"SE VUOL FARE LO SCRITTORE, SI PRENDA UNO PSEUDONIMO. SE NO RESTERÀ PER SEMPRE UN GIORNALISTA SPORTIVO" - GIANNI CLERICI, SCOMPARSO OGGI A 91 ANNI, E I CONSIGLI DI GIORGIO BASSANI QUANDO GLI PRESENTÒ IL SUO PRIMO ROMANZO, "I GESTI BIANCHI" - LO SCRITTORE DE "IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI" AMAVA IL TENNIS COME LA LETTERATURA - “QUANDO VIDE IL FILM DI DE SICA TRATTO DAL SUO ROMANZO PERSE IL CONTROLLO: “QUESTO NON È IL MIO LIBRO. FA SCHIFO!" - IL RICORDO STRUGGENTE DI GIANNI CLERICI BY STEFANO MELOCCARO (SKY): VIDEO
IL RICORDO DI GIANNI CLERICI BY STEFANO MELOCCARO - VIDEO
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DIALOGHI CON LA RACCHETTA
Gianni Clerici per “la Repubblica” pubblicato da Dagospia il 4 marzo 2016
Ho letto, in un articolo di un vero intellettuale, un ricordo critico di Giorgio Bassani, lo scrittore. Scrive il Critico che, oggi, Bassani avrebbe cent’anni. Mi domando come potrei rivolgermi a Giorgio, cosa potrei dirgli, io che sono stato un suo amico, e che, lungi dall’essere un intellettuale, sono solo uno scriba. Provo dunque a rivolgergli ricordi, domande, chiacchiere.
1)«Mandaglielo tu», mi disse un altro di quelli che chiamavo zii, Mario Soldati, perché i miei veri zii non mi soddisfacevano. «Mandaglielo tu alla Feltrinelli, la Casa Editrice dove lavora. Se glielo raccomando io te lo pubblica. Ma non sarebbe giusto, deve decidere da professionista».
2) Il romanzo si chiamava i Gesti Bianchi. Era una storia di tennis, con il tema centrale di un campione, alias Gottfried Von Cramm, e due giovanissimi tennisti, uno dei quali ero io. Era, in sintesi, una vicenda dei rapporti, e degli attriti, tra l’omosessualità e l’amicizia.
GIORGIO BASSANI CIRCOLO MARFISA
Passarono sei mesi. Mi lagnai con zio Mario. Mi informò che Bassani aveva grossi fastidi con il suo editore Feltrinelli, causa un importantissimo romanzo russo, il Dottor Zivago che alcuni intellettuali del Pci non volevano. Infine venni invitato alla Casa Editrice. Bassani aveva un’aria accogliente, non pareva proprio un Professore, di quelli che mi mettevano soggezione.
«Caro Clerici, sono tennista anch’io », mi disse. «Il suo, con la Costa Azzurra di mezzo, è un bel tema, non facile. Le ho scritto, con la matita rosso e blu, dei suggerimenti, non chiamarli correzioni. Torni quando ci avrà meditato, se crede che io abbia spesso ragione. E, soprattutto, se vuol fare lo scrittore, si prenda uno pseudonimo. Se no resterà per sempre un giornalista sportivo, un caratterista che non rientra negli schemi del nostro mondo di presunti intellettuali».
Me ne andai affascinato ma ancor più insoddisfatto. Era il mio primo romanzo, il primo di tutti quelli che mi sarei visto rifiutare. Mi sentivo offeso, come la volta che Francesca, congedandomi, mi aveva dichiarato che non ero un vero macho. Passò un anno. Corressi. Bassani aveva avuto quasi sempre ragione. Gli telefonai. Rimandai i Gesti Bianchi. Appuntamento.
bassani il giardino dei finzi contini
3) «Mi spiace Gianni — diamoci pure del tu, tra tennisti — Non ti posso più pubblicare, perché me ne vado. Feltrinelli, Il “marxista per diletto” ha addirittura tentato di forzarmi questo cassetto, questo della mia scrivania». Me lo indicò. «Temo che dovrò cercare di vivere dei miei romanzi. Non sarà facile, dopo aver fatto il professore per avere uno stipendio. L’Editor per avere uno stipendio. Se avrai la mia pazienza, qualcuno ti pubblicherà i Gesti Bianchi. E la prima volta che vieni a Roma giochiamo insieme a tennis».
«Certo che Giorgio ce la farà — mi disse Mario, che era venuto ad abitare a Milano, profugo dal Cinema romano, in via Cappuccio, di fronte al pied- à- terre dove stavo io. «È un grande scrittore, anche se non basta per sopravvivere, in questo paese di illetterati. Ma tu fai come noi. Scrivi lo stesso».
4) Giocai, per la prima volta, con Giorgio, alle Cascine. Ad assistere alla partita c’era addirittura il Professor Longhi, anche lui tennista, che ci avrebbe invitati a casa, dopo il nostro set. Io ero da poco reduce dall’interruzione della mia carriera di giocatore, per una malattia molto grave. Temevo che Giorgio non fosse in grado di palleggiare al mio livello. Andò invece benissimo.
Aveva quello che Brera chiamava “senso geometrico “, colpiva agevolmente non solo di diritto, ma con un bel rovescio. Ci divertimmo. Longhi lo prese un po’ in giro, per qualche errore. Alla fine di quello che chiamò “dialogo con racchette“, Bassani mi disse di aver imparato alla Marfisa, aveva addirittura partecipato ai Littoriali «prima che uscissero le leggi anti-ebraiche, prima di essere allontanato dal Club. Sarei almeno arrivato alla seconda categoria, come mio fratello».
5) Mentre continuavo in quello che Giorgio e Mario definivano “un equivoco “, e cioè a scrivere di sport, Cesare Garboli accolse un mio romanzetto su un Centrattacco, tanto vero che due centrattacchi si indignarono, e Gianni Rivera mi scrisse: «Un giocatore del Milan non si permetterebbe mai di far qualcosa di simile » (conservo la lettera).
Giorgio e Mario lo presentarono al Premio Strega. Fui ricevuto dalla Signora Bellonci che ebbe a dirmi «Lei è quello del tennis? Ma sa che fa benissimo anche i congiuntivi». Ebbi tre voti. «Non fai parte di nessun gruppo», mi disse il terzo dei miei votanti, Gaio Fratini. «Hai mai visto un ciclista che corre il Giro da solo?».
6) A questo proposito, dell’ottenere una tessera di appartenenza a un Partito Letterario, mi giunse un invito, per partecipare a Palermo alla riunione di quello che sarebbe divenuto il Gruppo 63. Incerto, raggiunsi Roma, e scesi dal treno per salutare Bassani, che abitava di fronte ai Giardini di Villa Borghese. Finì che giocammo al Tennis Club Parioli, e io restai privo del sostegno di un Partito Letterario. Giorgio me ne congratulò.
7) Sempre a Roma, presi a incontrare regolarmente Bassani ogni volta che passavo di lì. In primavera, ci si vedeva regolarmente ai Campionati Internazionali di Tennis, al Foro Italico. Non ho mai più trovato un vicino, in tribuna stampa, tanto sicuro dei propri giudizi, capace di sezionare il gioco, e quel che passava nella mente di un campione, come un grande psicologo. «Non è difficile. Basta immaginare che il campione sia un personaggio», sorrideva lui.
7) Giorgio era ormai giunto ai riconoscimenti del Veillon, dello Strega, del Viareggio. Ci ritrovammo una volta a Bologna. Lo vidi animato di una insolita emotività, quasi gli fosse accaduto qualcosa di misterioso. Mentre camminavamo diretti non so più dove, mi prese per un braccio, trascinandomi in un portone. Ero attonito, ma pronto alla stravaganza di un amico. Mi recitò alcuni versi.
«La poesia», mi disse. «Certo, ne avevo sempre scritte. È il destino di tutti noi che scriviamo. Tutte le energie che prima consumavo in tanti modi, sciupavo, disperdevo, si coagulano, come mi siedo alla scrivania. Ho un rapporto diretto con quello che faccio».
Dissi che lo capivo. Da quello spiritualista che ero diventato. Ma Giorgio, sullo spiritualismo, non ci sentiva. «Ecco, ho trovato», mi disse, «è come se tutto un match di tennis si tramutasse in una successione ininterrotta di match point. E io riuscissi a affrontarli con la disinvoltura di un banale quindici, ma con l’attenzione trasfigurata di un match- point. È la religione della poesia, mio caro spiritualista».
8) «Basta, andiamo via. Questo non è il mio libro. Fa schifo! Via». Eravamo andati, con Giorgio, all’anteprima del film tratto dal suo romanzo più famoso, Il Giardino dei Finzi Contini. L’avevo visto, via via, infastidito, incredulo, corrucciato. Alla fine, quando si accesero le luci, esplose come mai l’avevo visto fare. Era stata, quella, la fine di una vicenda che nessuno scrittore dovrebbe affrontare, se non per estremo bisogno di denaro.
La sceneggiatura era stata infatti più volte rifatta da successivi specialisti, Zurlini, Laurani, Pinelli, e dai miei amici Brusati e Bonicelli. Vittorio Bonicelli, grande critico cinematografico traversato dal desiderio di sceneggiare, mi aveva anche invitato a un minima partecipazione, che avevo evitato dicendo «Non sarei capace».
Alla fine di rifacimenti e innovazioni, Vittorio De Sica era stato costretto a girare un film diverso dal libro. Fu l’unica volta che vidi un uomo dolce, ragionevole, comprensivo di errori suoi e altrui, perdere il controllo si sé. Capii che si era identificato a tal punto con il libro, da ritenersi ferito da un’opinione altrui, come da un tradimento.
9) Avrei rivisto Giorgio per l’ultima volta in un Club di Tennis, il nuovo Tennis Club Parioli. Sapevo che stava male, avevo chiesto notizie nella sua nuova casa, mi era stato risposto che era meglio non visitarlo. Mi recai al Parioli, e lo vidi, insieme a un badante, che osservava un doppio di vecchi consoci, ridendo ad ogni errore, disturbando il palleggio in corso, immaginando ad alta voce un punteggio che nulla aveva a che fare con quello reale.
Ad un cambio di campo mi rivolsi interrogativo ad uno dei giocatori. «Lo so che non è facile», mi anticipò, «ma gli siamo tutti debitori. Per quello che ha fatto, per quello che ha scritto». Alla fine della partita, trovai il coraggio di rivolgermi a Giorgio. Mi guardò dolcemente e «Chi sei?», mi domandò alla fine. Me lo chiedo spesso, in risposta a chi mi onorò di una grande amicizia.
https://www.dagospia.com/rubrica-30/sport/quot-se-vuol-fare-scrittore-si-prenda-pseudonimo-se-no-312893.htm
Costanzo71
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