mercoledì 20 gennaio 2021

Clifford Irving: "I maestri non copiano. Falsificano"

 


La sua finta autobiografia di Howard Hughes gli valse fama e mesi di carcere. Ora con ebook e ristampe sta vivendo una seconda giovinezza

"HO avuto una vita piena. Un giorno ero l'uomo-copertina di Time , il giorno dopo sbattuto in un carcere federale per la falsa autobiografia del miliardario Howard Hughes. Ho fatto due volte il giro del mondo quando non eravate ancora nati. Ho fatto la guardia in un kibbutz israeliano, il marinaio su un tre alberi nella traversata atlantica dal Messico alla Francia. Ho vissuto in una casa galleggiante sul lago Dal del Kashmir, ho raggiunto il Tibet a dorso di cavallo". Così inizia la bio di Clifford Irving sul suo sito personale.

Reporter, scrittore, avventuriero. Autore di uno dei più grandi falsi della storia, una vicenda che appassionò Orson Welles, e poi fu portata sullo schermo in versione fiction con Richard Gere nella parte di Irving. Oggi arriva nelle librerie italiane per tutt'altra opera, il suo romanzo storico sull'Olocausto, L'angelo del campo (Longanesi). Lo intervisto mentre riemerge da un lungo isolamento in un paradiso inaccessibile: Zihuatanejo, sulla costa messicana a 200 miglia a nord di Aacapulco, un posto senza telefono né Internet, dove le sue giornate sono "un alternarsi di vela, Tai Chi e Qi Gong".

Come spiega questo improvviso interesse italiano, con quattro editori che si sono contesi i diritti su L'angelo del campo 22 anni dopo l'uscita in America?
"È una bella sorpresa. Io pensavo che dovessero tradurlo in Germania... dove invece lo evitano come la peste. Fa piacere che in Italia rinasca l'interesse attorno a un tema di cui si sa così poco. Nessuno capisce veramente come l'Olocausto sia potuto succedere. Io stesso decisi di scrivere questo romanzo perché non riuscivo a capire. Avevo tanti amici tedeschi, a cominciare dagli artisti che conobbi quando vivevo a Ibiza negli anni Ottanta, gente che aveva lasciato la Germania. La madre dei miei figli è tedesca. Questo non è l'ennesimo libro scritto dal punto di vista degli ebrei. Mi sono messo invece nei panni di un tedesco, rivivere quella tragedia vista attraverso i suoi occhi. L'ispettore inquirente, tedesco, ufficiale delle SS... sono io, anche se in realtà io sono ebreo".

Che rapporto ha lei con le sue origini ebraiche, e con lo Stato di Israele oggi?
"Divenni consapevole della mia identità negli anni Cinquanta, nel 1956 andai a vivere in un kibbutz, di fronte alla Striscia di Gaza. Avevo 25 anni, mi misero in mano un fucile. Di giorno sbucciavo patate, la notte montavo la guardia. All'epoca i combattenti palestinesi si chiamavano i fedayin. Ci tornai nel 1967, durante la Guerra dei Sei giorni, come inviato. Scrissi un libro, ma il manoscritto finì in cenere nell'incendio che distrusse la casa di mio padre a New York: per colpa mia, accanito fumatore. I miei legami con Israele si sono allentati negli ultimi anni. Non mi riconosco nei suoi leader, non amo questo governo, Netanyahu mi sembra un guerrafondaio".

È impossibile parlare di lei senza ricordare "il grande falso": la biografia di Howard Hughes. Era un personaggio leggendario e misterioso: uno dei più ricchi miliardari d'America, pioniere dell'aviazione, magnate del cinema, recluso e inaccessibile negli ultimi della sua vita, in preda a ossessioni maniacali come la paura dei germi. A un'epoca in cui nessuno riusciva a comunicare con Hughes, lei scrisse una sua "autobiografia ufficiale", apparentemente scritta a due mani col miliardario invisibile. Correva l'anno 1970 e fu uno scoop mondiale. Fece perfino tremare il presidente Richard Nixon. Due anni dopo lei ammise che era un falso. Restituì 765.000 dollari all'editore. Si fece 16 mesi di carcere federale. Finì in un documentario di Orson Welles dedicato al Falso. Quell'episodio la perseguita?
"Sì. È fantastico quanto questa vicenda mi rimanga incollata. Ho deciso di vivere così a lungo (Irving ha 84 anni, ndr) sperando che un giorno qualcuno dimentichi... Insomma, è successo quando non ero nemmeno arrivato a metà della mia vita. Lei, scusi, ha 58 anni, mi dica: davvero vuole essere ricordato tutta la sua vita per una cosa che fece quando ne aveva 28? Io no. E sinceramente, ormai ricordo poco di quella vicenda. Quando i giornalisti tornano a farmi domande su quella vicenda, sono costretto a tornare a rileggere i miei stessi libri per ritrovarci i dettagli che mi sfuggono".

16 mesi in tre carceri federali, dalla sua bio si scopre che a qualcosa le servirono: a smettere di fumare...
"Solo temporaneamente. Poi ripresi, e smisi ancora, due o tre volte. In compenso non ho mai perso un'altra buona abitudine presa in carcere: il sollevamento pesi".

Falsificazioni, imposture, plagio. Rispetto alla vicenda Hughes del 1970, cosa è cambiato con Internet?
"Distinguerei. Il falso è diventato più difficile da confezionare, perché la Rete offre immense possibilità di verificare le informazioni. È quello che in America si chiama il "factchecking", il controllo fattuale. Viceversa le possibilità di rubare testi altrui, di commettere un plagio, sono aumentate all'inverosimile. Basti pensare alla banalità del copia-e-incolla nelle nostre tecniche di scrittura digitali. Anche a me è capitato un incidente, per fortuna solo nelle note di accompagnamento di un libro, dove oltre a citare la fonte è finito incollato un intero brano altrui. E bisogna ricordare che a volte chi fa plagio è un grande autore, scrive meglio di colui che viene copiato. Gli antichi, i classici, erano meno schizzinosi di noi. Nella letteratura valeva un detto: i grandi maestri non prendono in prestito, rubano".

Per essere un autore ormai ultraottantenne, lei ha rivelato una flessibilità tecnologica notevole. La sua seconda vita è appena iniziata, presso il grande pubblico, da quando ha lanciato l'edizione ebook delle sue opere.
"Sì, in questo momento ho 18 libri accessibili sui tablet Kindle e Nook. Tutto cominciò quando uno dei miei figli mi disse: perché non ripubblichi te stesso in formato digitale? Non avevo idea di come farlo, lui mi ha aiutato. È stato eccitante. Di colpo mi si è rivelata una nuova audience. C'è poco da fare, le librerie hanno una limitazione inevitabile: la mancanza di spazio. Se non fai parte degli ultimissimi best-seller, le tue opere finiscono in un retrobottega. Ammesso che ci finiscano; e che ci sia un retrobottega abbastanza ampio. La Rete non ha "retrobottega". Il digitale mi ha spalancato una porta sul futuro. Anche se resto convinto che il libro di carta non sparirà mai". 

https://www.repubblica.it/cultura/2015/03/09/news/clifford_irving_i_maestri_non_copiano_falsificano_-109128160/

Costanzo71

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