Archie Battersbee aveva 12 anni, in stato vegetativo dal 7 aprile scorso, quando la mamma Hollie lo ha trovato in casa, incosciente, con una corda al collo, forse - ha dichiarato lei - “dopo una sfida online con gli amici, forse su Tik Tok”.
Ieri, dopo 120 giorni di agonia in coma irreversibile, dichiarato dal London Royal Hospital cerebralmente morto dai medici e senza alcuna possibilità di risveglio, i giudici hanno dato il via libera ai medici per staccare le macchine che lo tenevano - solo clinicamente - in vita.
Una decisione durissima e sofferta ma che ha liberato Archie da un corpo ormai ridotto a mera prigione.
I genitori hanno combattuto fino all’ultimo contro la decisione, hanno addirittura parlato di “esecuzione di un bambino”.
Per carità, nessuno può comprendere fino in fondo la reazione di una mamma e un papà davanti a una tale tragedia.
Ma, di fronte all’evidenza, non esiste un gesto di umanità ed empatia più profondo che lasciare un figlio libero di andare, di sfuggire a una non-vita.
Credo non ci sia atto d’amore più grande. Doloroso ed enorme.
Lorenzo Tosa
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