A sud del Sahara sta emergendo una nuova classe media, che fa sentire la sua voce, consuma e contribuisce alla lotta contro la povertà: alla MISNA lo dice il professor Mthuli Ncube, vice-presidente e capo economista della Banca africana di sviluppo, convinto che il 2013 sarà un anno ricco di opportunità.
Già docente e preside di facoltà all’università sudafricana di Witwatersrand, poi “lecturer” alla London School of Economics, questo esperto originario dello Zimbabwe ha fatto molto parlare di sé per “The Middle of the Pyramid: Dynamics of the Middle Class in Africa”, istantanea di una società e di un continente che cambiano.
Professore, la Banca africana di sviluppo calcola che anche nel 2013 l’economia dell’Africa crescerà di oltre il 5%. Abbastanza per ridurre la povertà?
“La crescita è forte e significativa, anche perché negli anni ‘80 e ‘90 le cose andavano diversamente. Di per sé, tuttavia, questa espansione non crea lavoro per i giovani o comunque non ne crea a sufficienza. C’è bisogno di più qualità. E per questo serve l’impegno dei governi. Politiche che stimolino la domanda e l’offerta e, soprattutto, investimenti nella formazione dei giovani. In Africa il rapporto tra istruzione e lavoro è problematico. Hanno difficoltà a trovare un impiego anche i laureati. Spesso non hanno la formazione che servirebbe alle aziende. Una delle priorità è puntare sull’apprendistato e su un altre forme di inserimento graduale nel mondo del lavoro”.
D’accordo, ma l’aumento del Pil significa davvero meno miseria?
“La qualità della vita migliorerà e la povertà continuerà a ridursi. Anche se non andrà allo stesso modo in tutti i paesi, la tendenza è questa. Ma è fondamentale che i governi facciano le scelte giuste”.
Quali?
“Come dicevo, bisogna investire di più nell’istruzione. Lo possono e devono fare soprattutto i paesi che hanno risorse naturali come petrolio o gas. Paesi che, finora, hanno vissuto una situazione paradossale: grandi profitti e, allo stesso tempo, disoccupazione e povertà diffusa. La Nigeria è un caso esemplare. Il governo adesso si è impegnato a realizzare un programma di riforme ampio, che abbraccia i settori del petrolio e dell’energia. È un primo passo. Un altro aspetto fondamentale è lo sviluppo di una cultura dell’imprenditorialità”.
Più volte lei ha sottolineato l’importanza dell’integrazione del continente sul piano dell’economia e delle infrastrutture. Cosa è stato fatto lo scorso anno e cosa può esser fatto nel 2013?
“L’integrazione è anzitutto movimento di persone. Il Rwanda si vanta del fatto che sia possibile ottenere un visto d’ingresso direttamente all’aeroporto di Kigali. Il movimento delle persone è un fattore di progresso. Di recente è stata ultimata un’autostrada che collega Nairobi, la capitale del Kenya, con Arusha, in Tanzania. In Africa occidentale si stanno realizzando progetti importanti per l’integrazione delle reti elettriche regionali. Anche nel settore della sicurezza ci sono segnali incoraggianti. In Somalia o in Mali ci sono situazioni difficili, certo. Ma il contributo dell’Unione Africana o di altri organismi regionali è stato positivo e può esserlo ancora in futuro. Passi avanti sono stati compiuti anche sul piano degli investimenti interafricani, un fattore di integrazione decisivo. I progressi nel commercio tra i paesi del continente, invece, sono più lenti. Oggi questo tipo di scambi vale appena il 15% del totale ed è difficile che cresca in tempi brevi. Il problema è la debolezza della base manifatturiera. Servono cambiamenti strutturali, possibili solo se si diversificano le attività e si punta su produzioni con un forte valore aggiunto”. (Segue)
[VG]
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