Magari fosse vero…”. E adesso sono io a pensare che sì, magari fosse vero, che il tempo potesse fermarsi in singoli frangenti di felicità e gioia, nei quali perdersi nel sorriso di un amico. Mentre sono certo che la terra gli sarà lieve, spostandosi, per permettere alla sua anima di volare via, finalmente libera e indeterminata.
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